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venerdì 22 Novembre 2024
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La testimonianza: il mio percorso verso il tè

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  • Dalla Corte
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Mi è difficile delineare in modo chiaro il percorso che mi ha portato verso il tè, che mi ha permesso di capire che questa era più di una semplice bevanda per me, era qualcosa che aveva in sé qualità artistiche degne di rispetto.
Una bevanda che ha cambiato il mondo, che ha influito sulla cultura e sulla storia occidentale, che ha costruito attorno a sé un mito e un culto laico detto “teismo” nell’estremo oriente.

Una bevanda che per i cinesi definiva l’uomo stesso nelle sue qualità: certi uomini hanno troppo tè dentro di loro, altri troppo poco. Una bevanda verso cui si possono dedicare anni di studio anche solo dal punto di vista del mero consumatore.

Tutto ciò è vero, ma arrivare a comprenderlo al punto da volervisi dedicare è stato tutt’altro che facile. Ma in un certo senso ho sempre saputo di volermi interessare al tè: il suo richiamo nel corso degli anni riaffiorava… a sconfiggerlo erano i pessimi tè facilmente disponibili nella grande distribuzione.

Ma cominciamo dal principio.
Più in là che riesco ad andare, dove la memoria si fa così confusa che le ipotesi sono costrette a riempirne i vuoti. Giù giù fino ai tempi antichi, quando ancora il Duca non aveva la barba. Sì, so che molti tra voi lettori sono certi che io sia nato con la barba e il pickelhaube (e coglione a manovella), e non vi impedirò di crederlo. O le ragazzine. Ormai uso la presenza o meno della barba per distinguere il sesso negli adulti, funziona a meraviglia.

In casa mia si è sempre bevuto il tè, poco ma sempre. Soprattutto nei mesi freddi, tornando in casa, mia madre proponeva un tè caldo, sapendo che anche se io o i miei fratelli avessimo detto “no” di sicuro mio padre avrebbe detto “sì”.

E si è sempre bevuto in due modi: all’italiana con il limone e lo zucchero a stuprare il sapore del tè creando una limonata (ma tanto le bustine da supermercato quasi sempre facevano schifo), oppure con un po’ di latte. Mio padre lo prendeva quasi sempre col latte, come aveva imparato da giovane in visita nel Regno Unito quando viaggiava come ufficiale dello stato maggiore per scambi di vario genere con altri paesi amici.

Il mio interesse per il tè e le tisane comunque non iniziò prima del liceo. Terza o quarta liceo. Prima mi interessava bere solo il caffè, che consumavo al ritmo di due moka da 4 tazzine al giorno (una al mattino e una dopo pranzo) credo, più o meno dalla prima liceo (e qualche volta una terza se dovevo studiare a sera… non perché studiassi molto, non me ne fregava nulla, ma perché arrivavo a preparare le verifiche all’ultimo giorno). Non sono sicuro, ma forse in seconda e terza media prendevo solo mezza moka al pomeriggio e basta.

Ricordo chiaramente che in quarta liceo ero in fissa col karkadè (fiori di ibisco). Lo ricordo perché era l’anno in cui ci avevano fuso con un’altra classe smembrata e divisa in giro e c’era un ragazzo simpaticissimo (che però poi non è stato promosso, assieme a un altro) che stava uscendo di testa mentre lo martellavo di idiozie al ritorno da una gita in visita a una qualche mostra di stronzate a Milano. All’epoca non si cazzeggiava sugli smartphone come oggi… tipo perché non c’erano, i cellulari dell’epoca erano da morte anale, con giusto 2-3 giochetti scemi sopra. Ricordo la cosa perché visto che avevo una sete porca avevo anche questo pensiero martellante di volermene tornare a casa e farmi una caraffa di karkadè.

Forse quel giorno stesso, o poco distante, alla professoressa d’arte (una professoressa fantastico, adoravo la sua materia e intimava rispetto con sguardi di disapprovazione stile Gamberetta + Kapò + la stazza di Bud Spencer in edizione più bassa) qualcuno chiese se le piaceva il tè verde – erano gli anni in cui alcuni marchi stavano spingendo per introdurlo in Italia in modo stabile accanto al tè nero – e lei disse che faceva bene, ma che il sapore era una mezza schifezza per cui non le piaceva.

Il che è assolutamente sensato: ne riparleremo più avanti, ma le pessime indicazioni dei venditori rendevano tremendo il primo impatto col tè verde, che infuso a 90+ gradi assumeva note amare e sgradevolissime. Ovviamente non sapendone nulla il consumatore normale da supermercato dava la colpa ai propri gusti, pensando fosse il sapore giusto che doveva avere.

Non ricordo se fu in terza o in quarta liceo che mia madre portò in casa, presa da qualche erboristeria o qualche altro negozietto, una confezione di bustine di un tè che non ricordo come si chiamasse (e mi è sempre rimasto in testa che volevo riscoprirlo) e che solo negli ultimi mesi penso di aver capito cosa fosse.

Considerate che all’epoca, per un consumatore da supermercato, “tè” indicava automaticamente il tè nero. Al massimo c’era quello verde, che iniziava a venire spinto un po’ seriamente con le pubblicità. Quindi si diceva “tè verde”, ma non era normale precisare “tè nero”.

Cioè, dai, erano praticamente 15 anni fa: 15 anni più vicini agli anni ’70-’80 e alla larga diffusione dell’eroina, cioè, eravamo scusati a non capire un cazzo, eh!

Quel tè portato era curioso perché diceva di essere un tè che in Cina chiamano “tè nero” mentre gli altri tè che noi diremmo neri sono chiamati rossi (e già qui non ci avevo capito niente, ma ok, wow, figo). E aveva un nome strano che a posteriori ho ricostruito, anche grazie al dettaglio, essere Pu’er, il tè fermentato. L’ho ricostruito a posteriori dal dettaglio di definirsi “tè nero in Cina”, dal luogo di provenienza (i monti dello Yunnan) e dal liquore scurissimo che sembrava una cosa a metà tra caffè e tè, con note molto tostate. Poteva essere solo Pu’er. Uno di sicuro dozzinale, come se ne trova a 2-3 euro pure nei supermercatini cinesi, ma Pu’er.

Mi piacque molto e lo usai quasi solo io, ma poi non venne ricomprato e cadde nel dimenticatoio… riscoprire cosa fosse fu impossibile, visto che l’indizio “tè nero” e “tè rossi” era inutile, visto che “tè nero” per noi (mia madre ha sempre avuto una buona cultura di erbe, tisane ecc. ma non sul tè) è il tè normale e con tè rosso al massimo indichiamo (a cavolo, come se tè e tisana fossero sinonimi) la tisana di rooibos. Avendolo comprato chissà dove, finì che fu impossibile ritrovarlo.

E così a fasi alterne proseguii con le mie tisane, le classiche bustine di menta piperita, di rosa canina (ah, questa mi piaceva molto fin a bambino) e di karkadè. Raramente tè, assieme mi attirava e mi allontanava: unite il non sapere nulla sull’importanza dei tempi di infusione con il pessimo English Breakfast di Twinings e avete la ricetta per uccidere la possibilità che un nuovo cliente nasca.

Un po’ come è accaduto col Fantasy in Italia, quando gli anni del boom sono stati sprecati da grossi editori idioti e incompetenti che hanno ucciso il settore, invece di farlo espandere, a furia di libracci pessimi.

Feci un nuovo tentativo col tè nel 2008, ispirato da un anime, Rozen Maiden. Lo avevo visto in ritardo (era del 2004), e lo avevo scoperto incuriosito dal fatto che era il periodo in cui su board come 4chan (che stavo frequentato parecchio nel 2008, appunto) spopolavano i meme a base di una tizia vestita di verde che completava ogni frase con “desu”… cercando un po’ si scopriva subito che quella era Suiseiseki e l’anime era Rozen Maiden. Uno degli altri personaggi invece era una bionda rompiballe che obbligava il protagonista a fare il tè correttamente, facendogli comprare pure una teiera decente e stando attento a temperatura e minuti.

Solito problema col tè: mollai dopo un paio di settimane a causa del lerciume disponibile nei supermercati. All’epoca la voglia di cercarmi tè buono su internet non l’avevo, per cui mollai lì e basta.

L’interesse vero per il tè tornò nell’estate 2012, dopo qualche altro tira e molla di breve durata tra 2009 e 2011. Ed è rimasto fino a oggi, solo che ho avuto modo di approfondire seriamente solo nel corso dell’ultimo anno. Dal 2012 ho cominciato a interessarmi di più di tè, complice l’aver provato un paio di tè decenti degni di farsi bere: prendevo in erboristeria due tè, un banalissimo Pai Mu Tan bianco e una miscela di tè nero, tè verde, petali di girasole, boccioli di rosa e aromatizzazione alla pesca/albicocca venduta come Rosa d’Inverno. Due mediocri tè da 5 euro l’etto, del tipo che tiene un’erboristeria per niente interessata al tè sfuso.

Fu un cambio radicale. Quello era tè. Ok, lo facevo con l’acqua alla temperatura sbagliata (troppo calda) e l’infusione andava un po’ troppo a occhio (ma presto iniziai a conteggiare i minuti con precisioni, dopo poche tazze di sapore alterno), ma perfino così era così superiore da non poterlo scambiare per l’atroce, aspro, amaro e assieme di corpo modesto (nemmeno la dignità della struttura dietro il saporaccio!), cagoso English Breakfast di Twinings venduto per il mercato italiano (di quella marca sopporto gli altri in bustina come bianco, alla pesca ecc., solo questo qui mi fa cagare nonostante io adori in generale i Breakfast).

Dall’erborista preferito da mia madre presi tè nero cinese al gelsomino e del buon Ceylon Orange Pekoe dal tipico sentore agrumato. Lì c’era pure un Gunpowder (verde cinee) più che adeguato. Con cinque tè sfusi più le bustine da supermercato (incluse le tisane cannellose di Yogi Tea), per un consumatore blando come me ero più che a posto per ruotare i sapori e farmi una piacevole tazza tre o quattro volte a settimana.

Le bustine le mischiavo pure per fare “blend”, usando 6 bustine per un litro e combinando tè diversi per ottenere miscele dai sapori nuovi: un bianco aggiunto per dare floreale e ammorbidire, un nero forte per dare intensità, uno di tisana alla fragola per aromatizzare… cose così. 🙂
rosadinverno_lattina

Ho ancora un fondo di “Rosa d’Inverno”, saranno 40 grammi scarsi. 🙂

Ma fu anche il periodo in cui iniziai, quell’autunno, il corso per Sommelier.
Lo feci anche con l’intenzione di imparare tramite il vino qualcosa sulla degustazione spendibile anche per il tè. Quando nel 2014 ho deciso di dedicarmi seriamente al tè, devo dire che quel corso che impiega il “vino” come base comune è stato un’eccellente introduzione alla degustazione in generale. Olio, birra, distillati, sake, tè… si può andare ovunque a espandere il proprio interesse dopo quel corso perché aver appreso le basi della degustazione con la facilità permessa dal vino aiuta tantissimo.

Riconoscere gli aromi nel vino è una sciocchezza rispetto ad altre bevande con troppo alcool che offusca o profumi troppo blandi/confusi: il vino ha profumi chiari, nitidi, distinti e spesso forti.

L’esperienza col vino fu totalizzante, dovevo continuamente provare vini nuovi e schedarli tutti, imparando a farlo sempre meglio. Con i soli vini provati al corso sarebbe stato un suicidio passare l’esame e comunque io volevo imparare davvero, espandendo il più possibile le mie conoscenze. Così tutto il 2013 fu dedicato al vino assieme ai primi due mesi del 2014.

Non c’era tempo per approfondire il tè, che pure continuavo a bere.

E così arriviamo al 2014. Ero di nuovo pronto ad approfondire il tè. Iniziai esplorando tutti i tè che trovai nei diversi supermercati che frequentavo. Gli sfusi rimanevano meglio, ma ebbi comunque una infatuazione per una porcata della Lipton: i tè in piramide aromatizzati per ricordare dolcetti (pera e cioccolato, muffin al mirtillo, macaron al limone e pasticcino alla fragola). Roba che è tè come Licia Troisi è Gamberetta, dicendolo terra-terra.

Non sapendo che bustine portarmi dietro, per evitare il caffè in roulotte (non lo prendevo più da agosto), mi portai quei gusti strani al Lucca Comics 2014 pure. Angra e la sua fidanzata dovrebbero ricordarselo. 🙂

L’autunno del 2014 fu anche il periodo in cui scoprii che mi piaceva l’Assam, grazie prima alle bustine Twinings (mi attirava l’idea di un sentore maltato) e poi all’Assam comprato su Lateteria.org (molto meglio delle bustine!), un negozio di tè che avevo iniziato a utilizzare proprio quell’anno. Trovare dove comprare tè non era facile e dove lo compravo di solito non c’era Assam, per cui mi capitava raramente di provarlo.

Ancora non sapevo che il mio amico Tommaso, proprietario del winebar-ristorante Trex a Bergamo, vendeva anche tè sfuso ai clienti (ero ancora orientato al vino, in caso di uscite serali). In più prima di dicembre 2014 non ero ancora abituato a comprare abitualmente tè online, era una cosa molto sporadica (del maccha/matcha in un posto, del verde diverso in un altro ecc.).

Il cambio grosso arrivò quando trovai un negozio che mostrava la varietà del tè in purezza, mono-origine e talvolta pure mono-piantagione, che mi aprì davanti qualcosa che prima conoscevo solo “in teoria”: l’ampiezza e la complessità del mondo del tè, pari a quella del vino.

E qui un enorme grazie va a Silvia Orizio che su facebook mi consigliò caldamente quel negozio di cui sono un entusiasta cliente, Teaway.it. Il mio primo ordine lo ricordo ancora, sei cofanetti di degustazioni: il mio primo lotto di tè davvero seri da provare (ben 36), incluso il mio primo impatto con la Dea di Ferro della Misericordia. Fu amore al primo sorso.

D’altronde cosa aspettarsi da un tè che ha così tante somiglianze concettuali con Chiara Gamberetta? E non fui io il primo a dirlo tra chi bazzica il nostro ambiente online! L’immagine tra un paio di paragrafi lo testimonia!

Un altro cambio che mi sorprese avvenne sempre nell’autunno 2014 quando decisi di sbarazzarmi di un pessimo Earl Grey in bustina a marchio Iper comprato più di un anno prima, scolandomelo tutto. Erano ancora 30 bustine circa su 50 iniziali (sì, come un coglione presi il pacco grosso più “conveniente”). Non mi era piaciuto per niente. Avevo provato anche un Earl Grey fatto meglio, dell’Equo & Solidale (di cui apprezzavo molto il tè nero aromatizzato al miele e limone) e mi aveva confermato che l’Earl Grey non era per me, mi faceva schifo.

Sorpresa del 2014: dopo un anno circa che non bevevo nemmeno un sorso di Earl Grey, lo riprovai e mi piacque! Certe volte si parla di gusti che si adattano continuando a consumare qualcosa, come quando inizi che non sopporti lo zenzero e mangiando un po’ alla volta quello candito finisci per adorarlo e a mangiarlo pure al naturale quando te lo danno al ristorante giapponese

Ma io qui non avevo più toccato l’Earl Grey in un anno e l’ultima esperienza era stata pessima! Come faceva a piacermi? Per un po’ fu il mio tè preferito (ancora non compravo online, fu subito prima di iniziare) e feci fuori in fretta anche la latta di Earl Grey sfuso di Twinings. L’unico tè in foglia decente presente all’Iper di Orio Center. No, non tengono altre latte di Twinings, degli altri prodotti ci sono solo le bustine. Solo l’Earl Grey da anni ha la sua latta lì: forse qualcuno è fan di Picard nell’ufficio ordini? 🙂

Ed eccoci qui, oggi.

Nel momento in cui il tè è divenuto il mio passatempo degustativo preferito, soppiantando al 90% il vino, ho iniziato a trattarlo con la serietà con cui tratto i miei passatempi. In pratica negli ultimi 10 mesi lo sto studiando come se dovessi dare un altro esame da sommelier: ho macinato un libro sul tè dopo l’altro, acquistato testi da consultazione, comprato teiere extra e pure un adorabile gaiwan per il gong fu cha (che però non pratico quasi mai, preferisco le infusioni occidentali) e fatto le schede di ogni tè che provavo.

E ogni volta che riprovo un tè rifaccio la scheda a mente e verifico, notando di norma con grande soddisfazione la corrispondenza quasi perfetta anche dei voti “numerici” che uso come promemoria per futuri acquisti.

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