Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, espone la sua opinione sull’inchiesta di REPORT andata in onda domenica sera, elencando gli elementi che non sono stati analizzati. Leggiamo di seguito la sua opinione.
di Mauro Cipolla
Il programma di REPORT non ha parlato della tradizione italiana che lavora bene e che ancora esiste. Non ha parlato della differenza tra caffè industriali e artigianali. Inoltre, non ha parlato del gravissimo e grande problema dei finanziamenti dati dai torrefattori per entrare sia nei bar di bassa qualità e di alto volume e sia nella ristorazione degli chef dai nomi internazionali.
REPORT ha solo esposto i due estremi del caffè, dividendo e non unendo le strade della qualità per il bene del consumatore.
Spacciando lo stile napoletano e i caffè comunque industriali come il gusto e la tradizione italiana che piace.
L’altro come quella metodologia di formazione, materia prima e torrefazione che rappresenta come il caffe italiano dovrebbe invece essere.
Hanno connesso la tradizione divenuta italiana al folclore, alla cultura locale e al non avere alcuna formazione.
Cosa è arrivato a chi ha preso visione del programma? Che il vero caffè del Bel Paese, secondo gli italiani, è quello tostato molto scuro e cha fa riferimento a un gusto napoletano?
Dall’altra parte, in maniera opposta, hanno parlato di una tostatura estremamente chiara, che italiana di fatto non é, e che, sempre secondo loro, è l’unica annessa e connessa alla materia prima di qualità, alla formazione e all’ innovazione.
Detto ciò non hanno raccontato la vera storia italiana degli anni settanta, quando non esistevano i finanziamenti e le sponsorizzazioni tecniche da parte dei torrefattori, e non era mai contemplato il caffè tostato scuro come quello di oggi ma neanche come quello chiaro come considerato da quelli che secondo loro lavorano bene.
La verità risiede in tre pilastri che, guarda caso, non hanno raccontato e cioè:
– nella storia dei mercati e nell’elasticitè del prezzo da una parte (dove il consumatore ha una grandissima colpa nelle ragioni di vedere al ribasso le qualità del caffè)
– nel marketing dove oggi conta più la comunicazione e l’immagine che l’esperienza vissuta
– nella fisica e nella chimica , e cioè che il caffè, come nella cucina, per essere eccelso e non dare fastidio al piacere e alla salute dell’uomo, necessita ovviamente di materia prima di alta qualità, la quale, esente da difetti, deve essere tostata ad un livello di tostatura che rispetti (proprio come nella cucina) le reazioni di Maillard.
Non hanno raccontato che negli anni ’70, proprio a Napoli, esistevano dei caffè che erano conosciuti come il manto di Monaco e non erano tostati affatto scuri.
Lo stesso caffè del Professore, era un caffè del colore a manto di monaco. Più si saliva verso il nord Italia e più i caffè diventavano chiari in tostatura ma mai e poi mai come le tostature chiare indicate sul programma di Report da alcuni torrefattori che sono pagati per fare formazione, per fare da testimonial anche di grandi industrie e che erano tutti insieme contro i caffè italiani come se tutti questi fossero una “ciofeca”, ad una fiera di settore.
Di fatto quelle tostature dipinte dai trainer settoriali dell’associazione dello Specialty Coffee così chiare, provengono storicamente dal mondo anglosassone e non dalla nostra bellissima Italia.
Questi stile di tostatura derivano e sono state creare all’estero ad origine per i caffè a filtro e non per il caffè espresso. Si tratta di tutt’altro tipo di estrazione.
Inoltre nessuno ha discusso che la tradizione italiana negli anni ’60-’70 e inizio anni ’80 ha fatto un immenso lavoro sulla formazione dei baristi, con corsi, libretti e patentini per utilizzare le Faema ai 61 le Rancilio Z9AT o altre macchine e che comunque, già negli anni settanta e ottanta, venivano scritti libri da Illy, e non solo, che descrivevano dei metodi di formazione e di estrazione non molto dissimili da quelli di oggi dello specialty coffee.
Nessuno ha mai parlato del chimico il grande dottor Ernesto Illy, quando negli anni ottanta, ancora come piccolo, medio artigiano, girava il mondo a spiegarci in persona, uno ad uno, con tanta competenza e passione, la chimica e la fisica del caffè espresso.
Quante conferenze abbiamo fatto insieme per difendere il caffè espresso italiano. Eppure hanno solo dipinto Illy come colui che ha creato il caffè tostato scuro per avvicinarsi al gusto italiano o al contrario al single origin Guatemala, quindi alla storia in estrazione dei caffe a filtro e non a quella dell’espresso italiano.
La formazione dei baristi di qualità degli anni ‘60 e ‘70 in Italia, non era affatto approssimativa e, soprattutto, era molto più “italiana nelle metodologie di lavorazione sulla macchina del caffè espresso” ed estremamente più adeguata nella loro esecuzione per il caffè espresso di quella proposta nei corsi di formazione a pagamento di oggi.
I metodi dei baristi dello specialty di oggi, quando pensiamo al caffè espresso, benché estremamente tecnici e puliti, sono un ibrido internazionale tra caffè a filtro e l’espresso nei tecnicismi e non rappresentano il metodo italiano di qualità e degli anni ’70 di estrarre appunto il caffè espresso, in grammatura, spessore di macinatura e pressatura, delle qualità eccelse appunto italiane.
Il purging poi, l’ho inventato e presentato io nei primi anni ottanta come tecnica migliorativa di estrazione e non era connessa solo alla pulizia ma anche all’ottenere le temperature dell’acqua appropriate per il caffè espresso eccelso, mentre si lavora o con grandi volumi o al contrario con pochi volumi, ma di questi aspetti nella lavorazione del purging non hanno parlato.
Senza parlare poi del caffè arabica o robusta. Intanto anche a Napoli negli anni settanta il caffè era quasi tutto arabica. Basta guardare cosa entrava nei dazi doganali in Italia.
Quella poca robusta che si utilizzava all’epoca, anche a Napoli, era eccelsa favolosa, non scadente come quella di oggi proveniente dal Vietnam o di poco conto.
La robusta all’epoca era quella che noi oggi chiamiamo “fine robusta”, anzi ancor migliore, e comunque se ne utilizzava al massimo il 10%.
Oggi invece si usa robusta scadente e in grandi quantità. Non hanno mai definito che anche nell’ arabica esiste di fresca raccolta, di raccolta dell’anno precedente, arabica di raccolte vecchie, colme di difetti da €3 al kg e da €700 al kg.
Non hanno mai definito che anche con l’arabica si può ottenere una crema persistente, anzi ancor più vellutata, spessa, e persistente che con la robusta se lavori bene.
Non hanno mai parlato dell’importanza della torrefazione fresca, fatta ad ogni ordine e di avere prodotto fresco in casa e della differenza tra il problema dell’ossidazione e quello della decomposizione organica vegetale del caffè tostato.
Non hanno mai parlato dei problemi della logistica, delle valvole e del sottovuoto, e quindi di avere il caffè tostato fermo in depositi per mesi e mesi mentre si decompone e il non poterlo ricevere poco alla volta e freschissimo dal produttore al barista in piccoli lotti.
Non hanno mai parlato di caffè inteso come quella miscela che non dà fastidio solo al gusto ma anche all’apparato gastrointerinale.
Non hanno mai descritto il caffè come quel nutriente e elemento che può e deve essere utilizzato dai grandi chef in cucina, come quel legante naturale con i suoi grassi e aromi nobili che possono essere utilizzati nelle ricette per la cena o i pasti dall’antipasto al dolce.
Non hanno mai quindi parlato di quello che io sostengo da decenni: il concetto “caffè gusto e salute” dove il caffè è un nutriente e un alimento e dove il gusto è inteso come quella cosa che piace ovunque tu sia nel mondo perché è equilibrato, è sobrio ( questo in. tostatura non troppo scura e non troppo chiara, dove si ha un equilibrio tra cacao, cioccolato, e il terroir).
Soprattutto, continua Cipolla, non hanno mai parlato del problema del 99% delle macchine torrefattrici che non danno la garanzia che in camera di combustione con il caffè che si tosta non c’è fumo, e quindi che non esiste l’assoluta certezza che vi sono zero acidi IPAS che danno un gusto e aromi sporchi e che sono cancerogeni.
Cipolla continua: “Non hanno mai parlato dei processi industriali dove il caffè viene raffreddato o con aria fredda troppo violenta (che toglie tutti gli aromi al caffè) o peggio ancora che raffredda con nebulizzatori di acqua che aggiungono peso alla miscela e che aggiungono umidità atti a portare tossine, ocratossine, muffe cancerogene.
Caffè con odori sgradevoli molto simili a quelli con la miscela con robusta sgradevole e con chicchi tostati all’infinito o al contrario con i caffè sotto tostati che sono aciduli, astringenti e francamente poco digeribili: ciò è dovuto al fatto che le molecole aromatiche nella loro catena complessiva non sono state appropriatamente sviluppate.
Non hanno mai parlato della vera tradizione italiana nel caffè e cioè quella che esisteva prima del mondo dei torrefattori che sono diventati finanziatori, quando anche i consumatori finali erano disposti a pagare un pizzico in più per la vera qualità e tralasciare l’immagine e la comunicazione commerciale e quello dove si vendeva meno orzo, meno ginseng e meno caffè infusi esterofili, proprio perché il caffè italiano eccelso piaceva anche alla nostra salute”.
Mauro Cipolla conclude: “In sintesi non hanno parlato mai dei mercati liberi e di unire le persone in un contesto di qualità esperienziale personale piuttosto che in associazioni. Manca anima e manca il coraggio, forse da parte di tutti”.
Mauro Cipolla