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E se quella del 2016 fosse l’ultima Pasqua con il cioccolato (vero)?

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di Fabio Savelli*
In Svizzera hanno cominciato a fare le scorte. Anche Google può essere un buon caleidoscopio: le ricerche online di barrette di cioccolato nell’ultimo anno sono impazzite. Il timore — confidano gli esperti — è che la prossima Pasqua sia la prima di una nuova era.

La chiamano la fine del cioccolato. Vero. Per soddisfare la richiesta di orde di cinesi famelici che hanno appena scoperto le sue virtù quasi taumaturgiche il 2016 inaugurerà l’epoca del cioccolato sintetico.

Prodotto in laboratorio. Pensavamo che potesse terminare il petrolio. Scopriamo invece che la commodity a rischio estinzione è quella morfina che allieta i nostri palati. Agisce sui neurotrasmettirori producendo endorfine. Potremmo definirla caducità del piacere.

Per capire bisogna andare a monte della filiera. Costa d’Avorio. Abengourou. Il più grande produttore al mondo di cacao è entrato in cortocircuito da più di un anno. Le preoccupazioni sanitarie per il virus Ebola hanno messo al tappeto una generazione di agricoltori che del cacao hanno fatto da sempre la loro unica ragione di vita.

Neanche il meteo quest’anno è stato clemente. Le piogge sono state molte e concentrate in un breve lasso di tempo. Non costanti come promette il clima equatoriale. E il governo per la prima volta ha stabilito che il prezzo dovesse essere fisso, certo, determinato. Non più fluttuazione in base all’incontro tra domanda ed offerta.

Le esportazioni sono in realtà cresciute grazie alla spinta delle nuove piantagioni. Ma la domanda globale è talmente alta che il meccanismo s’inceppa in Indonesia. Potremmo definirlo un Paese trasformatore.

Perché dal cacao ricava la barretta di cioccolato che poi verrà lavorata ulteriormente altrove e venduta ai principali marchi del settore. Già nel 2009 il governo locale si era interrogato su come tenere alti rendimenti su un prodotto diventato una vera forza motrice dell’economia.

L’esperimento di clonazione su larga scala di piantagioni di cacao è però naufragato anche a causa della piramide del cacao, una minuscola falena che si è trasformata nella rovina degli agricoltori.

Le avvisaglie della crisi le rinvieni anche nel terzo anello della catena. Barry Callebaut. Pochi sanno che è la più grande industria al mondo nella raffinazione del cacao.

Fornisce cioccolato ai clienti che rispondono ai nomi di Cadbury, Mondelez, Hershey, Unilever, che possiede Magnum e Ben&Jerry. Gestisce 52 stabilimenti in tutto il mondo e da tempo ha messo in guardia i consumatori sulla possibile fine del cioccolato vista la domanda crescente.

In Cina oltre un miliardo di persone lentamente stanno scoprendo la morfina del cacao grazie a Xiang Puren, un imprenditore innovatore che ha portato il suo caffè nero Koko nel centro di Pechino con i suoi cioccolatini fatti a mano con ginger e sfumature di gelsomino.

Negli anni Settanta c’erano oltre un miliardo di persone che ad est non avevano mai assaggiato il cioccolato. Ora sanno cos’è. E per questo alzano il prezzo della materia prima. Ma i veri chocaholics sono gli inglesi. Mettono il cioccolato ovunque. Persino nei piatti salati gourmet con vodka e gin.

Addirittura sullo scaffale di un supermercato ad Hastings qualcuno ha rinvenuto 23 varietà diverse di cereali contenenti scaglie di cioccolato. Ecco perché la domanda avrebbe superato la produzione di oltre 750mila tonnellate secondo la World Cocoa Foundation. E tornare indietro ora risulta impossibile.

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