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New York senza internet: ecco alcuni locali che hanno detto no al wi-fi

Gli internet caffè sono ormai in disuso. L'abbandono della connessione internet è cominciato a New York e ora si sta diffondendo globalmente, per riscoprire il piacere di un caffè letterario

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NEW YORK – Il mondo moderno ormai è connesso globalmente. Internet è il requisito che la maggior parte dei clienti ricercano nei locali pubblici. Eppure, proprio dalla grande Mela, arriva una nuova contro-tendenza. A New York, il wi-fi è un optional che sempre più spesso viene abolito dai bar. Lo leggiamo in un articolo scritto da Andrea Marinelli, a questo link.

Wi-fi: stop alla dipendenza

A quanto pare, aprire un’attività a New York opponendosi alla legge del wi-fi, è possibile. I casi non sono numerosi, ma cominciano a moltiplicarsi.

Nel dicembre del 2004 Sarah McNally, all’epoca quasi trentenne, aprì una libreria indipendente su due piani al 52 di Prince Street. Con l’aiuto dei soldi lasciati in eredità dal nonno per finanziare le iniziative imprenditoriali degli eredi.

Da poco sposata con Christopher Jackson – con cui condivideva la passione per i libri e il ruolo di editor per i lavori dello scrittore e poeta americano Ishmael Reed – decise di chiamare il negozio McNally Jackson.

L’esempio di Sarah McNally

Originaria di Winnipeg, in Canada, cresciuta nelle librerie dei genitori, Sarah McNally era arrivata a New York nel 1999. Aveva cominciato a lavorare in una casa editrice, prima di capire che il suo posto era dall’altra parte della barricata, fra gli scaffali di un bookstore la cui collezione è organizzata in sezioni geografiche (Italia compresa).

Qui, i clienti possono sfogliare i libri sedendosi sulle poltrone o nel piccolo café all’angolo del negozio. Dopo aver ordinato un macchiato o un iced tea per accompagnare la lettura.

In pochi anni McNally Jackson è diventata un punto di riferimento dell’industria culturale cittadina

Proprio in quel café, nel 2010, Sarah è stata fra i primi a New York a decidere di non offrire il wi-fi ai propri avventori. Chi voleva poteva anche restare ore, ma solo leggendo un libro o una rivista letteraria.

«Il mio café si stava trasformando in un ufficio per freelance. Non è lo scopo di una libreria, che dovrebbe essere un centro comunitario incentrato sulla letteratura», racconta Sarah McNally al Corriere della Sera.

«Così nel 2010 ho deciso di staccare il wi-fi e i clienti del café hanno subito ricominciato a leggere e a parlare fra loro».

Il café letterario di McNally Jackson

Quella che poteva essere considerata una decisione etica ma impopolare, si è rivelata anche strategica per gli affari. «Non avevo l’obiettivo di migliorare le vendite, ma sono subito aumentate del 30 per cento», spiega McNally.

Oggi ha 40 anni e si è separata dal marito, con cui ha un figlio di 7 anni. «È vero che internet può ostacolare la lettura, ma allo stesso tempo la sta rendendo necessaria per mantenere il nostro cervello ricco, profondo, vivo e calmo».

Nello stesso periodo in cui Sarah McNally decideva di non offrire più la connessione internet ai propri clienti, nei café della città – sovrappopolati da freelance alla ricerca di una rete libera – cominciava a diffondersi la cultura della disconnessione.

«I coffee shop valutano una vita senza wi-fi», titolava a settembre 2010 The Local East Village. Il blog del New York Times dedicato a uno dei quartieri con più café (e freelance) di Manhattan.

Scelta etica e economica

Per alcuni proprietatri si trattava soprattutto di una questione economica, come per esempio da Paradiso, su Avenue B e 7h Street.

«I nostri tavoli sembravano i cubicoli di un ufficio. Spesso anche per sette ore al giorno», spiegava la proprietaria Alessandra Veronessa.

Lei è arrivata a spegnere il wi-fi fra le 11 e le 16 per permettere agli altri clienti di poter pranzare regolarmente seduti a un tavolino.

«Abbiamo provato per un anno a lasciare una connessione libera, ma c’erano cavi dei caricabatterie ovunque. Come se l’elettricità fosse inclusa nel prezzo di un cappuccino».

Per la socializzazione

Altri invece non volevano rassegnarsi all’idea di un locale silenzioso come una biblioteca. Senza l’atmosfera vivace creata da qualche parola scambiata al bancone o con il vicino di posto.

Ken Nye, proprietario di Ninth Street Espresso, sosteneva che il problema non riguardasse gli affari. Quanto piuttosto il fatto di entrare nel locale su 9th Street e Avenue C e trovarsi davanti quindici computer accesi.

La storia di Caroline Bell

«Per noi all’inizio la decisione di vietare l’uso dei computer era dovuta più che altro a motivi di spazio. Soprattutto considerando gli alti affitti di Manhattan», ci racconta Caroline Bell.

La proprietaria di Grumpy Café, non poteva permettersi di avere un locale pieno di persone al computer che non ordinavano. In cinque dei suoi sei locali – quattro a Manhattan e due a Brooklyn – Bell non offre wi-fi ai clienti, e soprattutto non permette l’uso dei computer.

«Con il tempo ci siamo però accorti che senza computer il coffee shop era più vivace, con i clienti che interagivano fra loro parlando, leggendo, scambiandosi il giornale o impegnandosi in giochi da tavolo.

All’inizio alcuni si sono arrabbiati, ma tutto sommato è stata una decisione positiva per gli affari».

Secondo Bell, tuttavia, l’opportunità di spegnere il wi-fi e di vietare l’uso del computer nei café è stata nel frattempo sorpassata dall’innovazione tecnologica.

Gli schermi più piccoli cambiano le regole

«Qualche anno fa se ne discuteva molto, anche se parecchi coffee shop incoraggiano ancora l’uso dei computer offrendo una connessione internet», specifica.

«Ormai però la maggior parte delle persone usa iPad e smartphone». Per la proprietaria di Grumpy Café, la differenza fra un iPad e un computer è sostanziale.

Lo schermo di un portatile costituisce infatti una barriera fisica verso il mondo esterno. Mentre uno smartphone o un iPad occupano meno spazio sul tavolo e non ti impediscono di vedere oltre.

Non tutti però la pensano come Bell

In un articolo apparso su Bits, il blog tecnologico del New York Times, il giornalista Nick Bilton ha raccontato il suo scontro con il barista di un coffee shop di Manhattan che gli ha imposto di spegnere il Kindle su cui stava leggendo mentre sorseggiava un cappuccino.

Il café vietava l’uso dei computer e, secondo il cameriere, l’apparecchio aveva uno schermo e necessitava di batterie. Quindi «si trattava di una qualche variante di un computer».

La stessa esperienza si è ripetuta in un negozio di sandwich a Park Slope: Bilton è stato redarguito mentre scriveva appunti sul suo iPad ed è stato costretto a spegnere il tablet.

«Apprezzo un locale che cerca di offrire una scappatoia dai computer e dalla rete», commenta Bilton. Uno dei massimi esperti di tecnologia nel quotidiano newyorkese. «Dal momento però che gli ebook sono sempre più diffusi e in molti, studenti compresi, hanno rimpiazzato i libri di carta con la loro versione digitale, i café dovrebbero accettare che ormai i libri si leggono spesso attraverso gli schermi. Anche se sembrano computer».

Barista, Portland

Partito da New York, il desiderio di disconnessione sta coinvolgendo negli ultimi tempi numerosi café in tutti gli Stati Uniti.

A Portland, in Oregon, il proprietario di Barista ha chiesto per esempio ai suoi follower su Twitter come avrebbero reagito se avesse staccato il wifi nel locale del Pearl District, l’ex quartiere industriale noto ora per le gallerie d’arte che lo popolano.

«Non voglio che questo posto sia come una biblioteca. Dove tutti studiano. Voglio che sia rumoroso, voglio divertirmi e fare un sacco di caffè», sostiene Billy Wilson, che ha poi messo in pratica il divieto.

August First, Burlington

Recentemente anche i proprietari di August First, un café e pasticceria a gestione familiare di Burlington, in Vermont, hanno fatto notizia.

«Quando fantasticavamo su come sarebbe stato August First», ha raccontato al Guardian Jodi Whalen «ci domandavamo se sarebbe stato un posto con sette clienti che fissano i propri schermi. Oppure un luogo dove le persone sarebbero venute per incontrare qualcuno, chiacchierare e ridere».

La decisione, tuttavia, non è stata semplice. Fin dall’apertura del locale, nel 2009, i proprietari di August First curavano il profilo Twitter e la pagina Facebook del coffee shop e non si ritenevano affatto antitecnologici.

Gli avventori che passavano ore lavorando al computer stavano però mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del negozio.

I calcoli di Whalen

Il cliente medio spende 15 dollari e resta al tavolo meno di un’ora. Mentre quelli al computer spendono circa 5 dollari all’ora e possono rimanere anche quattro ore. A volte occupando persino quattro posti.

«Di questo passo non saremmo sopravvissuti come esercizio commerciale», ha puntualizzato. Dopo aver vietato l’uso di computer e tablet, invece, gli introiti sono aumentati immediatamente. Si sono stabilizzati attorno al 10 per cento in più rispetto all’anno precedente.

San Francisco, 2013, Coffee Bar Luigi Di Ruocco

Anche in questo caso, il proprietario è stato costretto a introdurre un limite di mezz’ora per utilizzare il wi-fi. Ha quindi vietato i computer in alcune aree del suo negozio per permettere ai clienti che volevano mangiare di sedersi.

Eppure, quando ha aperto nel 2007, voleva che il suo café richiamasse clienti provenienti dal ricco mondo della tecnologia locale.

«Non avevo previsto che le persone restassero così a lungo, impedendo agli altri di sedersi». Ha raccontato Di Ruocco al San Francisco Chronicle. Anche nel suo caso i profitti sono aumentati fra il 15 e il 20 per cento.

 

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