sabato 21 Dicembre 2024
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Nzatu: quando i due poli della filiera uniti nella sostenibilità sociale e ambientale, danno vita alla miscela perfetta, Njuki

Nzatu nasce con la mission di promuovere l’agricoltura rigenerativa, che non utilizza chimica, crea prodotti più sani attraverso delle pratiche in vigore già da tempo. Con conseguenze diverse. Ce lo hanno spiegato a Parma

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PARMA – E Parma diventa punto di congiunzione tra Paesi produttori e consumatore finale. L’occasione è la presentazione del caffè Njuki, frutto della collaborazione tra l’azienda Nzatu Food Group e la torrefazione Artcafé. Ed è così che, per la prima volta in Europa questa realtà in costante evoluzione ha organizzato una conferenza insieme a Michele Sofisti co-founder e ceo di Nzatu con Andrea Chiesi, Phritwi Naik (climate economist dall’India di Restor), Kwadwo Boachie-Adjei Advisor di Urban Afrique Urban Afrique e Luca Montagna, amministratore delegato di Artcafé.

E ora, qualche informazione per completare il contesto.

Nzatu (in lingua locale, “nostro”) è una startup nata dall’idea di due sorelle zambiane, Gwen Jones e Denise Jones Madiro

Le quali hanno voluto applicare – o forse sarebbe più corretto dire ritornare – all’agricoltura rigenerativa per produrre miele e caffè: obiettivo, appunto, sostenere le comunità locali, nel rispetto dell’ecosistema e degli equilibri socio-economici.

Per farlo, Nzatu si avvale di partner strategici che si appoggiano alla tecnologia blockchain, come ad esempio Restor, per garantire una massima tracciabilità, una misurazione digitale, la rendicontazione e verifica delle emissioni di carbonio nel rispetto degli impegni sul clima e in termini di sostenibilità.

Sono invece 15 al momento i partner dell’Africa subsahariana, che collegano i farmer di piccole dimensioni del luogo con il resto del mercato, distribuendo oltre al caffè anche il miele (proveniente per il momento da Zambia), cera di api, cacao (dal Ghana, Camerun, Costa d’Avorio e Nigeria) e cereali. Così come spiega Michele Sofisti: “Questo è un modo per diversificare la produzione, per avere sempre avere una soluzione da poter proporre sul mercato”.

Occuparsi anche di apicoltura infatti – pratica che Nzatu promuove sul piano della formazione degli stessi coltivatori – permette di ottimizzare i periodi destinati alla ripresa vegetativa della pianta da caffè, senza rinunciare però ad una fonte di reddito.

Natzu: persone che hanno deciso di sposare una causa.

Ed è proprio da questa filosofia condivisa, che nasce la collaborazione con il marchio storico di Parma, Artcafé e con il maestro torrefattore Luca Montagna, presente all’evento di lancio della miscela Njuki (che in lingua locale significa “miele”) composta da Arabica ugandese (Bugisu AA, Monte Elgon) e da un Kenya e un Etiopia.

Il Njuki (miele) di Nzatu e Artcafé

Un equilibrio trovato dopo diversi test dallo stesso Luca Montagna con una tostatura medio chiara: “Volevo far emergere soprattutto la caratteristica cioccolatosa”. Un blend che prossimamente potrà essere accompagnato da altre origini africane, come Tanzania, Angola, Repubblica democratica del Congo, Etiopia. Artcafé sarà responsabile della distribuzione della miscela in Europa.

Mentre per quanto riguarda il mercato nord americano, il ruolo è ricoperto da Urban Afrique, per l’Asia dalla stessa Nzatu.

Luca Montagna spiega il suo coinvolgimento in Nzatu:

“Questo è un progetto che mi ha visto coinvolto dall’inizio. La mia formazione caffeicola e l’attività che porto avanti si basa sugli stessi principi di Nzatu: fare ricerca, arrivare ai produttori nel rispetto della filiera dietro la tazzina di caffè, selezionando la materia prima di alta qualità. nessuno si chiede cosa si nasconda dietro l’espresso: dall’agricoltore che raccoglie la drupa, sino ai torrefattori che lo trasformano per arrivare ai bar.

Lavorare con Nzatu e creare Njuki, mi ha dato grande soddisfazione, proprio in questo momento particolare poi, che il caffè sta vivendo: mai come adesso nelle quotazioni e nella Borsa di New York e Londra c’è difficoltà a reperire il prodotto, con fenomeni di speculazione e la scarsità di materia prima con i prezzi alle stelle.

Eppure, a chi produce ogni giorno in piantagione, parliamo di intere famiglie, non arriva neppure un decimo di quello che sono le quotazioni date in Borsa.

Questo progetto stimola al contrario la creazione consapevole di un indotto economico per queste persone. Lavorare il caffè, senza fare cultura, senza farlo conoscere e raccontarlo, non ha senso.

Nessuno sa cosa sta comprando al supermercato: nelle confezioni manca la descrizione dell’origine, della lavorazione o di altri elementi importanti. Noi vogliamo far comprendere cosa c’è dentro la lattina per creare un’economia più giusta. Poter dire che un caffè è giusto significa portare avanti un discorso di biodiversità, di qualità, che racchiude tutto ciò che vogliamo trasmettere.

E in questo viaggio, abbiamo assaggiato dei caffè straordinari: ho ancora in mente uno dal Congo, veramente incredibile.”

250 grammi in grani e in macinato per un caffè tracciato, anche seguendo le nuove disposizioni europee che entreranno in vigore, l’EUDR contro la deforestazione.

La sostenibilità ambientale ma anche sociale

Njuki aiuta a dare un’opportunità lavorativa alle piccole imprese locali, costituendo una forma di sostentamento alle comunità coinvolte in Uganda.

Michele Sofisti: “L’idea è di trattare vari temi per poi finire con il caffè. Herman Hesse ha dato una definizione che spiega bene quanto sia difficile il cambiamento, distinguendo tra ecologia profonda – interconnessione a livello naturale – e quella superficiale – che ci ha portato all’era dell’antropocene in cui si vivono gli impatti dell’agricoltura intensiva e delle pratiche estrattive -.

Ecco che Nzatu nasce con la mission di promuovere l’agricoltura rigenerativa, che non utilizza chimica, ma crea prodotti più sani attraverso delle pratiche in vigore già da tempo. Con conseguenze diverse: protezione della wild life, diminuzione del fenomeno di deforestazione in Africa. Con l’apicoltura, vendendo miele e derivati, diamo inoltre un’alternativa al taglio degli alberi come legna da ardere.”

Riuscire a portare un prodotto realizzato con tecniche naturali dall’Africa sino all’Italia: da cui la necessità di un tramite come Nzatu.

Andrea Chiesi, racconta la sua esperienza diretta: “Abbiamo pensato che poter contribuire a creare una collaborazione nelle zone in cui c’è conflitto tra uomo-natura, rappresentasse la luce guida di Nzatu. Volevamo incidere sul destino del mondo.

Siamo partiti da un anno e ancora dobbiamo lavorare, ma lo spirito è questo: dimostrare che si può agire in altro modo, che sia sostenibile sia per l’ambiente che per l’economia. Senza fare beneficenza, che non garantisce una visione di lungo termine per dei progetti che coinvolgono persone.

Ci siamo chiesti: possiamo allora fare qualcosa che sia sostenibile anche dal punto di vista economico e che possa impattare sul clima, gli ecosistemi, la vita dei locali?

E Nzatu ci ha permesso di unire tutti questi aspetti. Per farlo, bisogna coinvolgere le popolazioni locali. Un approccio sistemico, che cerca di uscire dalle dinamiche del qui e ad adesso, proiettandosi su un impatto di lungo periodo.”

Coltivare e fare rete

Si parte dal caffè, ma in modo che ci sia un ritorno per i farmers.

Michele Sofisti riprende la parola: “Siamo un collegamento tra tanti piccoli produttori e i mercati, con i training, gli esperti, con la logistica. Dobbiamo ora trovare sempre più aziende disposte ad acquistare queste materie prime e prodotti. Uscendo dalle logiche dei grandi trader che muovono milioni di tonnellate di commodity e entrare in una mentalità di impatto diverso sulle comunità.

Sarebbe necessario un maggiore supporto per creare un valore aggiunto ora necessario.”

Tutto pronto per il convegno di lancio di Nzatu

Kwadwo Boachie-Adjei, Urban Afrique: “I traders prendono il margine maggiore. Urban afrique al contrario vuole connettere direttamente i farmers con i consumatori di cacao. Un prodotto che viene pagato appena 2 centesimi per una tavoletta da un dollaro al supermercato.

Ci concentriamo sulla sostenibilità umana, per raggiungere equità economica per i farmers. Così da rendere più attrattivo per le nuove generazioni il lavoro del coltivatore, fermando il fenomeno di immigrazione verso altri settori, lasciando le piantagioni al lavoro delle miniere spesso illegali. Da questo punto di vista, Nzatu e Artcafé rappresentano una speranza verso un reale cambiamento.

Nzatu è fatta di stakeholders che riconoscono l’importanza del lavoro dei coltivatori. Una Social equity che passa da prezzi equi, perché non esiste alcuna giustizia climatica senza quella sociale.

E ovviamente si parla anche di EUDR

C’è bisogno quindi di leggi che tutelino un caffè che sia giusto?

Luca Montagna prova a dare una risposta: “Purtroppo i Paesi più in difficoltà a fornire la la documentazione relativa all’importazione di prodotti che non causano deforestazione, sono proprio quelli più poveri. Teoricamente così restano fuori da un mercato che ancora oggi li richiede, creando perdite significative a queste comunità. Quindi sì, servono leggi e regolamentazioni che però tutelino chi lavora veramente la terra e produce.

Perché se alla fine questi non vengono remunerati correttamente, credo che gli effetti potrebbero essere negativi su delle economie basate principalmente sulla produzione di queste materie prime.

Proviamo ad immaginare il percorso di un chicco di caffè dall’Uganda, che viene coltivato, lavorato, caricato su delle navi e fare un giro ancora più lungo nell’ultimo periodo, fare il giro delle dogane, poi trasformato dai torrefattori: ecco, diventa chiaro che non può costare poco. Dev’esserci un’equa distribuzione, che crei un’economia corretta.

Pritvit Naike si inserisce nella discussione e segue la parte tecnologica del progetto Nzatu e rappresenta Restor spin off politecnico di Zurigo per la tracciabilità, open source mapping che assicura la possibilità per chiunque di cliccare su una mappa geolocalizzata e osservare vari parametri come biodiversità, clima, su terreni selezionati, garantendo una totale tracciabilità del prodotto semplicemente applicando un QRcode sulla lattina di caffè.

Ora il primo step per Nzatu è il caffè dell’Uganda, che rappresenta un po’ il progetto pilota per controllare che tutto funzioni.

L’idea di coinvolgere il consumatore finale, anche con l’aspetto grafico certo, ma anche fornendo tutti gli elementi per valutare il prodotto venduto nella lattina. Sulla quale i tanti loghi che compaiono, raccontano ancora una volta l’approccio sistemico di Nzatu, che si propone come un’Impact company: società for profit, perché senza la sostenibilità economica non si ha una vita lunga.

Perché in Africa?

Innanzitutto per la passione che i co-fondatori hanno in comune per questo continente. Poi perché è risultato presto evidente che la popolazione di questo continente è ancora in crescita, responsabile del 3-4% delle emissioni globali: il futuro del mondo si giocherà qui, dove ci sono ancora margini di sviluppo. Ed è importante farlo nel modo giusto.

Njuki rientra in una fascia alta di prezzo, e negli Usa sarà venduto all’incirca a 42 dollari al chilo.

Luca Montagna spiega la tostatura

E siccome si parla di caffè e dell’arte della tostatura, l’incontro non poteva che concludersi naturalmente all’interno dello stabile produttivo di ArtCaffè, sotto la guida esperta di Luca Montagna, Cicerone d’eccezione soprattutto per tutti coloro che di questa materia prima e bevanda devono ancora conoscere la storia, i processi, le origini, le estrazioni.

A contatto con il verde, specialty e non, e di fronte a macchine importanti come la tostatrice IMF da 60 chili in azione, con alle spalle diversi silos da 500-600 chili di capienza.

Vito Schiavo racconta il Chemex

A tal proposito, importante l’incontro diretto con il barista esperto Vito Schiavo, che ha accompagnato nel mondo delle erogazioni alternative all’espresso – pur sempre includendolo in questo viaggio conoscitivo – i visitatori, armandosi di Chemex e poi, anche, della cara vecchia moka ma fatta a regola d’arte, senza montagnette, senza far sentire il borbottio finale.

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