mercoledì 15 Gennaio 2025

Andrea Bellisai, formatore dalla Sardegna, su Report: “Non basta l’informazione incompleta, si rischia così di peggiorare le cose”

Il formatore: "Credo che tutto debba partire dalle torrefazioni: se si vuole erogare un buon prodotto, non si può poi prendersela con i baristi che non estraggono correttamente la bevanda. Ma sappiamo perché i torrefattori sottovalutano questo aspetto e loro per primi spesso avrebbero bisogno di qualche corso di formazione, per comprendere come deve essere trattato il loro prodotto nei bar."

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MILANO – Andrea Bellisai, in seguito alla puntata di Report che ha puntato i riflettori sulla realtà dietro al bancone e non solo, interviene in qualità di formatore. Un lavoro che pone diverse sfide, non solo nella pratica, ma anche nel confrontarsi continuamente con vecchie modalità di lavoro e di insegnamento. Un discorso ancora più complesso se si parla del campo d’azione di Bellisai, che si sposta su tutto il territorio nazionale compresa la Sardegna, un’area inevitabilmente isolata anche da questo punto di vista.

La sua storia inizia come quella di tanti altri nel settore: a 17 anni si mette all’opera, senza però avere particolare consapevolezza di cosa fosse il mestiere. Poi, la svolta nell’incontro con Chiara Bergonzi, attraverso un corso di latte art nel 2014.

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L’idea era quella di intraprendere un percorso professionale all’interno della caffetteria: “Mi sono reso conto che servivo un prodotto scadente, e seguendo quelle lezioni mi si è aperto un mondo. Da lì in poi ogni mio stipendio veniva speso in buona parte per continuare a seguire tutti i moduli Sca barista e brewing, dal basic al professional, affiancandoli naturalmente allo studio da autodidatta.”

Ha partecipato anche a due gare di latte art che lo hanno ulteriormente messo in contatto con altri campioni mondiali. Grazie a queste competizioni, è ancora più entrato dentro la community.

A lezione con Andrea Bellisai (foto concessa)

Poi sono arrivati i primi contatti con le aziende che avevano bisogno di un formatore. Un mestiere che Bellisai descrive come difficile: “Perché trasmettere al barista l’enorme quantità di competenze necessarie dietro al bancone, non è sempre un’operazione compresa da tutti.”

Bellisai durante il Covid, decide di aprire il proprio centro di formazione in Sardegna

“Avevo quasi tutte le attrezzature di mia proprietà e così ho avviato la scuola all’interno di uno spazio di riparazione tecnica di macchine di caffè molto conosciuto in Sardegna, con due sale, una per la teoria e una per la pratica. Non ci sono macchine obsolete, tutto è all’avanguardia.

Ho aperto l’Academy senza alcun appoggio esterno: la struttura, la pagina, il sito internet, ogni aspetto l’ho voluto gestire indipendentemente da qualsiasi altro marchio. Ho studiato tutta quella parte che poteva aiutarmi a farmi conoscere online e ho lavorato al 99% grazie al passaparola: i miei stessi corsisti hanno dato degli ottimi feedback e recensioni. Il mio passato poi mi aveva già reso noto nel nostro ambiente.

Da me si iscrive una clientela mista: arrivano ragazzi dagli Istituti alberghieri ancora minorenni, perché giro tutta Italia a fare formazione nelle scuole anche ai docenti. Ma non mancano neppure i baristi che svolgono il mestiere da 30 anni e vogliono aggiornarsi. Anche gli imprenditori si rivolgono a noi per far evolvere il proprio personale: le imprese, che spesso ignorano questa possibilità, dispongono di un tot del budget da investire nella formazione dei dipendenti che poi viene scaricato dalle tasse. Non tutti però sanno questa
cosa o non riescono ad anticipare la quota da dedicare.”

Nell’ultimo anno ho lavorato più con i gestori che con i singoli privati

“Una cosa prima davvero rara. Non mi sono ancora dato una spiegazione, ma sicuramente il mio lavoro di tutti questi anni sta dando i suoi frutti. Poi entra in gioco anche la concorrenza tra i titolari, che osservano come i loro competitor si muovono in diverse direzioni e reagiscono di conseguenza.

Poi in Sardegna purtroppo devo dire che la mentalità è davvero più chiusa rispetto al resto del Paese sul piano della formazione. “

Rispetto a Report

Bellisai: “Sinceramente non trovo nessuna differenza tra il mercato napoletano e quello del resto d’Italia. La scarsa pulizia e formazione si trova anche a Roma e a Milano. Il problema dunque non è poi tanto neppure la materia prima: pensiamo a quanto vino scadente si vende e si beve. Il reale punto critico resta ancora una volta la formazione: il titolare di un’azienda o un barista non acquisterebbero mai un caffè di scarsa qualità se sapessero riconoscerlo.

Ci penserebbero meglio e così, se il barista ha una maggiore conoscenza del prodotto, di conseguenza anche il cliente verrà educato a sua volta su ciò che ordina. Molto quindi potrebbe e dovrebbe passare a monte dal torrefattore che rifornisce i locali.

Da parte mia ho provato nel tempo a collaborare con alcune torrefazioni in Sardegna, presenti anche in Italia. Ho deciso però che nella mia Academy non si parla mai di brand, ma di caffè in generale come materia prima, senza fare pubblicità a nessun marchio specifico con cui collaboro. Utilizzo il verde selezionato da me, per poter poi essere libero di insegnare quello che ritengo necessario e corretto.

Quindi faccio una formazione mirata sulla qualità a prescindere dalle aziende di riferimento.
Per quanto riguarda lo specialty, ne sono un grande promotore. Tuttavia non è possibile parlare soltanto di quello, perché siamo comunque in Italia e le nostre abitudini sono diverse e vanno tenute in considerazione. Esistono caffè commerciali buoni, che però devono essere trattati adeguatamente per un buon risultato in tazza.

Ed io fornisco gli strumenti necessari per valorizzare anche queste soluzioni più di massa ma di fascia medio alta. Il discorso sulla tostatura procede secondo il medesimo principio: quella chiara per gli specialty fa comodo perché si usano più grammi di caffè, ma non è l’intensità del colore del chicco l’aspetto da demonizzare. Ogni materia prima può essere trattata diversamente a seconda di come lo si vuole valorizzare. L’importante è non superare quella soglia oltre la quale vengono rilasciati gli oli e si brucia il verde. “

L’argomento più duro su cui lavorare nella formazione?

“Le cose più difficili da far comprendere riguardano la comprensione del gusto dell’espresso e l’importanza della pulizia: noi come italiani siamo abituati a bere delle tazzine amare, bruciate, per cui insistere sulla parte dell’assaggio con i miei studenti è inizialmente un po’ complesso. Ad esempio la percezione di acido e amaro, che spesso si confondono, è un ostacolo da superare quasi sempre.

Dentro l’Academy di Andrea Bellisai (foto concessa)

L’altro aspetto dolente è la manutenzione delle attrezzature alla quale dedico molto spazio e rispetto cui esistono dei falsi miti. Ad esempio la leggenda che sia fondamentale sporcare la macchina il mattino per conferirgli il sapore del caffè. Sono tutte delle nozioni che sono state tramandate da anni di gestioni in questo modo: il reale motivo per cui è buona norma preparare dei caffè prima dell’apertura, è per la regolazione della corretta
macinatura, non per attribuire sentori alla macchina.

Inoltre, propongo determinati prodotti studiati per una pulizia corretta, seguendo i miei clienti direttamente dalla A alla Z.

Spesso confrontarmi con persone che fanno questo lavoro da anni ignorando l’importanza di questo passaggio, è più difficile di tutto il resto. Ogni fine lezione, lascio pulire le attrezzature ai ragazzi e poi ci prepariamo il caffè: con la macchina pulita la tazzina è più buona. Il messaggio è: la macchina va pulita più volte durante il giorno, non soltanto a fine giornata.”

La formazione dei docenti negli Istituti alberghieri

“Innanzitutto ho notato una cosa singolare, ovvero che non c’è un corso di latte art all’interno degli Istituti alberghieri: si è rimasti fermi agli anni ‘80-90, quando sono stati assunti i docenti che oggi stanno per andare in pensione. Quindi molti di loro non si sono aggiornati, anche perché non sono obbligati a farlo. E non solo: io stesso ho tenuto corsi a professori di ragazzi appena assunti di 23-24 anni, che quindi ancora non sanno comprensibilmente molto di più dei loro studenti di 17.

Degli studenti che ho seguito, sono rimasti stravolti da quanto abbiano imparato da me in poche ore rispetto agli anni passati dentro la loro scuola. Questo perché gli stessi docenti spesso dovrebbero formarsi. Quando mi inserisco da esterno come insegnante, spesso vengo percepito quasi come una minaccia: invece mi metto a disposizione per aggiornarli, non per rubare loro il lavoro.

Dall’altra parte devo dire che ci sono anche dei docenti che si propongono all’Academy per formarsi con corsi individuali insieme. Hanno acquisito le competenze sufficienti per poi insegnare nelle loro scuole.

Sono contento che questo accada, proprio perché non mi guida alcun spirito di concorrenza. Giochiamo tutti nella stessa squadra.

E cosa ha trovato come macchine negli Istituti?

Bellisai: “In alcune scuole c’erano macchine per espresso di 40 anni fa, alcuni ragazzi non sapevano neppure dell’esistenza delle superautomatiche. Spiegare in questi contesti, significa partire davvero dalle basi.

Alcuni libri di testo sono altrettanto obsoleti e affermano cose che non sono corrette: 7 grammi per l’espresso, ad esempio, che ormai si sa che sono troppo pochi. Ma anche in questo caso è responsabilità dei docenti che, se non sono preparati, non sentono neppure l’esigenza di cambiare i manuali. Ho formato tutt’oggi in Sardegna 28 docenti sardi e ogni tre mesi, a Torino e a Bra, presso l’Istituto Velso Mucci: la prima scuola che sta investendo tanto sulla formazione dei docenti e dei ragazzi sulla caffettiera.

Le scuole negli ultimi due anni stanno ricevendo soldi con il PNRR da investire obbligatoriamente in formazione e attrezzature: ma spesso queste risorse vengono disperse per mancanza di organizzazione.

Invece questo istituto ci sta riuscendo con grande efficacia. La latte art da servizio, comunque si conferma un buon cavallo di Troia per conquistare i ragazzi e avvicinarli poi a tutto il resto della caffetteria e quindi sarebbe il caso di inserirla strutturalmente nell’offerta
didattiche delle scuole alberghiere.”

Bellisai, parliamo della sua Academy

“Ho già in atto il prossimo progetto: aprire il secondo punto nel centro Sardegna nell’Ogliastra. Vorrei raggiungere un po’ anche questa zona e tra qualche mese dovrebbe essere avviato. Continuerò i progetti rivolti alle persone svantaggiate, collaborando con la Caritas e aprendo nuove opportunità professionali a ragazzi che non dispongono di molti mezzi per professionalizzarsi. In quel caso avevano scelto proprio loro di formarsi nella caffetteria ed è stato per me particolarmente gratificante.

Sono anche stato contattato per fare corsi con enti terziari o statali, ma è un ambiente che non favorisce la corretta formazione: le classi sono troppo numerose e spesso a monte non si conoscono neppure gli argomenti trattati, durano sei mesi, con un programma deciso da terzi. Sulla carta potrebbe essere bello seguirli, perché si ottiene la qualifica regionale: ma in questo caso avere la certificazione non significa necessariamente essere competenti.

I genitori questo lo sanno? No. E non c’è alcun ente che controlli e formi i docenti, anche sotto obbligo. Gli stessi controlli di Haccp nei bar avvengono in maniera superficiale. Il servizio di Report doveva essere ancora più incisivo su questo: non va solo pulita la tramoggia, bisogna spiegare anche come pulirla. Ho visto qualcuno metterla nella lavastoviglie: l’informazione incompleta non basta. Dare nozioni a metà può confondere ulteriormente e rischia addirittura di peggiorare le cose.

Credo che tutto debba partire dalle torrefazioni: se si vuole erogare un buon prodotto, non si può poi prendersela con i baristi che non estraggono correttamente la bevanda. Ma sappiamo perché i torrefattori sottovalutano questo aspetto e loro per primi spesso avrebbero bisogno di qualche corso di formazione, per comprendere come deve essere trattato il loro prodotto nei bar.

Tra vent’anni ancora sarà così, anzi, andrà peggio: se il costo della materia prima continuerà a salire, si tenterà di acquistare caffè verde ancora di più bassa qualità. “

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