MILANO – Se è vero che il bar, specialmente in Italia, è il terzo luogo dopo casa e lavoro, è altrettanto vero che questo spazio – per essere davvero l’avamposto dell’ospitalità, deve avere le caratteristiche di un ambiente accogliente, che invita a restare, in una parola: bello. Di questo fattore X, ha discusso Franco Costa, Presidente di Costa Group, da oltre 40 anni nel settore dell’arredo dei locali horeca, con estremo successo.
Tra i suoi clienti, Lavazza è un nome che già suggerisce la portata di un’azienda che conta ben oltre 5.000 progetti nel mondo.
Costa, quindi quanto incide il design nel successo di un locale oggi?
“Attorno al design, apriamo un discorso forse un po’ controcorrente rispetto ai miei competitor: sono convinto che sia fondamentale, ma non un aspetto primario per il successo di un locale. È un elemento che collocherei nella quarta o quinta posizione: in primis giocano la location, poi l’empatia, il sorriso dell’operatore, la qualità dell’offerta e solo dopo, l’arredamento.
Senza considerare tutti questi elementi, sarebbe come preparare un minestrone senza usare dei buoni ingredienti. Penso ci sia stato negli ultimi anni in particolare, una grande esaltazione dell’architettura e del design rispetto ad altri punti altrettanto se non addirittura più rilevanti.
Mi spiego meglio: con gli occhi si guarda, ma difficilmente si conserva qualcosa di significativo dell’esperienza gustativa. Questa è data dalla somma di molti degli elementi che abbiamo visto, assieme a tutti gli altri ingredienti dosati in maniera equilibrata e non sbilanciata.
Ci siamo illusi che un bell’arredo abbia la precedenza sul resto, ma non è così.

La bellezza è senza dubbio fondamentale per l’essere umano, e questo è particolarmente vero per gli italiani. Oggi, questo tema è sentito con ancora più intensità, anche perché il mercato si è espanso negli ultimi anni.
Un tempo, l’industria dell’horeca era riservata solo agli addetti ai lavori, mentre oggi sempre più persone, anche senza esperienza nel settore, colgono l’opportunità di aprire il proprio locale. Inoltre, un tempo non esistevano mercati come gli Emirati Arabi o la Cina, che offrono opportunità per progetti più ambiziosi.
Oggi, grazie o a causa della globalizzazione, è possibile realizzare ciò che una volta sembrava irrealizzabile. Faccio un esempio: a Dubai, con un’idea rivoluzionaria, magari si ha successo. In Italia, non permetterebbero di realizzarla a monte, così come in buona parte dell’Europa. Abbiamo un po’ legato le mani alla creatività.
L’aspetto sperimentale non trova più il suo centro in Europa, seppure resti il cuore fondamentale dell’evoluzione del food & beverage. Siamo al centro dell’attenzione, ma l’innovazione risulta un po’ frenata, avviene altrove.”
Il bar italiano come dovrebbe evolversi secondo lei?
Costa: “L’operatore secondo me resta il fulcro, si trova su un livello superiore a tutto il resto. Se un barista è bravo, è capace di creare le condizioni e l’atmosfera giusta nel suo locale, ha già segnato il fattore da replicare per avere successo. Vedo tante potenzialità nella persona che gestisce e investe nel servizio, con la sua creatività.
Le caffetterie che diventano luoghi in cui restare a lavorare e studiare ci sono sempre state: oggi le grandi insegne ripropongono questo modello. In questo caso, il design valorizza la bravura del barista come il sale nella giusta quantità per la pasta. L’arredo è un quid in più.”
Il work flow: cosa può fare il design in questo senso?
“L’operatività si traduce in due modi: il primo è quando si ha di fronte l’artista vero e proprio, che sa muoversi bene dietro al bancone. Chi ha queste abilità andrebbe tutelato come un panda, una specie rara.
Dall’altra parte abbiamo le insegne, dove troviamo sistema, metodo, la ripetitività del format e la ciclicità: tutto ciò permette di raggiungere, o per lo meno avvicinarsi, ai livelli dell’operatore del primo caso (il panda). Dopo migliaia di locali realizzati, il rischio spesso è di dimenticarsi che qualcuno ha già fatto lo stesso lavoro in precedenza.
Il nostro Paese ha una storia antica di locali che hanno segnato la storia del design. Ci sono sempre stati, non abbiamo inventato niente.”
Franco Costa: “Io per primo ho copiato e osservato molto”
“Studiare, comprendere, leggere e aggiornarsi continuamente, anche semplicemente osservando e raccogliendo idee passeggiando per le strade, è fondamentale per capire come progettare i locali. È importante saper mescolare con attenzione tutto ciò che si è imparato e osservato. Arredare un locale pubblico, in fondo, è un’arte che consiste nel saper combinare perfettamente diversi elementi”
Il bar del futuro a Dubai come sarebbe per Costa Group?

“Lo farei guardando indietro e non avanti. Mi piacerebbe costruire a Dubai un locale storico, in stile europeo, raccontando la storia e il presente del caffè. Che fascino le epoche passate! Immaginate l’abilità di riprodurre Il Cambio di Torino nel resto del mondo, sarebbe un successo per noi.
Poi il resto lo fa il barista, amalgamando la tradizione al futuro. Vorrei essere in grado di esprimere questi concetti nel modo più vero possibile, richiamando elementi veri, mantenendo inalterati modalità e rito. Il legno, lo zinco, i materiali antichi sarebbero perfetti per raggiungere l’obiettivo.”
E quindi perché investire nel design?
“Perché altrimenti si mangerebbe la pasta senza sale o il minestrone senza l’ingrediente più buono. Il design è questo: l’elemento che contribuisce a valorizzare il lavoro dell’operatore. Tuttavia ritengo rischioso investire per un arredamento all’interno di una location non adatta. Non ne vale la pena.
Qualcosa di futuristico ambientato in un contesto storico, sarebbe fuori luogo. Sono un po’ atipico in questo mercato: molti miei colleghi la pensano l’opposto, ma io vado avanti con la mia idea.”
Il bar di famiglia: Costa, lei cosa ha portato nel suo lavoro da lì?
“Mi ha insegnato la funzionalità, che è fondamentale. Prima si parla di questo e poi si arriva al design, non il contrario come spesso accade. La macchina del caffè, lo scalda tazze, devono essere alla portata del barista. I frigoriferi della giusta capacità.“
Personalizzazione: quanto conta ed è richiesta oggi?
“Se arrivano richieste che non sono sensate, lascio perdere il progetto ancor prima di partire. Invece, se trovo qualcosa che mi piace, studio il posto, la sua storia, cosa c’è intorno: da qui opero sull’area e il contesto urbano in modo da inserirmi in maniera coerente. Cerco di far ragionare il gestore per scegliere l’opzione migliore, portandolo verso ciò che reputo interessante realizzare.
Non ci si deve adeguare del tutto alle richieste del cliente solo per il guadagno, perché si rischia di arrecargli un danno. Ci si deve porre in maniera critica per poter rispettare i suoi sacrifici. Capita spesso questo tipo di confronto: molte volte i clienti mi sono stati riconoscenti e oltre il 60% torna da noi per realizzare nuovi locali. Vuol dire che nonostante i contrasti, si è capito che eravamo entrambi orientati al risultato.”
È più difficile pensare un bar o una catena?

“La seconda. Perché è necessario confrontarsi con il progetto di base di una catena, rispettando le loro linee guida e collocandole in situazioni a volte in contrasto con la nostra idea. Penso che tanti locali di catene siano fuori luogo rispetto al contesto urbano, ma così sta andando avanti il mercato: nel centro storico trovare uno shop di una catena, non mi piace. Se si trova la quadra insieme, accetto, altrimenti non assumo l’incarico. Non capita spesso per fortuna.
Non seguiamo ad esempio catene grandissime, ma solo di 20-30 locali circa. Abbiamo gestito solo una volta un progetto per McDonald’s e stiamo seguendo nel Middle East l’espansione di Lavazza e Eataly: ma sono numeri diversi e soprattutto nascono dall’italianità, dalla storia del torrefattore che sono elementi al centro del progetto.
Il disegno di base tiene conto del made in Italy: lo stile, i colori, il buon gusto. Il modo in cui si dispongono i materiali. Dicono di me che sia lo stilista dei locali e in effetti mi piace pensare che come Costa Group abbiamo creato uno stile riconoscibile ovunque, dall’esposizione del prodotto alla disposizione degli arredi. Noi italiani all’estero abbiamo dettato le modalità che poi all’estero hanno replicato.
Negli Stati Uniti e in Giappone, proporre un locale come il Bicerin, sarebbe un successo. Siamo molto avanti nel mondo della caffetteria e dell’ospitalità rispetto al resto del mondo. Il Signor Schultz, il caffè lo ha preso a Milano e poi ha creato Starbucks. Ha fatto storia perché, a differenza degli italiani, ha avuto metodo e sistema. E questo è un passaggio fondamentale per comprendere il perché abbiamo inventato l’espresso, ma non siamo stati in grado di riscuotere un grandissimo successo globale. E così il caffè italiano è diventato famoso nel mondo, ma per mano di uno straniero.”
Ma Costa, quindi il bar italiano è morto?
“Il bar italiano di bassa qualità è morto. Ovvero, senza empatia, senza professionalità. Andrà avanti la caffetteria di alto livello, dove arredo, ambiente, storia, servizio, fanno la differenza. Questo è il futuro e allo stesso tempo anche il passato dei locali importanti ancora presenti nelle città italiane.
Non dobbiamo distruggerli, dobbiamo mantenerli in vita. Il Gambrinus, con Segafredo, rappresenta l’esempio di come una grande azienda ha voluto e sta riuscendo a tutelare una caffetteria che ha segnato la storia: questa è una grande operazione di salvataggio e questa è la bellezza del caffè. “
Come le piace il caffè?
“Il caffè come locale, mi piace come ambiente in cui entrare per fermarmi, sedermi. Il caffè non può sostenere l’intero successo di un locale, a meno che tu non sia un fuori classe dietro al bancone. Altrimenti bisogna offrire un menù completo, ad esempio abbinando soluzioni come il brunch, che possano aiutare a trasformarlo in un luogo in cui stare bene.
Se parliamo invece di caffè, mi piace l’espresso senza zucchero, anche una buona percentuale di Robusta, molto tostato, napoletano (nonostante quello che ha detto Report). Ma dipende sempre dai gusti.
L’espresso per me è un momento di convivialità. Deve soddisfare. E’ la degna chiusura del pasto.”