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giovedì 13 Marzo 2025
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Il caffè di qualità nel fine dining esiste? La risposta giunge dalla masterclass di Cafè El Mundo

Cafè El Mundo, è stata la cucina di eccezione in cui mettere in scena il filo conduttore tra alta ristorazione e ottimo caffè: la ricerca e la cura della qualità in tutti gli aspetti di un'offerta premium

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MARNATE (Varese) – Nel cuore di Cafè El Mundo si continua a fare divulgazione sul caffè di qualità, facendolo innanzitutto uscire dalla sua zona di comfort, la tazzina al bar, e inserendolo nel contesto del fine dining. Con questo obiettivo si è svolta la masterclass su caffè e fine dining studiata dall’head chef e fondatore di Deg Ristorante (in via Gioacchino Rossini 29, Busto Arsizio) Stefano De Gregorio, insieme ad Ambrogio Ferraro, founder del locale Bar is the name (in viale Giuseppe Borri 29, Busto Arsizio).

Con questi due professionisti ospiti di Cafè El Mundo, si è tentato di rispondere all’annosa domanda: il caffè nella ristorazione di alto livello – e non per forza soltanto quella stellata – è possibile?

Una prima ipotesi risolutiva arriva anche solo nel guardarsi attorno durante l’evento, conoscendo i partecipanti alla masterclass: la maggior parte infatti arriva proprio dai ristoranti (il Soul e il Koinè di Legnano, La Forneria Metropolitana di Milano e Il Moro di Monza). Una platea che rappresenta un altro segnale forte del fatto che l’interesse c’è, anche tra i giovanissimi (colpisce infatti la lungimiranza di una titolare che ha invitato a seguire con lei la lezione due ragazzi suoi dipendenti, che si sono a loro volta dimostrati molto curiosi rispetto a questa potenziale evoluzione del mercato).

A fare gli onori di casa alla masterclass sul fine dining, ovviamente la Presidente di Cafè El Mundo, Annalisa Cantadori: “Questo non è un corso, ma un’esperienza”

Alessandro Giammatteo e Annalisa Cantadori (foto concessa)

E continua: “Il caffè non può più essere un prodotto dato per scontato, ma uno che dà grandi soddisfazioni prima ancora che grossi volumi. Rappresenta l’opportunità di aggiungere quel qualcosa in più di interessante sia sul piano della remuneratività, sia rispetto allo storytelling.”

Alessandro Giammatteo, la guida della masterclass di fine dining

Alessandro Giammatteo, consulente specializzato nel caffè, introduce i presenti al discorso di filiera dietro la tazzina: si parla di varietà, altitudine, processi di lavorazione, tecniche di assaggio e di estrazione. Il parallelo con l’universo del vino viene menzionato diverse volte, ma anche con la birra artigianale e l’olio.

Giammatteo poi afferma, un po’ provocatoriamente: “Eppure il caffè nel fine dining non esiste” – per poi coinvolgere tutti nella discussione. Alcuni confermano che la situazione è piuttosto drammatica, altri, come lo stesso Chef Deg raccontano una ristorazione in movimento: “Nel nostro campo si ha a che fare con tante tipologie di cliente.

Tra queste, esiste una nicchia di curiosi, che vuole vivere un’esperienza. Il plus della ristorazione rispetto al caffè, è che gode di tempi dilatati rispetto al bar. Poi certo, è necessario trovare anche dei collaboratori che sposano la tua stessa causa, perché altrimenti, non si riesce a trasmettere il valore di questa proposta al cliente finale.”

“Quindi sì, il caffè nel fine dining si sta rivalutando, c’è spazio, ma costa fatica”.

Ferraro racconta la ricetta (foto concessa)

Anche Ambrogio Ferraro si unisce al dibattito: ” Nella formulazione di una drink list con il caffè ci sono tanti fattori da considerare. La prima è la quantità di caffeina, perché è anche la cosa principale che di solito preoccupa il consumatore. Scegliere quindi Arabica e diverse estrazioni dall’espresso, è una strategia possibile. Come lo è lavorare sulle tipologie e consistenze del caffè”.

Annalisa Cantadori: “Inserire il caffè nel fine dining è un processo lungo, una trasformazione graduale”

Ma senza dubbio possibile: la dimostrazione si tocca con mano durante la stessa masterclass che inizia con una degustazione di due blend in espresso, uno più legato al gusto tradizionale (85% Arabica e 15% Robusta, composto da Perù, Ethiopia, Honduras, India, Brasile, Sumatra e Vietnam) e l’altro più inconsueto (100% Arabica, Brasile, Colombia, Nicaragua ed Etiopia). Double shot diviso in single per l’assaggio: durante l’assaggio entrambe le opzioni vengono apprezzate e le note aromatiche più spiccate vengono comprese da tutti. Missione compiuta.

Ma ancora deve arrivare il momento vero e proprio di pairing: si sentono già i profumi delle ricette ideate dallo chef

Esempio di fine dining e caffè (foto concessa)

Tutte accompagnate da caffè di prima categoria: il primo, un Etiopia Yirgacheffe, coltivato a 1900 metri di altitudine, lavato e con una fermentazione di 16 ore (sfruttato per realizzare la salsa di accompagnamento nel piatto); il secondo, un Kenya varietà SL14 – SL28, cresciuto a un’altitudine di 2100 metri, poi lavato e fermentato per 48 ore (in questo caso inserito nel pasto come polvere macinata con i capperi, oltre che in caffè filtro in accompagnamento al piatto).

Alla seconda portata, si inserisce l’offerta creativa di Ambrogio Ferraro, che propone lo stesso cocktail in versione alcolica e analcolica – seguendo esattamente la stessa filosofia che propone nel suo locale – interessante perché sposa non solo la mixology al cold brew, ma il caffè – Santos di Cafè El Mundo – al tè Oolong . All’aspetto, una spuma posizionata in superficie, ricorda molto il cappuccino.

Particolarità: l’uso come bevanda vegetale, quella a base di soia, perché si abbina meglio ad altri ingredienti della pietanza.

Ed ecco il menù nel dettaglio di fine dining al caffè

Cavolfiore alla brace, “Bagna Càuda”, limone capperi ed essenza in polvere di caffè (Ethiopia Yirgacheffe lavato). Brulée di capesante, dashi, gin al caffè e misticanza. Tiramisù di vitello: Girello di vitello alla brace, salsa tonnata al mascarpone, polvere di capperi, capperi puntina, fondo bruno e polvere di caffè con filtro in abbinamento

E, dulcis in fundo, croccantino di tiramisù.

Il cocktail realizzato a base caffè (foto concessa)

Il drink invece, era così composto: Tanqueray 10, Soda Santos con foglie acero, milk washed latte di soia, spuma di caffè santos recuperata dall’estrazione.

Un’esperienza culinaria che ha convinto tutti, anche i palati non abituati ai sapori più distanti dalla tradizione italiana dell’espresso. Abbinamento promosso a pieni voti, una prova concreta che nel fine dining il caffè può giocare un ruolo da protagonista. Cafè El Mundo, è stata la cucina di eccezione in cui mettere in scena il filo conduttore tra alta ristorazione e ottimo caffè: la ricerca e la cura della qualità in tutti gli aspetti di un’offerta premium.

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