lunedì 03 Febbraio 2025
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Claudio Di Flaviano: la storia di un farmer italiano in Venezuela, 40 anni lungo la filiera del chicco

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MILANO – Ecco una storia che rappresenta il ponte di congiunzione di una filiera molto lunga quanto complessa, quella del caffè, nella figura di Claudio Di Flaviano, che da giovanissimo parte dall’Italia per avventurarsi nel Venezuela, tra le piantagioni dell’oro nero. La sua esperienza sul campo, può essere uno spunto di riflessione per guardare al contesto critico attuale, da una visione prospettica e più completa di come di solito si è abituati a fare da paese consumatore.

40 anni nel settore, a partire giovanissimo dal Paese dell’espresso a quello produttore: come ha visto evolversi la materia prima, il suo mercato, in questo arco di tempo e ai due estremi di una filiera così complessa?

“Negli anni ’80 ho acquistato la prima tenuta di 24 ettari, poi diventata di 28 in Venezuela, in Cerro Sabana Municipio Ospino. La mia storia in questo settore è iniziata studiando l’agricoltura, girando un po’ tutto il Sud America, dalla Colombia al Costa Rica, dal Nicaragua all’Honduras e passando naturalmente per il Brasile.

Questo approccio mi ha permesso di sviluppare nell’arco di 4-5 anni, una produzione molto più importante di quella di partenza. Ho svolto diverse analisi del suolo, ho constatato che il ph era troppo elevato e così ho trovato la soluzione migliore nella calce agricola, due chili da applicare a ciascuna pianta durante il mese di aprile, ovvero con l’avvio delle piogge e il periodo della fioritura.

Con questo sistema ho cambiato la struttura del terreno stesso, raggiungendo a dei livelli di ph di 5-5 punti e mezzo, ottenendo dei volumi più elevati. “

Il caffè in Venezuela, dal punto di vista del cafficultore, ha un ruolo molto importante

“Le varietà che si coltivano, 100% Arabica, si trovano ai livelli di 800 metri e arrivano sino ai 1700-1800 dove trovano radice in terreni non troppo acidi. Parliamo di una coltivazione molto florida, che dà un risultato in tazza equilibrato. Nella mia tenuta ad esempio, ho fatto crescere il Catuai, il Borboun, il Geisha, e questa stessa biodiversità permette, insieme all’intervento delle api, un’ottima qualità finale.”

La situazione qualitativa e produttiva del caffè venezuelano si è evoluta in tutto questo tempo?

“Gli ultimi anni certamente hanno visto una maggiore consapevolezza da parte dei farmers: oggi la loro è una visione molto più ampia. Lo stesso Paese investe più risorse per produrre caffè di qualità, e ha alle spalle un’esperienza davvero vasta rispetto al passato.

Ricordiamoci che il caffè e il cacao sono i due prodotti maggiori coloniali del Venezuela, almeno prima della scoperta del petrolio, e rappresentano quindi i pilastri dell’economia locale.

Adesso il settore sta procedendo spinto anche dalla presenza dei giovani, che hanno finalmente capito che coltivare il caffè è un mestiere che richiede particolare costanza e conoscenze tecniche. Per quanto riguarda i finanziamenti, anche le banche si stanno muovendo per sostenere maggiormente le cooperative produttrici di caffè.”

Come sta vivendo oggi il Venezuela dal suo punto di vista, questo periodo di forti rialzi in Borsa?

“Osservando i prezzi di oggi della materia prima che si sono impennati tantissimo, in Europa e quindi anche in Italia, posso affermare che comunque questo fenomeno non va a beneficio necessariamente dei coltivatori: buona parte di questi rincari viene invece assorbita dalle speculazioni dei mercati.

Il periodo di raccolta di settembre-ottobre-novembre-dicembre è quello decisivo per comprendere meglio la situazione: ora ne stiamo appena uscendo e la produzione però sembra avere numeri sufficienti per rispondere alla domanda. Per cui, a fronte del fatto che la materia prima non manca del tutto come suggerisce il mercato, questi prezzi sono più frutto di speculazione.

Prevedo comunque che questo andamento subirà un’inversione in futuro, innanzitutto perché caleranno i consumi e si sarà costretti così a fare le dovute valutazioni. Controllo quasi tutti i giorni la Borsa di New York e di Londra, dove i prezzi si mantengono alti, ma in realtà è un picco che abbiamo già vissuto in passato.

Mi ricordo nel 1988-89-90, la stessa situazione: i prezzi poi sono scesi vertiginosamente nel ’94-95 e da farmer non sono riuscito più a vendere il caffè e i costi di produzione rispetto a ciò che potevano pagarmi, erano diventati difficili da coprire.

Certamente non si tratta di un processo che cambierà nell’immediato. Il caffè al chilo sta intorno ai 7.80 adesso e in questo momento dobbiamo attendere ancora i risultati della raccolta dei Paesi produttori: questo aumenterà la capacità di offerta.

Sono abbastanza sicuro però che questo fenomeno, non avrà un impatto positivo sul farmers. Normalmente, appena ha terminato il suo lavoro di raccolta e di processazione – molto impegnativo anche per le condizioni climatiche da affrontare e lo dico perché l’ho sperimentato in prima persona – che quest’anno si è un po’ spostato temporalmente (iniziato invece che nel mese di ottobre come vuole la norma, a partire da novembre e quindi si chiuderà soltanto a gennaio) passerà nelle mani delle cooperative e tra le organizzazioni per poi essere messo sul mercato e l’esportazione.”

Secondo lei che cosa definisce di più la qualità di una tazzina finale? Il verde, il modo in cui viene selezionato, la tostatura oppure l’estrazione corretta?

“Secondo la mia umile esperienza, coltivare il miglior verde, una buona selezione, non garantisce per forza la qualità della tazzina. il processo della tostatura è il passaggio che fa davvero la differenza. È possibile scegliere la migliore materia prima e creare un’ottima miscela, ma se si sbaglia la cottura, si manderà all’aria tutto il resto del lavoro fatto a monte.

In Italia c’è una tradizione forte per ottenere l’eccellenza della tostatura per una tazza di espresso. Nel nostro Paese, ho conosciuto tanti professionisti che mi hanno raccontato le proprie modalità di lavoro, ma infine il segreto resta le prestazioni della macchina tostatrice, e saperne comprendere le condizioni ideali per valorizzare il chicco verde. Il barista così avrà a disposizione una miscela già pronta per essere estratta correttamente.

Qualsiasi torrefazione inoltre deve possedere un laboratorio efficiente che consente, ogni volta che viene scaricato il caffè tostato, di determinare per 100 grammi di caffè il suo colore in modo da stabilire un parametro per le tostature successive e mantenere una certa costanza nel prodotto finale. Esiste quindi un lavoro molto complesso che viene svolto dagli operatori al di là della fase in sé della torrefazione.

La tostatrice consente di procedere nel modo giusto. Oggi certo esistono diverse tendenze: il caffè più commerciale viene trattato da macchine automatizzate e questo trasforma il tostatore in un più semplice osservatore, con livelli di cottura elevatissimi in poco tempo (15-16 minuti) che spesso bruciano il verde.

Il miglior approccio è nell’artigianalità, usando delle attrezzature che permettono un maggiore controllo e l’intervento del tostatore: nei minuti finali del processo è per esempio possibile misurare tutti i valori e monitorare più nel dettaglio le fasi di sviluppo del chicco.

Quando si tosta a temperature elevate, bisogna evitare anche il rischio della formazione dell’acrilamide: necessario quindi mantenere un certo equilibrio. Non è un mestiere per tutti, certamente.”

Ora la preoccupazione dell’EUDR: cosa sta succedendo in Venezuela sul tema?

“Per comprendere meglio gli effetti, le conseguenze di questo regolamento, bisognerebbe che i poteri decisionali vivessero, toccassero con mano, le effettive condizioni che si vivono nei Paesi produttori.

Ciascuno di questi, ha una diversa cultura da tenere in considerazione: ad esempio in Venezuela, prima di abbattere un albero, bisogna piantarne uno nuovo. Le piantagioni di caffè hanno bisogno di proteggere il suolo e quindi è necessaria una buona dose d’ombra: posso garantire che dove si coltiva questa materia prima, si trova una foresta che consente di far penetrare i raggi solari in maniera adeguata senza un’esposizione totale.

Ho visto poche volte la deforestazione di cui si parla in Venezuela, anzi, è un’eccezione generalmente. Il farmer normalmente protegge l’ambiente, perché sa che i suoli sulle fasce montuose, necessitano della presenza di alberi per garantire la produzione.

Parlando del Brasile, nei terreni pianeggianti a 1000 metri – parliamo di alti volumi di materia prima prodotta – e a completa esposizione solare, dove la raccolta è meccanizzata, avviene la deforestazione, ma esistono molti esempi di cafficultori in cui questo fenomeno è ridotto nettamente.”

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