MILANO – Giordano Cognigni è un professionista ben noto nel settore, fondatore di Neroespresso, che spinge in provincia di Fermo lo specialty coffee dal lontano 2015. Insomma, un operatore che da sempre parla di qualità e di materia prima, di estrazioni alternative, di tostature chiare e note floreali, al consumatore finale.
Eppure, in questa occasione si espone condividendo un dubbio importante: perché, nonostante i numerosi sforzi fatti in termini di educazione e formazione, piace spesso e volentieri, il caffè bruciato, tostato scurissimo?
Cognigni: “Se ne parla spesso, ma il problema è che tutti noi operatori impegnati a spiegare il contrario con corsi e dimostrazioni, ci confrontiamo infine con il consumatore finale che desidera sempre l’amaro e il bruciato. È un punto importante di discussione, che non riesco bene a risolvere.
Faccio un esempio concreto: di recente ho svolto un workshop con la moka insieme a 4 persone e ho chiesto loro di raccontarmi le loro impressioni, una volta assaggiato lo specialty preparato correttamente. Certamente tutti hanno apprezzato, ma quando ho fatto provare anche la miscela con la Robusta per creare un termine di paragone, il risultato era altrettanto evidente: il blend era piaciuto ancora di più e questo in seguito a tutte le mie spiegazioni.
Stesso principio che ho notato facendo il mio abituale giro dei locali nella mia zona – così come sono abituato a fare, per vedere cosa funziona in quei posti con la coda fuori -: in generale ho potuto riscontrare degli aspetti in comune, ovvero bassa qualità della materia prima e l’integrazione alla caffetteria di una parte di pasticceria e tabaccheria.
Cosa succede affinché questi locali abbiano successo? Che queste ultime due attività creano la domanda.”
Cognigni: “E quindi torno a chiedermi, a domandare a tutti voi, del caffè a chi importa veramente? “
“Esiste poi anche un altro effetto collegato allo stesso fenomeno: molti miei colleghi che hanno investito nella formazione presso di me seguendo i protocolli Sca, poi però continuano a servire caffè cattivi e ad appoggiarsi al comodato d’uso. Sembra un po’ un controsenso?
Tuttavia, evidentemente le tostature chiare, l’Arabica di un certo livello, rappresentano soltanto un discorso teorico che si fa all’interno dei corsi di formazione con la solita nicchia di professionisti, che poi però spesso non trova applicazione effettiva nelle realtà di somministrazione.
E di nuovo lancio la provocazione: tutto quello che impariamo, che insegniamo, è davvero trasferibile nei bar?
La risposta che posso dare per quel che riguarda il dettaglio della mia attività, Neroespresso è che, se provassi a cambiare caffè, tornando indietro ad una materia prima di livello più basso, i miei clienti andrebbero altrove. Quindi questo è un buon segnale del fatto che attraverso la degustazione, l’educazione, l’approccio graduale, è possibile alzare un po’ l’asticella verso la scelta di Arabica di qualità, anche per la moka.
Tuttavia, qualsiasi sia il livello di competenze e conoscenze che i clienti raggiungono attraverso il mio lavoro di divulgazione, devo riconoscere che le note fruttate, l’acidità, diventano un po’ stucchevoli nella bocca del consumatore finale.
E allora non posso che metterci un po’ in discussione: stiamo forse sbagliando noi ad imporre un prodotto che in Italia fa fatica a trovare più spazio?
La Robusta si deve comunque avere nel proprio locale: ad esempio io vendo molti specialty – anche se sempre meno nell’ultimo periodo, per via della minore possibilità di acquisto di molti clienti – ma la mia miscela Napoli (un 100% Robusta tostata scura) sta tornando prepotentemente come referenza più richiesta.
La sensazione quindi è che stiamo lottando contro una cultura del caffè tutta italiana che è rapida, legata ad una crema molto spessa in tazza: dopo 20 anni che parlo di qualità, non posso che chiedermi a cosa serve, se ha senso. Le persone sono abituate a quel tipo di caffè, nonostante i nostri sforzi di comunicazione, e lo gradiscono di più sia al bar, che a casa propria.
La preferenza va sempre per una tazzina amara, molto scura, che poi viene edulcorata in diversi modi, a partire dal latte e lo zucchero.
Quindi, per caso, stiamo sbagliando?
Rivolgo la domanda a tutti gli operatori che si occupano di roasting, formazione, vendita.
Che senso ha vendere qualcosa che non piace ad una buona parte dei consumatori?
La miscela 40% Arabica e 60% Robusta, cioccolatosa, tostata medio scura, rappresenta tutt’oggi il compromesso che funziona: le arabiche in purezza vendono meno. Certo c’è il prezzo che allontana un po’, ma qua parliamo proprio di gusto, che è difficile da cambiare. “