MILANO – Nel 2023 l’Italia ha realizzato quasi 170mila tonnellate di gelato industriale, per un valore di quasi 1,9 miliardi di euro, secondo i dati del settore gelati di Unione Italiana Food: un mercato che impressiona a leggere queste cifre, che però sembra lasciare fuori un’altra realtà in cui l’Italia ha degli ottimi rappresentanti, ovvero il settore del gelato artigianale che, da quanto emerge da una ricerca Yougov, più di due terzi degli italiani (68%) preferisce a quello industriale quando si tratta di scegliere una tipologia.
A parlarne in senso ampio, il fondatore di Mara dei Boschi, una delle gelaterie più note di Torino, Riccardo Ronchi, che interpreta i numeri in base alla sua esperienza sul campo.
Ronchi: “In realtà il gelato industriale è abbastanza fermo”
“Questo perché se si riflette bene, i grossi competitor sono sempre gli stessi da anni e quindi non esiste una vera svolta nell’andamento del mercato. Sicuramente sono aumentati molto i prezzi per la produzione, al punto che – nonostante il consumatore finale non si sia accorto del rincaro al supermercato – un Magnum ormai costa quanto un gelato artigianale.
Il discorso che mette in parallelo il gelato industriale e quello artigianale si basa su questa disinformazione generale: si dovrebbe considerare che dietro il prodotto meno commerciale esiste anche il costo della gestualità degli operatori che creano un determinato gusto.
Poi ovvio, non sempre la manualità significa che il risultato è più buono a prescindere, perché dipende sempre dagli ingredienti utilizzati – nelle location in cui si registrano grandi flussi, è possibile vendere più o meno qualsiasi cosa – ma certo spesso le due cose coincidono.
Viceversa il gelato industriale rappresenta una garanzia di incassi che indubbiamente a molti conviene sfruttarlo.”
E in questo paradigma Mara dei Boschi come si colloca?
“Mara dei Boschi ha successo perché riesce a intercettare il gusto delle nuove generazioni: i giovani – confessa Riccardo Ronchi – mi impressionano per le loro competenze sensoriali. Sono più informati, attenti, percettivi ai gusti rispetto a come lo siamo stati noi. Stiamo andando fortissimo, escluse le ripercussioni legate al clima un po’ ballerino di quest’anno.
Il concetto che ci guida però resta valido: se si lavora bene, il prodotto entra in un circolo di comunicazione, di passaparola, sostenuto anche dalla modalità d’asporto che ci porta un’ottima pubblicità.
Una città come Torino poi, dove il gelato è spesso ad un livello altissimo e siamo in tanti come artigiani, seppure ciascuno con la propria firma, è uno stimolo per noi ad evolverci continuamente.”
Cercare novità, tra ingredienti e modalità di preparazione, qualcuno ha persino usato ChatGPT: dove puntano i nuovi trend quest’anno secondo lei?
Riccardo Ronchi: “Personalmente mi piace lavorare sui ricordi, sulle emozioni legate a cose già vissute. Certamente la ricettazione è tecnica, ma una volta acquisita, per trovare il gusto è necessario uscire dalla formula già conosciuta. Quindi non seguo particolarmente i trend per pensare a dove muovermi per i prossimi step.
Ad esempio, il prodotto che vendiamo maggiormente, il Marotto, non a caso è anche quello più imperfetto a livello di ricettazione, al punto che dobbiamo rifarlo più volte al giorno per ritrovare l’equilibrio: cercavamo il gusto gianduiotto a base acqua, difficilissimo da replicare sempre uguale a sé stesso, nonché frutto di 9 mesi di studio.
Lavorare per sottrazione è ancora più complesso rispetto alla sola aggiunta di zuccheri e di altri componenti. Se si vuole trasmettere un’emozione, bisogna ragionare però in modo diverso.
Stimolare un ricordo, non è qualcosa di semplice. Noi ce ne rendiamo conto dalle espressioni di chi ci assaggia. Ci spingiamo sempre oltre i nostri limiti.
Ad esempio ormai abbiamo deciso di estrarre la nostra monorigine brasiliana sempre in double shot, anche nel caso in cui venga ordinato dal cliente in singolo: quello che avanza lo riutilizziamo nella nostra granita.
Stiamo poi sostituendo tutte le nostre referenze con una bevanda vegetale a base d’avena con cui otteniamo un risultato non distinguibile da quello con il latte vaccino.
Ed è con meno grassi, fattore che esalta ulteriormente la materia prima. Ormai un cliente su due chiede l’alternativa vegetale, soprattutto tra i giovani.”
Se per il gelato evoca nel 54% degli italiani sensazioni legate all’estate e al caldo e per il 25% degli intervistati fa pensare al mare: come se la passa il gelato nella bassa stagione o in città non sul mare come Milano o Torino?
“È risaputo che il gelato rientra tra le tipologie di consumo legate all’impulso, a prescindere dal contesto in cui lo si acquista: basta vedere qualcuno che lo mangia per farti venire voglia di prenderne uno. Oserei dire poi che il gelato è sempre meno stagionale: non a caso i maggiori consumi pro capite si registrano paradossalmente in zone più fredde come il Canada.
L’Italia in questo senso è un po’ un’anomalia: l’ho notato già nei primi anni 2000 a Parigi, quando avevo aperto una gelateria senza considerare le tante differenze nelle modalità di consumo.
Ad esempio in Francia portare una vaschetta a cena soprattutto in estate non è un’usanza consolidata e piuttosto si sceglie di acquistare una vaschetta dal supermercato.
Ma a noi di Mara dei Boschi non interessa inserirci nella GDO. Così come non credo che sia in linea con la nostra filosofia servirci dell’intelligenza artificiale, anche se senza dubbio in futuro potrà essere utile se interpretato come consulente. Il nostro lavoro resta e resterà sempre quello di andare oltre la ricetta e cercare il gusto, stimolare le emozioni.”