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martedì 18 Marzo 2025
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La silverskin rivalutata come sottoprodotto dal Gruppo italiano torrefattori caffè, viaggia in Belgio dalla Commissione europea

Il Gruppo italiano torrefattori caffè ha partecipato all'evento di Brusselles in qualità di promotore del progetto legato al recupero della silverskin – siamo stati gli unici a studiarlo e a farlo passare da rifiuto industriale a sottoprodotto – in cui una delle destinazioni possibili è nella conversione in fertilizzante. Insieme al CREA abbiamo presentato i risultati della prima fase del Progetto Rustica alla Commissione europea

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MILANO – La silverskin, uno scarto che diventa un sottoprodotto e viene sfruttato per un nuovo utilizzo. Questa è la storia dietro il progetto avviato dal Gruppo italiano torrefattori caffè, guidato dal presidente Omar Zidarich. Di questo esempio di economia circolare si è discusso già in precedenza su queste pagine e ora si torna a parlarne in occasione di ulteriori traguardi raggiunti dall’associazione di categoria.

Stavolta in collaborazione con il CREA, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, in particolare con i Centri di Ricerca Viticoltura ed Enologia e Politiche e Bioeconomia del Friuli Venezia Giulia, uniti sotto un unico cappello che porta il nome di Progetto Rustica, un progetto Horizon 2020 finanziato dalla Commissione Europea. Si tratta di una ricerca che si è posta l’obiettivo di implementare tecniche innovative per ottenere fertilizzanti a base biologica a partire dai residui dal settore ortofrutticolo.

Un fine raggiungibile attraverso sei processi tecnologici applicati in quattro regioni dell’Unione Europea e in una del Sud America.

Omar Zidarich: prosegue l’operazione silverskin

“Sono stato invitato a Leuven (Lovanio) nelle Fiandre in Belgio, in questa città che è la più importante in quanto sede dell’Università più antica di Europa per partecipare al meeting internazionale e alla Conferenza finale del Progetto in cui sono stati presentati i risultati dei workshops svolti in più aree del mondo, in cui sono stati testati innovativi modi di produzione ed uso di fertilizzanti a base biologica.

Il progetto ha studiato nuovi metodi per trovare soluzioni in grado di sostituire, almeno in parte, i fertilizzanti minerali, che grazie al loro contenuto in elementi nutritivi e per le peculiari caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche possano contribuire al miglioramento della fertilità del terreno.

Il Gruppo italiano torrefattori caffè ha partecipato in qualità di promotore del progetto legato al recupero della silverskin – siamo stati gli unici a studiarlo e a farlo passare da rifiuto industriale a sottoprodotto – in cui una delle destinazioni possibili è nella conversione in fertilizzante. Insieme al CREA abbiamo presentato i risultati della prima fase del Progetto Rustica alla Commissione europea.

Il nostro sottoprodotto è risultato tra i più soddisfacenti, perché è emerso come anche negli altri Paesi esista una differenza di prezzo verso l’alto tra i fertilizzanti a base bio e quelli minerali – il primo costa di più – mentre l’uso della silverskin comporta costi nettamente più bassi ed è disponibile in grandi quantità. Nel 2022 era ancora sconosciuto mentre in questa nuova ottica rappresenta una svolta in positivo.

Come Gruppo italiano torrefattori siamo stati i primi a fare una proposta di questo genere e considerata l’ampia attività di torrefazione in Italia, ci siamo distinti con questa soluzione possibile di fronte all’Europa.

Questa per noi è stata l’occasione di intervenire, con uno speech finale in cui ho presentato in sede europea il progetto Rustica, fondamentale per un futuro sostenibile comune e che ci auguriamo possa andare avanti, perché i dati raccolti fin qui sono molto incoraggianti.

In futuro si potranno trovare ulteriori modi per abbassarne il prezzo, innanzitutto ottimizzando la raccolta urbana, che deve essere incontaminata.

Un vantaggio rispetto ad altri sottoprodotti: la silverskin c’è tutto l’anno.

“Ci siamo inseriti in questa ricerca, portando grandi quantità di sottoprodotto: circa l’1,5% del caffè verde trattato dal torrefattore diventa silverskin. Per cui su 100mila chili di caffè annui, 1.500 chili sono di scarto che si stacca durante la tostatura per forza centrifuga.

Dopo il passaggio attraverso il pellicolare, viene poi riposto in dei contenitori. Da questo momento in poi può essere bricchettato, compattato per diventare dei tronchetti combustibili oppure restare sfuso, simile alla segatura. Il peso specifico rimane identico, ma gli spazi differiscono. La silverskin come fertilizzante funziona in entrambe queste forme. Al contrario della carta, che funziona meglio da sfusa.

L’aspetto convincente di questo riutilizzo è esiste un mercato pronto a richiedere questo fertilizzante a base biologico: la domanda è tantissima ed è una vendita certa. I torrefattori prima perdevano soltanto con la produzione di grossi quantitativi di rifiuti da smaltire, mentre ora riutilizzarli diventa un utile e un credito dal punto di vista dell’economia green.

Così si recupera valore e si aprono nuovi mercati.

I dati sono stati poi diffusi tra i membri del Gruppo.”

Interviene la Dr. Federica Cisilino, responsabile della sede regionale per il Friuli Venezia Giulia di uno dei 12 Centri di ricerca del CREA, ovvero il Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia.

Com’è nata la collaborazione con il Gruppo italiano torrefattori caffè?

“Come già accennato il progetto Rustica si è posto l’obiettivo di trovare soluzioni valide per convertire i residui dell’ortofrutta in fertilizzanti a base biologica. Per svolgere le prove sperimentali e analizzare i potenziali modelli di business, sono state selezionate 5 aree, quella in Italia è rappresentata dalla regione Friuli Venezia Giulia.

La ricerca si è sviluppata attorno a due pilastri: uno si è concentrato sullo sviluppo di cinque tecnologie innovative necessarie ad effettuare la trasformazione in base alla degradabilità del residuo (più o meno ricco in lignina), oltre al compost, già noto e diffuso; l’altro dedicato all’analisi del mercato e delle opportunità di sviluppo del prodotto, anche attraverso l’ascolto del territorio.

Così, il progetto Rustica, ha previsto l’organizzazione di 6 workshops durante i 4 anni di durata del progetto nelle 5 regioni oggetto di studio (Fiandre, Almeria, Friuli Venezia Giulia, Pays de la Loire e Valle del Cauca in Colombia) selezionate in base ai 16 partner coinvolti. Il medoto utilizzato è quello del cosiddetto Multi-Actor Approach.

Chi ha partecipato a questi momenti di incontro? Diversi stakeholders, tra i quali i rappresentanti del governo locale, l’Università di Udine, esperti e consulenti, alcuni produttori di fertilizzanti, associazioni ambientaliste, agricoltori e cooperative, organizzazioni professionali, altri centri di ricerca e tra questi l’Area Science Park: proprio quest’ultimo è stato il link tra il Progetto Rustica e il Gruppo italiano torrefattori caffè.

Quando abbiamo presentato Rustica a Pordenone in Confindustria, abbiamo stretto la collaborazione con Omar Zidarich, invitandolo a partecipare agli altri workshop. Così abbiamo discusso della creazione di un impianto pilota sulla silverskin.

La sua idea ci ha convinti a tal punto da prenderla come spunto per strutturare parte del modello di business a livello regionale. L’abbiamo inserito come esempio, insieme ad un altro che opera nella zona e raccoglie e trasforma il compost, per costruire la nostra traccia.”

Quali sono stati i risultati raccolti sin qua?

“Abbiamo considerato diverse tecniche innovative, al di là del compost già più noto. Abbiamo sviluppato dei processi come la piattaforma acidi carbossilici, la coltivazione di microorganismi, l’elettrodialisi nel caso di alta degradabilità; nel caso di moderata degradabilità abbiamo considerato la coltivazione di insetti (biomassa e deiezioni), mentre nel caso di residui e sottoprodotti ricchi in lignina abbiamo utilizzato la tecnica della pirolisi e il biochair.

Ciascuno viene applicato a seconda di quanto è biodegradabile il residuo di riferimento: ad esempio frutta e verdura sono degradabili in modo diverso. Se il processo avviene più facilmente, si procede con la tecnica dell’elettrodialisi, la coltivazione di micro organismi.

Nei casi di mezzo si può impiegare il compostaggio o la coltivazione degli insetti (presi in considerazione come biomassa e come deiezione). Se sono ricchi invece di lignina e per questo più difficilmente biodegradabili, come è il caso della silverskin, si deve applicare la pirolisi e quindi il biochair.

Come si fa? Vengono costruite delle miscele che considerano queste diverse componenti che poi vengono valutate in laboratorio, in serra – specialmente in Almeria – e a pieno campo.

Abbiamo portato a termine la sperimentazione delle miscele in generale, con tutte le tecniche già citate in alcune delle regioni pilota. Per quanto riguarda il silverskin, il volume di disponibilità in Friuli Venezia Giulia è un fattore importante che può essere considerato vantaggioso.

L’obiettivo futuro potrebbe essere quello di creare un sistema di raccolta efficiente per poi convogliare il tutto in un unico impianto condiviso in grado di abbattere i costi. Durante la conferenza in Belgio, abbiamo potuto presentare questa ipotesi e siamo stati accolti con entusiasmo.

Per quanto riguarda i fertilizzanti Rustica ottenuti mescolando i diversi componenti a seconda delle tecniche impiegate, poiché la sperimentazione a pieno campo per ora è stata limitata nel tempo, avremmo bisogno di almeno altri due-tre anni per raccogliere risultati più completi. Tuttavia, il progetto resta interessante e ha mostrato già ora degli impatti sul suolo e sull’efficacia delle miscele piuttosto promettenti.

Sul piano economico, invece, dall’analisi del ciclo di vita di questi fertilizzanti, è emerso che i fertilizzanti Rustica sono ancora poco competitivi. Il prezzo che avrebbe il fertilizzante a base biologica si colloca sul mercato in una fascia elevata sia rispetto al fertilizzante biologico che a quello minerale.

La metodologia utilizzata per valutare l’impatto ambientale del prodotto lungo tutte le fasi della sua vita, dalla produzione allo smaltimento, includendo estrazione delle materie prime, trasporto, utilizzo e fine vita sembra quindi confermare le ipotesi iniziali.

Inoltre, i modelli di business potenziali, ovvero la struttura attraverso cui un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore, definendo il modo in cui genera entrate, gestisce i costi e soddisfa i bisogni dei clienti variano molto in base al contesto regionale.

Pertanto, sarebbe importante ora poter proseguire con Rustica per poter verificare con maggiore accuratezza i risultati raccolti fin qui. E vedere realizzato nel concreto qualche nostro modello di business.”

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