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giovedì 21 Novembre 2024
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Cafezal riunisce tre farmer di specialty brasiliani a Milano Carlos Bitencourt: “Obiettivo, acquistare un container diretto entro la fine di quest’anno”

Introduce così questa prima generazione di specialty brasiliano – anche se già per tutti loro è molto chiaro che l’eredità di questo loro primo passaggio si trasmetterà in futuro -, Bitencourt: “L’idea oggi è quella di ospitare tre produttori molto forti del Brasile ed è un grande onore accogliere questi amici del caffè con cui lavoriamo da tempo.”

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MILANO – In Viale Premuda 14 Cafezal si è trasformato ancora una volta in uno spazio comune per consumatori e produttori: Brasile e Italia unite dallo specialty coffee senza intermediari per stabilire un dialogo aperto tra tre produttori e chi può gustare la loro offerta.

Durante l’evento gratuito e aperto al pubblico, Cafezal si è proposto come punto di riferimento per fare divulgazione sulla filiera del caffè di qualità

Toccando con mano il verde, ascoltando le testimonianze dirette di chi coltiva, seguendo il legame che sin dagli inizi ha caratterizzato la roastery con base milanese e cuore brasiliano con le piantagioni e i suoi farmers.

Carlos Bitencourt, fresco dall’ultimo viaggio alle origini ha organizzato questo momento importante di scambio facendo sedere allo stesso tavolo Jhone Milanez Lacerda, uno dei maggiori referenti quando si parla di coltivazione specialty in Brasile, che applica uno dei migliori processi di post-raccolta a livello nazionale e con il quale Cafezal collabora dal 2019 avendo prodotto Castanha e Macedonia;

con Alexandre Emerich – parte della rete Cafezal dal 2018, con i caffè ex-Ipanema, Sonetto e Sinfonia – punto di riferimento per quanto riguarda i caffè fermentati in Brasile e capo saldo per la Serra do Caparaó e infine con Horacio moura Antonio, pluripremiato della Serra do Caparaó ed è anche una dei maggiori esponenti nella coltivazione di specialty in Brasile.

Introduce così questa prima generazione di specialty brasiliano – anche se già per tutti loro è molto chiaro che l’eredità di questo loro primo passaggio si trasmetterà in futuro -, Bitencourt: “L’idea oggi è quella di ospitare tre produttori molto forti del Brasile ed è un grande onore accogliere questi amici del caffè con cui lavoriamo da tempo.”

A partecipare a questa iniziativa un pubblico eterogeneo, non soltanto di addetti ai lavori:

Tutti riuniti all’evento Cafezal (foto concessa)

Ad ascoltare, delle studentesse del Politecnico di Milano coinvolte nel progetto portato avanti in collaborazione con Cafezal che si basa sulla caffetteria del futuro. Presente anche Davide Franzini docente della Scuola Galdus e diversi coffeelovers curiosi di confrontarsi con i farmers, oltre che dei baristi che sono arrivati dagli altri punti Cafezal per imparare.

L’obiettivo di questo evento: promuovere i produttori, che spesso sono invece un punto della filiera un po’ dimenticato

Bitencourt: “Dobbiamo comprendere invece l’importanza che ha per questi produttori, arrivare dall’altra parte della filiera il poter vedere i propri caffè presenti in un locale come questo a Milano, il guardare con i propri occhi le persone che lo bevono”.

Alexandre racconta: “Cafezal è stato uno dei primi torrefattori in Europa ad aver lavorato con noi e la nostra Finca. Siamo la prima generazione della famiglia che ha prodotto specialty in Brasile.” Alexandre ha fatto il percorso inverso rispetto a quello più comune e dopo che la sua famiglia ha lasciato i campi, lui ha voluto far rientro nelle piantagioni, acquistandone una nel 1994.

Horacio invece si colloca all’interno di una zona composta da ben 64 comuni e 36mila produttori, è il rappresentante della quinta generazione di farmers, ma la prima di specialty.

Ed è proprio un suo caffè che viene servito per primo in Chemex: 91 punti, appena tostato dal verde un lavato che si è posizionato al secondo posto della Cup of Excellence del 2023. Uno specialty che ha goduto di grande visibilità perché degli asiatici si sono innamorati delle sue note di Maracuja.

Ma come ci tiene subito a specificare Bitencourt, la cosa fenomenale di questi produttori non è tanto la capacità di ottenere punteggi altissimi: “Ma sono in grado soprattutto di garantire una certa costanza nel livello della produzione. Qual è il segreto di questo loro lavoro e consistency?”.

Prova a dare una risposta Horacio: “Il terroir, le condizioni climatiche sono importanti, assieme al processo del post-raccolta e dell’esperienza necessaria a padroneggiarlo. Anche le varietà che si sono sviluppate in una determinata zona devono essere quelle adatte al terroir.

Ultimo elemento: la fase di produzione.”

Un’interessante riflessione poi è stata fatta attorno al confronto tra altitudine e latitudine: questi coltivatori hanno piantagioni che si collocano tra i 950 ai 1550 di altitudine, una fascia che per il Brasile è già piuttosto elevata.

Ma, suggerisce Bitencourt, bisognerebbe fare il giusto confronto tra una regione equatoriale e una tropicale: nel primo caso, i 2000 metri equivarrebbero per una zona tropicale ad un’altitudine sotto i 1400. La qualità è anche determinata da quanto la coltivazione si trova distante dall’equatore e il modo in cui viene influenzata la pianta.

Certo, l’altitudine ha un effetto preciso sul caffè, ma il fattore che maggiormente ha impatto è la tempistica che intercorre tra la fioritura e la fase in cui la drupa è formata e pronta ad essere raccolta. Così, ciò che avviene tra i 1200-1400 in questa parentesi temporale nelle zone tropicali, è simile a quello che accade in altre regioni come Etiopia e Colombia, a 1800-2000 metri.

Ricordano i coltivatori: “Per ottenere questa produzione poi è fondamentale mantenere la biodiversità: su 37 ettari per esempio, soltanto 20 sono di caffè. Non si parla di un’agricoltura intensiva, ma di una armonica ed eco sistemica.”

Il secondo caffè degustato è quello di Alexandre, un Catucai rosso che ha subito una fermentazione anaerobica per 7 giorni in un container da 200 litri.

Ma come mai questi farmers hanno deciso di svoltare con lo specialty?

Alexandre: “Inizialmente siamo stati attratti da una tematica economica. C’è stato in passato un periodo in cui abbiamo visto dei prezzi molto bassi per la commodity in Brasile e così ci siamo spostati sullo specialty.

Nel tempo poi naturalmente è seguita la passione che è quella che ci sostiene anche oggi anche in quei momenti in cui lo specialty non viene valorizzato dal mercato, come sta accadendo per esempio quest’anno.

Tre, quattro anni fa, il rialzo pazzesco della commodity ha aiutato a fare una scrematura tra i produttori di specialty, allontanando tutti coloro che si erano impegnati soltanto per cavalcare la tendenza e che quindi sono tornati sui loro passi.

Quelli che invece hanno resistito sono quelli che hanno scelto gli specialty come stile e filosofia di vita. Il percorso di crescita è avvenuto in parallelo allo studio del caffè, del post-raccolta, delle varietà, attraverso diversi test con altre tipologie prese da altri Paesi. Adesso se si vuole lavorare in piantagione, si deve studiare in maniera approfondita le pratiche agricole, la materia prima.”

Jhone ad esempio, farmer molto rispettato nel mondo dei produttori in quanto referente di spicco nel mondo della fermentazione assistita, può contare su una struttura tecnica che migliora di anno in anno.

È un lavoro di pazienza, di continui esperimenti: certo ci sono diverse istituzioni che hanno dato struttura all’agricoltura, ma è anche vero che ciascuna varietà trova una migliore espressione a seconda delle zone: si pensi che persino all’interno della stessa Caparao, in base alle condizioni micro climatiche, può cambiare il risultato.

Normalmente sono necessari sino a 30 anni per arrivare ad ottenere l’esito migliore di una varietà. Quando un produttore mette la produzione in attivo, ha bisogno di altri 8 anni per capire come coltivarla nel modo più efficace.

Altri dati per informare il consumatore finale: su 50 mila piante di caffè, di cui il 60% è specialty, tutto il resto è dato dalla commodity in ottime condizioni.

Ben 83 piante servono per riempire un sacco da 60 chili. Se parliamo poi di specialty, sono necessarie 110 piante. Ancora da una pianta soltanto, si ricavano circa 700 grammi di caffè verde, appena 500 litri in volume.

Bitencourt toglie da una busta e mette in esposizione sul tavolo dei campioni portati dal suo recente viaggio in Brasile

Alcuni sono di specialty, altri sono di caffè commerciale più o meno pieno di difetti.

“Il caffè difettato è quello standard che si trova anche nei supermercati brasiliani. Quello ancora più ricco di difetti, corrisponde al 20/30% di quello che si acquista negli scaffali.”

Il caffè con più difetti

D’altra parte, il consumo di specialty in Brasile copre appena il 12-15% di quello totale. E il resto viene esportato.

Sul caffè verde che arriva dal Brasile sino in Italia si può dire invece che si colloca su uno standard piuttosto elevato e che però spesso viene tostato troppo scuro.

E si chiude l’esperienza con la presentazione del piano di Cafezal per la fine dell’anno:

“Portare un container intero con le nostre sole forze, ovvero facendoci carico di 320 sacchi di caffè con il commercio totalmente diretto.”

E poi un’importante riflessione arriva da Bitencourt rispetto alle dinamiche attuali: “Ora il mercato dello specialty si avvicina molto a quello dell’Arabica di buona qualità che a sua volta è prossimo a quello della Robusta anche di più scarsa qualità. Probabilmente il mercato non influenzerà con dei rincari lo specialty e questo dovrebbe portare chi tratta le commodity ad acquistare del verde di qualità più elevata.

Dal mio punto di vista, il prezzo del caffè tostato dovrà ulteriormente aumentare a partire dalla metà dell’anno.

E questo dovrebbe avere anche una ricaduta sul costo della tazzina al bar. Tutto questo aiuterà lo specialty perché già di partenza venduto ad un prezzo più alto e che ora si potrà adeguare finalmente ad un costo più in linea a quello che dovrebbe essere già ora.”

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