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Tè. Guerra della nuova Opec. India, Kenya e Sri Lanka sfidano Cina e Vietnam

A livello globale, una bottiglia da un litro di acqua minerale costa in media 2,5 dollari (alcune, deluxe, arrivano a 55 dollari). Un gallone (circa 3,79 litri) di acqua intorno ai 10 dollari, addirittura più dei 3 dollari necessari mediamente per l'equivalente quantità di benzina

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MILANO – Dopo il cartello del petrolio, quello del. Le premesse per un rincaro generale dei prezzi della bevanda, dopo l’annuncio in pompa magna in arrivo dallo Sri Lanka, ci sono tutte.

Il 23 gennaio, dopo una due giorni di trattative, il blocco dei grandi produttori di tè che fa concorrenza a Cina, Turchia, Vietnam e Iran, sembra infatti essersi messo seriamente d’accordo per nobilitare un prodotto, a loro dire, sottostimato dal mercato globale.

Opec: i protagonisti del dibattito

India e Kenya sono i leader capofila del gruppo dell’Opec della teina è l’India. Il Paese che, con circa 990 mila tonnellate di tè coltivate all’anno (dati 2012 dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, Fao) è seconda solo al competitor cinese (1,47 milioni di tonnellate).

Segue il Kenya, terzo produttore mondiale con 399 mila tonnellate; lo Sri Lanka, al quarto posto con 282 tonnellate; l’Indonesia, con 150 mila e infine i produttori minori africani del Malawi e Ruanda.

Cina neutralizzata

La cordata indo-kenyota sfida dunque il colosso cinese, destinato a incidere di meno sulle dinamiche dei prezzi globali. A meno che, a sua volta, non si unisca in alleanza con Turchia (235 mila tonnellate), Vietnam (198 mila tonnellate) e Iran (166 mila tonnellate).

Ma il neocartello sfida anche e soprattutto la comunità economica internazionale. Quest’ultima, in proporzione, valuta molto di più una bottiglia d’acqua che un infuso di tè.

La corsa al business del tè: verso i prezzi dell’acqua

A livello globale, infatti, una bottiglia da un litro di acqua minerale costa in media 2,5 dollari (alcune, deluxe, arrivano a 55 dollari). Un gallone (circa 3,79 litri) di acqua intorno ai 10 dollari, addirittura più dei 3 dollari necessari mediamente per l’equivalente quantità di benzina.

I prezzi mondiali del tè

Al contrario, si aggirano intorno ai 2,8 dollari al chilogrammo, in calo rispetto ai 2,84 del 2011. Non è necessario fare la proporzione tra le due unità di misura per capire che con un chilo di tè si possano ottenere svariati litri d’infuso a un prezzo all’ingrosso ancora molto contenuto.

La svolta storica dello Sri Lanka

Questo regime di prezzi  potrebbe cambiare se, dopo quasi 80 anni di tentativi andati a vuoto, nascesse realmente l’ Opec del tè sotto l’insegna del Forum internazionale dei produttori.

Il ministro delle Piantagioni dello Sri Lanka Mahinda Samarasinghe ha parlato di una «tappa storica per l’industria» del settore, ma i termini del patto ancora non sono chiari.

Prezzi e quote di produzione

I primi punti dell’accordo, stando a quanto è stato comunicato dallo Sri Lanka, riguardano proprio la condivisione delle competenze e lo stimolo della domanda per far crescere i prezzi. Ma il gruppo, «in futuro» si riserva ulteriori misure per il controllo dell’offerta, come per esempio, le temute «quote di produzione».

Ogni anno, nel mondo, sempre secondo i dati aggiornati della Fao, vengono consumate poco più di 4 milioni di tonnellate di tè; un trend in espansione (+5,6% nel 2010), grazie soprattutto al rapido aumento, nell’ultimo decennio, del reddito pro capite nelle economie emergenti.

Cina e Vietnam potenziano i raccolti, India e Kenya fanno muro. Come l’acqua in Occidente, in Oriente il tè è ormai un lucroso business.

Solo in Cina, nel 2009 (ultimo dato disponibili nei report della Fao) si è registrato un boom di vendite del +8,2%. Ma anche in India, secondo Paese per diffusione della bevanda, nell’ultimo biennio i consumi, soprattutto nella varietà nera, sono cresciuti di oltre il 2%. Complessivamente, la produzione mondiale di tè si è gonfiata del 4,2%, con oltre 4,1 milioni di tonnellate nel 2010.

A crescere, finora, è stata soprattutto la varietà di tè nero (+5,5%). Mentre il tè verde – infuso della stessa pianta, ma non sottoposto al processo di ossidazione – è aumentato ‘solo’ dell’1,9%.

Boom entro il 2021

Guardando ai prossimi 10 anni, tuttavia, il gruppo intergovernativo di esperti della Fao ha stimato che, entro il 2022, anche la produzione di tè verde possa crescere di un consistente +7,2%.

L’impennata è dovuta alla forte spinta impressa dalla Cina, che negli ultimi anni ha progressivamente rafforzato e razionalizzato il comparto agricolo. Grazie alle politiche del governo centrale, per sostenere il reddito delle famiglie rurali.

I raccolti straordinari della Cina e la crescita interna dei consumi negli ultimi 20 anni, hanno infatti fatto sì che il Dragone scavalcasse l’India, tradizionale leader nelle piantagioni. Fino a diventare produttore del 33% del tè mondiale.

Sulle orme inglesi

Anche il Vietnam, negli anni, ha fatto passi da gigante nelle rese delle piante da tè, grazie all’industrializzazione del settore. E con il Kenya indipendente che, nel Secondo Dopoguerra, alla produzione del caffè ha affiancato quella del tè, persino l’Africa sud-orientale è diventata un esportatore d’eccellenza della bevanda.

Insidiata dalla concorrenza, New Delhi ha evidentemente deciso di fare cartello contro lo storico nemico Pechino. Mettendosi alla testa di una cordata che, incidendo sul livello di produzione, riuscirebbe a manovrare al rialzo i prezzi, altrimenti danneggiati da un’eccesso di offerta.

Un’idea, tutto sommato, rubata ai maestri colonialisti. Nel 1930, ai tempi della Grande Depressione, furono le 349 società inglesi e olandesi sparse tra Sri Lanka, India e Sud-Est asiatico a stringere un International tea agreement. Durò però solo fino al 1933. Ora ci si riprova.

 

Fonte: Lettera 43

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