MILANO – Occupava i locali della Camera di Commercio quando è nato, negli anni ’50 del secolo scorso, il SIC, il Salone Internazionale del Caffè. Pochi i torrefattori, che si rivolgevano più che altro al mercato locale. Pochi ma buoni, entusiasti e, forse, almeno un po’ consapevoli delle potenzialità del settore.
Da quel “borsino” infatti un po’ pionieristico si è evoluto, dopo essere passato all’interno di Host dove è ormai parte integrante della manifestazione leader per l’ospitalità professionale, quello che oggi è considerato l’appuntamento di riferimento del mondo del caffè, a livello internazionale.
Come è stato possibile questo salto di qualità? Vari i motivi. Prima di tutto, la capacità di coinvolgere tutti gli attori della filiera: torrefattori, importatori, produttori e operatori provenienti da tutto il mondo. Poi senz’altro la sinergia sempre presente e costante con le altre aree di Host, Bar-Macchine per Caffè e Gelato-Pastry, tema cruciale in tempi di ibridazione di formati e consumi fluidi.
Indubbia anche l’allure del caffè italiano, sempre più sentita in ogni angolo del Pianeta grazie ad aziende di spicco in grado di esportare macchinari dal Sudafrica all’Alaska. E forse è anche un po’ merito di SIC questa diffusione del “caffè Made in Italy”, di fatto assurto tra i simboli dell’enogastronomia tricolore.
Lo si è visto in particolare nell’ultima edizione, quella straordinaria dello scorso ottobre che ha avuto luogo in concomitanza con ExpoMilano. Prima di tutto nei numeri, con gli spazi espositivi cresciuti del 40%. Poi, soprattutto, nei nomi, con schierato l’intero Gotha del settore. Non solo gli immancabili “big” quali Goppion Caffè, Hardy, Hausbrandt Trieste 1892, illycaffè, Kimbo, Luigi Lavazza, Caffè Ottolina, Pellini Caffè, Torrefazione Portioli, Trismoka, Caffè Vergnano e tanti altri, ma anche, con uno sguardo al futuro immancabile a Host, i più interessanti torrefattori di nuova generazione, italiani ed esteri.
Perché uno dei punti che rende Sic – e Host – l’evento a cui partecipare è proprio la capacità di anticipare i trend. «Tendenze – ricorda Paola Goppion, Amministratore Delegato di Goppion Caffè – che sono molto diverse a livello italiano e internazionale, e tra Paese e Paese. In Italia regna ancora l’espresso tradizionale, bevuto velocemente al bar: paradossalmente, le novità più interessanti si vedono all’estero. Noi proponiamo già una miscela per filtro, che si aggiunge alle otto per caffè espresso classico, e ci stiamo orientando molto verso il monorigine: una delle tendenze più interessanti, destinata a sviluppare la cultura del caffè e del gusto nel consumatore finale, che così potrà apprezzare meglio anche un espresso ‘normale’ ben fatto».
Green e specialità sono invece le linee guida per il futuro individuate da Alberto Maja, Amministratore Unico di Hardy: «Notiamo una crescente sensibilità verso il bio, meglio se anche equosolidale e sostenibile, come nel caso delle capsule compostabili. Sia da parte del consumatore finale, sia soprattutto del cliente professionale. Anche dal punto di vista del gusto notiamo un’evoluzione. In Italia siamo legati all’espresso tradizionale e quindi ritengo che da noi gli specialty coffee siano soprattutto una moda, ma che sta avendo il pregio di diffondere la cultura del caffè, che noi sosteniamo anche attraverso corsi professionali molto specializzati su caffè e cappuccino».
Un mercato, dunque, che punta sulla specializzazione a fronte di una materia prima che, per superare le difficoltà di reperimento dovute alla domanda crescente e alla minaccia dei cambiamenti climatici, potrebbe fare nei prossimi anni sempre più ricorso alle bioscienze.