Gianluigi Goi è un nostro lettore nonché giornalista specialista di agricoltura di fama riconosciuta. Goi è affezionato a queste pagine alle quali, con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista, ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi analizza la situazione dell’espresso in Italia dalla puntata di Report di Rai3 fino al marchio di tutela Espresso STG Specialità Tradizionale Garantita. Leggiamo di seguito la sua opinione.
La situazione dell’espresso in Italia
di Gianluigi Goi
MILANO – “Evviva! Un’affermazione controcorrente importante addirittura in latino. Roba da non credere in tempi di parossistica esterofilia linguistica: “De gustibus non est disputandum”, i gusti non si discutono, ma si accettano. Autore di questa affermazione storicamente risaputa ma del tutto ignorata e negletta dai soloni delle discipline sensoriali – ho volutamente scritto discipline e non scienze – è Antonio Malvasi, autore di Barista Sapiens, giurista e docente, che su queste pagine ha, lo scorso 12 gennaio, pubblicato l’articolo “Antonio Malvasi in risposta a Report di Rai3: “Uniti per riconoscere il marchio di tutela Espresso STG specialità tradizionale garantita”.
Faccio mio, seppur consapevole di contare personalmente come il due di coppe con briscola di bastoni, l’appello del “barista sapiens” in quanto la proposta dell’Espresso SGT mi sembra assolutamente di buonsenso – merce oggi rara – e soprattutto si rivolge ai consumatori, i grandi assenti, purtroppo, nella fin troppo confusa e affollata arena del caffè. “Tutti insieme – appassionatamente quindi – per l’Espresso SGT e sottolinea Malvasi: “ci guadagna l’Italia, gli italiani, i baristi, i torrefattori, gli importatori e soprattutto i clienti che accetterebbero di pagare un espresso anche 2 euro sapendo che è estratto e garantito secondo quanto stabilito dal disciplinare”.
La denominazione STG, quando approvata – esemplifica Malvasi – è marchio valido in tutta l’Unione europea e “tutela la tipicità di un prodotto in virtù della ricetta o del metodo di produzione tradizionale. Il metodo di produzione dell’espresso è (indiscutibilmente: ndr) italiano e risale a circa un secolo fa”.
In altre e poche parole, l’SGT “tutelerebbe il metodo d’estrazione, la sua tradizionalità sull’intero territorio nazionale, il suo forte ed iconico legame culturale con il popolo del Bel Paese”.
Per quanto concerne la vexata quaestio – per continuare con la suggestione del latinorum – della qualità dell’espresso (sono sempre parole di Malvasi) se “ai napoletani e parte degli italiani piace bere un espresso amaro, astringente, con odori e aromi di bruciato, in una tazza super bollente, è una loro libera scelta.
Non commettono mica un reato. E gli altri se ne facciano una ragione … si è stati abituati a quel tipo di espresso”: ammesso e non necessariamente concesso, aggiungo io, che sia stato un errore.
L’imposizione da parte di una critica molto agguerrita, indiscutibilmente ‘saputa’ ma troppe volte arrogante, di un espresso per così dire ‘radical chic’ (oggi una parolaccia!) “poco cremoso, con odori floreali, speziati, con spiccata acidità, come se fosse l’alternativa ad un’abitudine immorale e vergognosa della stragrande maggioranza degli italiani” si è rivelata e si rivela, sic et simpliciter, un grande flop.
“Siamo tutti consapevoli – chiosa Malvasi – che l’italiano medio beve l’espresso in pochi secondi – non a caso si chiama “espresso”, sottolineiamo noi – si accerta che ci sia la crema, si inebria degli odori e aromi tipici di tostati, è consapevole dell’innato gusto amaro, che smorza con lo zucchero e poi si attende quel regalo, l’essenza dell’Espresso, ovvero la carica di energia e di tonicità donata dalla caffeina”.
Il dottor Ernesto Illy, grande figura di scienziato e chimico del caffè, imprenditore straordinario e uomo di assoluto carisma, anche a chi scrive ebbe modo di sottolineare che gli italiani, soprattutto al mattino, cercano caffeina e incidentalmente bevono caffè. Per quanto concerne il gusto amaro gradito a molti a fine pasto, va pur ricordato che dei cosiddetti “Amari” (liquori alcolici di varia gradazione e tipologia) è letteralmente pervasa tutta la Penisola.
Un altro articolo dell’8 gennaio, sempre qui su Comunicaffè, a firma del conte Giorgio Caballini, presidente del Consorzio di tutela del caffè espresso tradizionale titolato “La candidatura del rito dell’espresso italiano a patrimonio Unesco, questione diventata ormai di principio” – ci offre lo spunto per alcune considerazioni semplicemente scorrendo la cronistoria del Consorzio.
Inizio dell’attività il 15 settembre 2014; 2016: per la prima volta si concettualizza “Il caffè espresso italiano tradizionale”; 2019: la CNIU (Commissione Nazionale Italiana Unesco) sostenuta dal ministero dei Beni Culturali decide di riassegnare la candidatura al ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo (l’attuale MASAF); 2020: nasce la “Comunità del Rito (Arte) del caffè espresso italiano tradizionale” accompagnato dalla Carta dei Valori.
Ma “Rito” ed “Arte” sono paroloni molto impegnativi da spiegare ed utilizzare in un ambito come questo che non è di studi sociologici raffinati sostanzialmente per pochi intimi, ma di lavoro allargato a categorie diverse; 2021: inizio trattative con la variegata realtà caffeicola napoletana.
Sostanzialmente si confrontano la proposta iniziale del Consorzio “Il Rito e l’Arte del Caffè Espresso Italiano” con quella partenopea “Il caffè napoletano fra rito e socialità” avanzata nel 2019 dalla “Comunità emblematica napoletana” (dicitura colta quanto fumosa) rappresentata dall’Associazione Gran Caffè Gambrinus, dall’Associazione Espresso Napoletano e dall’Accademia Medeaterranea.
Secondo noi astruserie colte quanto inconcludenti sul piano pratico e sostanziale paravento di interessi locali.
Di qui la necessità della ricerca di un compromesso che, nel 2021, si sostanzia nel documento “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche tra Venezia e Napoli”.
Difficile capirne il significato e obiettivamente impossibile pensare di presentare simile documento ai rappresentanti dell’Unesco con un minimo di possibilità di accoglimento.
Goi continua: “Ergo, secondo noi opportunamente, nel 2022 il Gruppo di lavoro CNIU attivo nel ministero dell’Agricoltura ha deciso di cassare e non inoltrare questo documento tanto pretenzioso e complicato. Come dire, con il vecchio proverbio, che chi troppo vuole nulla stringe. Di emblematico in questa vicenda assolutamente dolorosa e nociva per la comunità del caffè italiano nel suo insieme e alla quale si dovrà cercare di mettere una qualche pezza in questo 2025, resta la constatazione che le sceneggiate non vanno oltre il pittoresco, possono anche stufare e qualche volta inducono persino ad evitarle”.
Goi: “Per concludere, ciliegina sulla torta, riportiamo – sempre da Comunicaffè del 16 gennaio di quest’anno, dal sommario dell’articolo “Cognini, Neroespresso riflette sullo specialty in Italia: “Ha senso vendere qualcosa che non piace ai consumatori?” “Cognini: Se ne parla spesso, ma il problema è che tutti noi operatori impegnati a spiegare il contrario con corsi e dimostrazioni, ci confrontiamo infine con il consumatore finale che desidera sempre l’amaro e il bruciato. E’ un punto importante di discussione, che non riesco bene a risolvere”.
Meditate gente, meditate”.
Gianluigi Goi