MILANO – Evoluzione positiva per l’export dei paesi latino-americani. Nei primi 4 mesi dell’annata caffearia corrente (ottobre 2012-gennaio 2013), le esportazioni dei 9 paesi produttori di caffè lavati americani registrano infatti un incremento dell’11,9% sull’annata precedente. Parliamo quindi dell’ America latina. (i 5 centro americani più Colombia, Messico, Perù e Repubblica Dominicana)
Lo dicono i dati pubblicati lo scorso fine settimana dal report mensile dell’Anacafé; l’autorevole associazione nazionale del Guatemala, che si occupa istituzionalmente della raccolta e dell’elaborazione delle statistiche sull’export di questo vasto gruppo di nazioni.
America latina in crescita
I volumi imbarcati nel periodo sopra indicato risultano pari complessivamente a 8.208.070 sacchi, contro i 7.334.349 dei primi 4 mesi del 2011/12. Gli incrementi più significativi si registrano quindi in Repubblica Dominicana (+158,34%) e Nicaragua (+137,5%). In crescita anche Perù (+26,71%), Honduras (+25,14%); Messico (+14,77%), Guatemala (+8,08%) e Colombia (+2,5%).
Negativo soltanto l’andamento di El Salvador ( -4,37%) e Costa Rica (-2,57%)
L’inerzia comincia però a invertirsi. Poiché a gennaio le esportazioni sono risultate superiori soltanto del 7% rispetto allo stesso mese del 2012. Per un totale di 2,18 milioni di sacchi.
Secondo l’Anacafé, la ruggine del caffè sta colpendo, in diversa misura, il 65% dei 933 mila ettari coltivati a caffè in centro America
Mentre l’impatto dell’epidemia si farà sentire sin dai prossimi mesi riflettendosi chiaramente sui dati di fine annata. Una stima della stessa associazione indica che l’export del Guatemala potrebbe crollare nel 2013/14 a 2,2 milioni di sacchi. Quindi ben il 40% in meno rispetto all’annata trascorsa.
Nel 2011/12, l’export dei paesi latino-americani è stato pari complessivamente a 28.103.435 sacchi da 60 kg
“L’attuale epidemia di Hemileia vastatrix è la peggiore che abbia mai visto in Messico e America centrale da quando questa malattia crittogamica ha fatto la sua apparizione in queste regioni oltre 40 anni fa.” Così ha dichiarato in un’intervista il noto ecologista e docente di Michigan University John Vandermeer.
Secondo Vandermeer la colpa è principalmente dei metodi di coltivazione attuali; volti a massimizzare le rese, che hanno portato all’abbandono delle pratiche tradizionali.
Ciò ha alterato l’ecosistema facendo diminuire in modo drastico il numero di insetti, uccelli e funghi benefici
“Allo scopo di accrescere la produzione – afferma lo studioso – la coltura ombreggiata è stata in buona parte abbandonata a favore di quella in pieno sole. Che comporta una maggiore dipendenza da pesticidi e fungicidi nel far fronte alle avversità”.
Può darsi che la roya si autolimiti e che, dopo l’esplosione di quest’anno, torni a livelli normali. – ha infine concluso Vandermeer. – ma può anche accadere che resti una piaga endemica di questa regione. Con gravissime conseguenze per i coltivatori.
Guatemala, Honduras e Costa Rica
Hanno già dichiarato lo stato di emergenza nazionale, nell’intento di coordinare e accelerare l’attuazione delle varie misure a supporto dei rispettivi comparti caffeari. L’emergenza roya si ripercuoterà sull’intera economia del Guatemala. Con effetti negativi sull’occupazione e sul tenore di vita delle popolazioni rurali. Ne risentiranno anche i consumi di beni voluttuari, compresi quelli più popolari, come le bevande alcoliche comuni.
Questa perlomeno l’opinione di Cervecería Centroamericana
Lo storico produttore di birra guatemalteco prevede un rallentamento nella progressione delle vendite, che cresceranno soltanto del 7%, contro il 9% l’anno scorso.
“Il caffè contribuisce grandemente all’economia locale. Quando i raccolti diminuiscono, calano proporzionalmente anche i consumi dei nostri prodotti.” ha dichiarato un portavoce dell’azienda. Aggiungendo che l’outlook rimane comunque favorevole, a differenza di quanto accade in molti altri settori industriali.