MILANO – Le insegne e le vetrine delle caffetterie alla moda fanno parte ormai da tempo del paesaggio urbano delle metropoli asiatiche.
Non è così nel Myanmar – nome ufficiale della Birmania – dove quello dei coffee shop è un fenomeno nuovo, espressione di un diverso clima sociale ed economico che si sta lentamente affermando con l’allentarsi della morsa del regime militare.
Un segno dei tempi, dopo decenni di dittatura dispotica durante i quali anche i beni di consumo più comuni erano spesso inaccessibili o irreperibili.
Il cambiamento di abitudini è lento e non soltanto per la radicata cultura del tè. La maggioranza dei 60 milioni di birmani, infatti, vive ancora poveramente.
E anche il prezzo di un semplice cappuccino o di un americano (2-3 dollari) può risultare proibitivo essendo superiore di una decina di volte al valore normale di una consumazione in un esercizio pubblico.
Ma il numero dei coffee shop è in crescita, complici il traino delle mode occidentali – veicolate da tv, internet e social media – e la voglia di novità dei giovani.
La riprova? Le oltre venti caffetterie che hanno aperto i battenti negli ultimi anni nella sola Yangon (Rangoon).
E la nascita delle prime catene. La prima insegna in ordine di tempo è stata quella di Nervin Cafe, che opera anche nella capitale Nay Pyi Taw e a Mandalay.
Il mercato è promettente, tanto che lo stesso Howard Schultz, in occasione di un viaggio nella vicina Tailandia, ha prospettato, due anni fa, il possibile sbarco in terra birmana.
E se la clientela dei coffee shop era composta inizialmente soprattutto da stranieri, oggi i consumatori di casa sono la maggioranza.
Il fattore lifestyle fa naturalmente la sua parte. Ma sono soprattutto le buone prospettive economiche a motivare l’ottimismo di operatori e analisti.
Secondo le previsioni degli organismi internazionali, il pil di Myanmar potrebbe raggiungere, entro la fine del prossimo decennio, i 200 miliardi di dollari, quasi il quadruplo di quello attuale.
E la proporzione della popolazione urbana potrebbe, a sua volta, raddoppiare rispetto ai livelli di oggi.
Se questo scenario si avvererà assisteremo all’ascesa di un ceto medio benestante, che darà impulso alla domanda interna di beni di consumo e servizi.
Il target di frequentatori tipico delle caffetterie.
Il cambiamento, comunque, non sarà immediato. Il pil pro capite si attesta attualmente attorno ai 1.300 dollari.
Gli analisti insegnano che per parlare di consumi di massa è necessario che il reddito disponibile arrivi almeno ai 5.000 dollari: un traguardo ancora lontano.
Ma le riforme e la graduale liberalizzazione lasciano ben sperare per il futuro.
E le multinazionali – in questo come in altri settori – guardano con interesse crescente a questo paese, uno degli ultimi dell’Asia a vantare un potenziale economico in massima parte ancora inespresso.