MILANO – In Francia gli Starbucks sono oltre un centinaio. La multinazionale americana ha aperto il suo primo locale a Parigi nel 2004, per espandersi poi in una decina di città nel resto del paese, senza contare le partnership con Autogrill e la catena di ipermercati Casino.
Eppure, ancora oggi, a 12 anni di distanza dal debutto, l’inaugurazione di una caffetteria Starbucks oltre le Alpi continua a fare notizia.
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L’illuminato Boulevard Voltaire ha messo alla gogna il “popolo bue” prono alle mode imposte dalle multinazionali. Altri (compresi alcuni esponenti politici locali) si sono lanciati in tirate più o meno moraleggianti sulle note pratiche di elusione fiscale attuate da Starbucks.
Accuse respinte a stretto giro di posta dal franchisee locale Kamel Boulhadid, a capo del gruppo BK & A, che ha tagliato corto dichiarando: “Sono un’impresa francese e pago le tasse in Francia”.
Al di là del già citato cadeau riservato ai primi fortunati avventori, cosa spiega il fascino fatale esercitato dalla Sirenetta sul freddo pubblico alsaziano?
Molto varie le risposte fornite dei clienti. Alcuni hanno evocato il gusto della novità o il ricordo di una vacanza in America. Altri, la vanità di fare le vasche per le vie del centro con un bicchiere targato Starbucks in mano, perché “fa molto cool”.
Senza dimenticare lo spirito cosmopolita e l’internazionalità di una delle capitali d’Europa.
Intanto, le critiche e gli attacchi di chi sostiene che la nuova caffetteria di Place Kléber ruberà clienti agli esercizi tradizionali non si placano.
Tanto che c’è anche chi ha postato in rete una guida ai “migliori caffè di Strasburgo per dimenticare Starbucks”. Rivendicando fieramente le ricche tradizioni locali, la superiorità del caffè servito, la freschezza e la varietà della pasticceria tipica alsaziana.
Succederà lo stesso anche a Milano, quando aprirà i battenti il primo Starbucks italiano, che comunque sarà molto diverso da quello di Strasburgo? Chi vivrà vedrà.