MILANO – Roberto Pedini, sales coordinator business development IMF Coffee Roasters si pronuncia su REPORT, da esperto di processi di tostatura. Se ne occupa da una vita per diverse aziende, e conosce bene l’argomento: alcune perplessità sono emerse dal suo punto di vista che condividiamo di seguito.
L’analisi dell’episodio andato in onda
di Roberto Pedini
“Facciamo attenzione a giudicare troppo una categoria, un certo stile di tostatura: non è la prima volta che questi temi saltano fuori, ma si deve uscire dall’impostazione del discorso in maniera tendenziosa. L’Italia resta un Paese che il resto del mondo guarda sempre con ammirazione e dal quale si vuole emulare la tecnologia delle macchine espresso, delle attrezzature per tostare e macinare, così come il rito del bar. Chi opera in questo settore, può confermare che dall’estero ci prendono come punto di riferimento.
Venendo invece alla tostatura, che per professione conosco bene, non si può dire che ne esiste una ottimale o migliore dell’altra. Bisogna innanzitutto tenere conto del mercato di riferimento, delle abitudini di consumo e dell’utilizzo finale (compresi i metodi di estrazione).
Demonizzare un processo rispetto a un altro, non è un approccio corretto. La tostatura scura viene un po’ criticata e vorrei invece spezzare una lancia a suo favore: non è soltanto un modo per coprire i difetti della materia prima.
Oltre che in Italia esistono aziende e Paesi – come in Asia o negli Stati Uniti – che scelgono di applicarla per conferire certi aromi e caratteristiche in tazza anche partendo proprio da caffè verdi pregiati. Si arriva a spingersi addirittura fino a 22 /25 punti di scala Agtron, utilizzando appunto Arabica di altissima qualità, con chicchi con alta densità che proprio per questo sopportano tostature così spinte limitando i rischi dell’autocombustione degli stessi.
Non è dunque automaticamente una modalità scorretta o che serve a dissimulare la bassa qualità del verde.
Ovviamente ci sono aziende che devono porre attenzione ai loro cicli di produzione, soprattutto se si tosta scuro: dipende anche dalle tecnologie utilizzate e ad esempio se si ottiene con altissime temperature e tempi brevi si avrà una trasudazione d’olio ancora piu’ spiccata rispetto tostature si , scure , ottenute a temperature meno elevate ma piu’ prolungate.
Con le tostature scure si deve piuttosto porre molta piu’ attenzione ai tempi di distribuzione commercializzazione del prodotto tostato: si sa che qualsiasi tipo di bevanda e cibo in cui sono presenti grassi e oli, sono soggetti ad ossidazione piu’ precoce . Il caffè tostato scuro non può essere tenuto da parte magari nei retri dei bar per troppe settimane o addirittura mesi, prima che possa finire nelle tazzine dei consumatori ; un caffè tostato scuro ha shelf life molto piu’ corta rispetto ad una tostatura chiara , ma ovviamente avrà aromi gusti e corposità differenti.
Si parte sempre dal presupposto che ogni azienda ha stabilito il proprio standard qualitativo ed esistono caffè verdi di livello inferiore e il risultato in tazza ne sarà un riflesso, come per tutti gli i tipi di cibo e bevande esistenti sul bercato.
Pensiamo solo all’uso dell’espresso nei bar che viene utilizzato anche come ingrediente per i tantissimi cappuccini serviti nel mondo: caratterizzato da un’acidità spiccata talvolta eccessiva non si otterrebbe sufficiente forza per penetrare il sapore dolciastro del latte , mentre invece al contrario con la tostatura , scura che dona gusti di caramelizzati e di tipicità amarognola sono un perfetto connubio per ottenere le tante amate gradevoli bevande a base di latte e caffè apprezzate in tutto il mondo.
Questo significa che certi tipi di tostatura chiara sono più indicati per diverse applicazioni, come la bevanda del caffè filtro per percolazione: con il metodo espresso ad alta pressione si enfatizzano le caratteristiche ,si estraggono oltre 1000 caratteristiche organolettiche, mentre con il filtro non più di 250/300, quindi una tostatura chiara o molto chiara con una spiccata acidità potrebbe nell’espresso addirittura sconfinare nel citrico.
“Quando si parla di caffè si dovrebbero coinvolgere tutte le parti interessate”
“Sembra in queste trasmissioni di vedere solo una categoria in particolare, dai baristi ai torrefattori, messa sotto accusa perché non lavora secondo canoni di associazioni come SCA, che però sono strutturate seguendo delle impostazioni derivate dai Paesi anglosassoni.
Per la formazione ci si affida a dei parametri che sono lontani dalla tradizione italiana, derivate da un mondo anglosassone in cui si prediligono metodi di estrazione diverse dall’espresso e tostature più chiare.
Ho notato troppo spesso durante i corsi che si parla più di frutta e verdura che di caffè. Mi piacerebbe invece sentir descrivere un po’ più di aromi di caffè che di fiori e frutta esotica.”
Un punto a favore della puntata
“Le provocazioni su determinate categorie del settore, obbligano però dall’altra parte a curarsi maggiormente della professionalità lungo la filiera sino alla somministrazione al consumatore finale. Se ci sono punti critici, lì si deve migliorare: un barista che non pulisce la macchina, non sa a che temperatura dev’essere tarata , come macinarlo, o non riconosce se la miscela di chicchi fornitagli è composta da piu’ arabica o robusta indispensabile per poi settare diversamente i parametri predetti non è da demonizzare tutta la categoria ma da coinvolgere in un percorso formativo almeno di base prima di improvvisarlo dietro ad un baco bar.
Per concludere, un po’ di colpe ce le dobbiamo assumere: non abbiamo capito l’esigenza degli ultimi 20 anni dove vi era l’esigenza di fare formazione per l’aggiornamento degli addetti ai lavori, dai tostatori ai baristi. Ma non avendo fatto fronte comune nel sistema caffè italiano, ma contando su associazioni divise, i torrefattori e gli utenti hanno cercato di sviluppare le proprie competenze all’interno di un’organizzazione impostata però con parametri che vengono dall’estero.
La Sca ha trovato un terreno fertile, colmando il gap di esigenza di formazione che esisteva , codificandolo laddove non siamo stati in grado di fare noi per primi da italiani. Fino al punto che non riusciamo neppure a ottenere il riconoscimento Unesco per l’espresso. Dobbiamo invece difendere le tradizioni e il know-how italiano. è anche vero pero’ cha da un certo punto di vista si deve anche ringraziare la SCA per aver costretto il modo caffè ad essere piu’ sensibili ed attenti agli aspetti qualitatitivi sia della materia prima fino al modo di somministrarla quindi è giusto porre l’attenzione là dove ci sono criticità e attivare iniziative per migliorare , senza dover puntare il dito su di un tipo di prodotto od una categoria in particolare.
Mi è sembrato un po’ superficiale il modo di affrontare il tema del caffè italiano, sentendo solo una parte di una certa tendenza e non coinvolgendo le tante voci coinvolte nella filiera di lavorazione del caffè da importatori di caffè verde , costruttori di tecnologie di tostatura , macinatura piuttosto che macchine per l’estrazione ed erogazione.
Non vedo come utile per il settore, improntare una trasmissione in una maniera così parziale tendenziosa e divisiva anziché fare fronte comune per difendere la nostra eccellenza del caffè lavorato all’Italiana nelle sue diverse sfumature apprezzato e ricercato in tutto il mondo anche dalle nuove generazioni che porterebbe sicuramente positività e vantaggi per tutti”.
Roberto Pedini