MILANO – Tra le tante reazioni raccolte attorno all’articolo pubblicato di recente con la forte opinione del torrefattore pugliese Antonio Quarta, di seguito il punto di vista di un micro roaster di specialty, con un passato e un presente particolarmente attivo tra le associazioni di categorie e a contatto con i baristi e i consumatori finali: il veronese Davide Cobelli.
Cobelli: “Ecco il mio punto di vista”
“Di certo Antonio Quarta ha fornito dei ragionevoli spunti di riflessione rispetto alla dinamica dei rincari sulla tazzina al bar oggi, in un momento in cui quando un torrefattore aumenta di un euro al chilo il costo del pacchetto venduto al bar, il gestore si sente poi in diritto di aumentare a sua volta di dieci centesimi l’espresso, ogni volta che questo accade, quasi come una rincorsa ad un prezzo “chimera”, come se si fosse svegliato da un sonno che lo ha avvolto per un ventennio, in cui non ha mai alzato di un centesimo quel prezzo.
Bene, questo non è equo perché un aumento di questo genere sarebbe giustificabile di fronte a delle cifre più importanti, ogni almeno due euro applicati dal torrefattore, per sopperire al costo, senza aggiungere un margine in più.
Dall’altra parte però, non credo neppure che si possa parlare più di espresso al bar come di una bevanda che deve essere necessariamente accessibile a tutti, come una responsabilità sociale da parte dell’esercente.
Lo è stato per troppo tempo, spesso a discapito dell’imprenditore che non sapendo fare i conti deve poi pagare poco gli operatori dietro al bancone o riduce la qualità della materia prima, magari tagliandola con quella del supermercato.
A lungo siamo rimasti legati a questa filosofia, ma in realtà molti prodotti popolari come il vino, l’olio extravergine, il riso, la pasta, negli anni hanno subito degli aumenti, anche forti.
Oggi ci sono grandi vini esportati in tutto il mondo che hanno costi elevati, Olio Extravergine che costa più di 20€/lt, un kg di riso al supermercato costa il doppio rispetto a 6-7 anni fa.
“Perché il caffè deve avere questa responsabilità sociale? A scapito di chi a questo punto?”
“Un altro aspetto su cui mi trovo molto in linea con il dottor Quarta è il discorso dell’IVA, che oggi è al 22% (quando il barista poi la trasforma, diventa al 10% sul venduto al banco) e sarebbe opportuno fare una proposta di legge per portare l’IVA al 10% delle vendite e allinearla dunque a quello che l’esercente trattiene e riversa allo stato, oltre che agevolare l’acquisto del caffè a scaffale per il consumatore finale.
Quindi sono d’accordo sul fatto che l’aumento non può essere sempre esponenziale, ma credo anche che bisogna oggi fare bene i conti. Adesso il caffè a un euro e 20 significa lavorare a sottoprezzo e questo determina degli stipendi più bassi per gli operatori e magari incentivare i gestori a tagliare il caffè al supermercato per rientrare nei costi. Dobbiamo invece uscire dall’era in cui abbiamo vissuto negli ultimi 30 anni.”