mercoledì 18 Dicembre 2024
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Paolo Scimone che commenta REPORT: “Generalizzazione, scarsa conoscenza, esterofilia, sono il cocktail letale per tutta l’industria italiana del caffè”

Scimone: "Posso esimermi dal commentare il termine Arruscato? Con tutto il rispetto per la parola alquanto folkloristica, posso permettermi di dissentire che il picco degli aromi preceda di poco il bruciato, sarebbe più onesto dire: a me piace così, contento io (ed i miei clienti), contenti tutti!"

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Paolo Scimone, micro roaster di specialty della torrefazione His Majesty The Coffee con sede a Monza, nel settore non ha bisogno di particolari presentazioni: tostatore esperto, formatore, consulente richiesto in giro per tutto il mondo, non ha mancato l’appello di Report e coglie la palla al balzo per esprimersi su ciò che è andato in onda su Rai 3.

di Paolo Scimone

Scimone in risposta a REPORT: “Vorrei iniziare con un’affermazione: nessuno deve avere la presunzione di educare o cambiare stile di vita alle persone, imponendo il proprio credo od i propri gusti. Questo è l’errore incredibile che fanno molte delle persone che esportano all’estero il modello italiano: bisogna entrare in punta di piedi nel mercato, ispirarsi alla propria idea di business e modellarla sui gusti e sulle abitudini locali.

Faccio un esempio: ricreare un bancone all’italiana predisposto per un consumo veloce della tazzina di caffè e concentrare tutti gli sforzi sulla preparazione e servizio dell’espresso, supportato da un’offerta di qualche croissant…beh funziona a casa nostra, ma non pensate minimamente che la gente, nel paese in cui vi trovate, cambi le proprie abitudini per voi.

Solitamente magari consumano la bevanda seduti, o la preferiscono con il latte o ghiaccio o acqua calda e la accompagnano con qualcosa di salato.

Ho divagato un po’ per far capire che un’approccio arrogante ed estremista, molto spesso è controproducente. Sono il primo a dire che le campane sporche sono terrificanti, che il “purge” è fondamentale, che la formazione è assolutamente necessaria, chi sbandiera 30 anni di esperienza nel settore, dovrebbe domandarsi come lo ha eseguito e se si è mai aggiornato (consiglierei ad alcuni baristi anche un corso d’italiano).

Non sono altresì d’accordo su alcune affermazioni, probabilmente dettate dall’enfasi dell’intervista, dette da alcuni colleghi. In particolare non tollero molto chi sputa nel piatto in cui ha mangiato.

Prendiamo ad esempio la demonizzazione della tostatura scura, dire che si tosta di più per coprire i difetti, talvolta è corretto (nei casi di caffè astringenti, o caffè aspri e fermentati) ma nella maggior parte dei casi non corrisponde al vero, poichè se volete tostare scuro (diciamo per un caffè “stile Napoletano”) siete obbligati ad acquistare caffè con pochi difetti e di crivello grande altrimenti non otterreste mai un prodotto che mantiene una discreta dolcezza e l’amaro raggiungerebbe dei livelli assolutamente inaccettabili.

Scimone: “La mia esperienza sul campo ha confermato nel tempo che, salvo rare eccezioni, i migliori caffè li ho trovati nelle torrefazioni che tostano abbastanza scuro (specialty coffee a parte)”.

Scimone aggiunge: “Non vorrei dedicare troppo tempo al “palato geneticamente modificato”…mi pare un’affermazione un po’ eccessiva e folkloristica, le chiamerei piuttosto abitudini alimentari radicate e profilo sensoriale imposto dal contesto in cui si cresce.

Trovo inappropriato mostrare dei chicchi tostati chiari e dire che è il grado di tostatura corretta, corretta per cosa? Per chi? La storia di Starbucks ha infatti insegnato che tostando scuro non si va da nessuna parte! In 50 anni hanno solamente aperto 36000 store, chissà quanti ne avrebbero aperti se avessero tostato in modo corretto! (risata)

Non fraintendetemi, io sono un sostenitore della tostatura chiara, contestualizzata. Ho trovato la trasmissione utile, tanto quanto quella di qualche anno fa, che tra l’altro mi pare vertesse sui medesimi argomenti.

Non voglio essere il paladino del dark roast, io stesso prediligo caffè floreali e fruttati per il mio consumo personale (ndr non tutta l’arabica sa di gelsomino e fiori d’arancio, anzi direi proprio che solo alcune varietà hanno queste caratteristiche), desidererei solo un po’ di onestà intellettuale da parte dei colleghi, menzionando che anche dei caffè tostati troppo chiari hanno sentori altrettanto sgradevoli, come acidità acetica, astringenza, ecc. Ahimè abbiamo ormai sdoganato difetti come il fermentato e caffè assolutamente sbilanciati.

Un altro appunto desidererei farlo riguardo l’affermazione che l’Arabica è una varietà pregiata e la Robusta di minore qualità, beh diciamo che hanno caratteristiche diverse, io personalmente sono amante dell’Arabica, ma non discrimino assolutamente chi predilige la Robusta, per svariati motivi che non sono riconducibili al prezzo inferiore.

Passiamo al discorso ustioni, concordo con il concetto che la tazzina bollente rovina il prodotto ed ha stufato, le tre C napoletane han fatto il loro corso, però non tollero neppure il caso opposto: la tazzina fredda è assolutamente deleteria per gli aromi del caffè.

Arriviamo al discorso del “macinato al momento”. Un caffè tostato ricco di CO2 sarebbe impossibile da servire, se non rilascia gran parte dell’anidride carbonica accumulata in dase di tostatura.

La perdita maggiore di CO2 avviene quando il caffè viene macinato. Il barista che ha la vaschetta col caffè macinato, probabilmente ha adottato questa soluzione poiché il suo torrefattore gli fornisce un prodotto spesso fresco e non degassato a sufficienza e lui ha trovato questo escamotage per poter servire qualcosa che abbia una crema abbastanza stabile. Sto solo cercando una chiave di lettura differente, a questa strano metodo di lavoro.

Un plauso ai locali basso vendenti che hanno optato per una soluzione monodose come la cialda, anziché imbarcarsi in complicati servizi che richiedono cura e dedizione al prodotto.

Scimone: “Posso esimermi dal commentare il termine Arruscato? Con tutto il rispetto per la parola alquanto folkloristica, posso permettermi di dissentire che il picco degli aromi preceda di poco il bruciato, sarebbe più onesto dire: a me piace così, contento io (ed i miei clienti), contenti tutti!”

Scimone aggiunge: “Per finire vorrei dire che è facile dar contro al torrefattore senza rendersi conto che gli stessi sono “ostaggi” della scarsa conoscenza dei baristi, i quali li tengono sotto scacco mettendoli in competizione tra di loro per qualche euro di differenza, che minacciano di cambiar caffè se avvertono la benché minima acidità o che dicono che il prodotto non è di qualità se tutto il chicco non è uniformemente oleoso, non li biasimo.

I torrefattori napoletani sono schiavi di generazioni di baristi arrangiati, “imparati” (come direbbero loro), a cui un po’ di formazione non guasterebbe affatto. Ci sono tantissime realtà che lavorano bene a Napoli, come a Milano, Firenze o Roma. Il consumatore dovrebbe pretendere di più dal proprio barista di fiducia, il quale a sua volta acquisirebbe consapevolezza formandosi e informandosi…e saremmo tutti più contenti”.

                                                                                                       Paolo Scimone

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