di Ilaria Vesentini*
BOLOGNA – «Tratteremo a oltranza». Sono le parole con cui sindacati e tecnici del ministero dello Sviluppo economico sono entrati venerdì 5 febbraio in riunione nella sala del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi.
Dopo tre ore un breve messaggio della Fiom annuncia di nuovo: «Si va ad oltranza». L’obiettivo è arrivare alla mobilità incentivata su base volontaria per tutti, evitando così i 243 licenziamenti unilaterali nello stabilimento Saeco di Gaggio Montano.
È l’unica apertura concessa dalla casa madre Philips, che ha rilevato nel 2009 il marchio bolognese di macchine da caffè – allora in bancarotta sotto il peso di 600 milioni di debiti – sborsando 200 milioni di euro per l’acquisto e altri 60 per rilanciare la fabbrica in Appenino.
Rilancio che non ha avuto effetti -almeno stando ai fatti – nonostante gli investimenti in lean manufacturing, per ridurre l’assenteismo ed efficientare le linee.
Gli ultimi tre giorni di negoziati fiume tra Fim, Fiom, l’amministratore delegato di Saeco Italia Nicholas Lee e i suoi consulenti non hanno colmato le distanze tra le parti e la speranza è che la mediazione del ministro Guidi e del presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, basti a ricucire i lembi della spaccatura.
«Stasera o si chiude o si rompe», è l’out-out con cui il segretario regionale Fiom, Bruno Papignani, si è seduto al tavolo, amareggiato perché «l’impressione ricevuta dagli incontri del mattino è che Saeco non abbia alcuna intenzione di rivedere il piano industriale né di reinvestire sulla fabbrica di Gaggio Montano, destinata a fare solo ricerca, progettazione, prototipazione di nuovi modelli e costruzione dell’altissimo di gamma. Questo non significa restare una realtà produttiva».
L’ad di Saeco si è impegnato a presentare nel dettaglio, al tavolo del Mise, piano e investimenti studiati dalla multinazionale per la divisione bolognese, ma nulla è trapelato in serata.
I programmi ufficializzati da Lee prima della vertenza a Roma parlavano di 90-100mila pezzi di macchine automatiche da caffè da produrre in Appennino, contro le 500mila dell’altro stabilimento Saeco in Romania, che da alcune settimane sta fabbricando anche gli apparecchi italiani, di fronte al blocco dei cancelli aziendali che va avanti ininterrottamente da 71 giorni a Gaggio Montano: anche ieri i 558 dipendenti Saeco hanno presidiato l’ingresso della fabbrica impedendo la movimentazione dei camion.
Il patto del silenzio stretto dalle parti per non disturbare le fasi finali delle trattative è rispettato. La possibile soluzione di compromesso si giocherà su ammontare degli incentivi, numero di mobilità e licenziamenti e contributi di Governo e Regione alla reindustrializzazione.
Philips pare disposta anche a ridurre lievemente gli esuberi pur di arrivare all’accordo, ma non a riconvertire lo stabilimento, come chiedono invece i sindacati, consapevoli che sarebbe l’unica strada per garantire un futuro industriale.
E dire che il fondatore di Saeco, Sergio Zappella, si è spostato solo di 8 km dalla sua prima “creatura” per dare vita dieci anni fa a un altro successo imprenditoriale nel caffè: Caffitaly, 150 addetti a Gaggio e altri 150 a Rozzano (Milano).