MILANO – Un confronto diretto con il neo eletto coordinatore nazionale SCA Italy Alberto Polojac, che non è alla sua prima volta in questi panni – lo era diventato nel 2019, con una pandemia di mezzo da superare – e che certo in questo arco di tempo non ai vertici non ha mai smesso di lavorare per innalzare la cultura del caffè in Italia, attraverso le sue attività di Q Grader, formatore, torrefattore, esperto di verde e comunicatore.
Polojac al secondo giro di questo mandato, come mai innanzitutto ha deciso di rimettersi in gioco come coordinatore Sca Italy?
“La prima volta è stata più che altro virtuale. Per cui ho deciso di riprovarci perché c’erano delle cose che non sono riuscito a realizzare in quegli anni. Il mio principio guida si fonda sul creare delle connessioni, soprattutto laddove mancano.
Ad esempio un obiettivo è quello di mettere in contatto con la materia prima i consumatori e i professionisti che si vogliono avvicinare a questo mondo e abbracciare un discorso di filiera, ancora tutta da esplorare proprio a partire dalle radici e dalla pianta.
Su questa linea una delle idee che erano in programma per il mio precedente mandato e che poi per ovvie ragioni non è stato possibile concretizzare, era quella di portare in piantagione i membri SCA Italy e i potenziali nuovi soci. Fino ad oggi spesso, anche involontariamente, la gente si ritrova a sbattersi contro un muro di tecnicismi che il settore certo utilizza ma che a volte rappresentano più una barriera per chi non è un addetto ai lavori.
Il mio pensiero va ovviamente anche a chi è già all’interno dell’Associazione, come i baristi che non hanno molto tempo per viaggiare e che non hanno per questo motivo mai visto una pianta del caffè. È una cosa che abbiamo notato soprattutto leggendo le bio nelle competizioni barista: molti sfidanti hanno condiviso il sogno di andare alle origini.
E allora ho avuto un’intuizione per trovare un giusto compromesso tra le esigenze di chi deve stare dietro al bancone e la necessità di approfondire la materia prima: ormai abbiamo la fortuna di coltivare le piante di caffè in Sicilia e questo permetterebbe di organizzare dei viaggi non dall’altra parte del mondo, con costi e tempistiche più alla portata di tutti.”
E come attuerà questo piano di coinvolgimento?
“Ho già un piano di azione. Innanzitutto c’è l’intenzione di coinvolgere i competitor e i baristi, magari facendo loro adottare una pianta di caffè che potranno poi andare a curare nell’isola, osservandone l’evoluzione durante i mesi. Penso che sarà un’iniziativa apprezzata anche perché richiede meno tempo e risorse rispetto al recarsi in un altro Paese produttore lontano.
Avvicinerei poi anche il consumatore finale attraverso dei programmi dedicati o ad esperienze comuni che arricchiscono andando oltre il caffè: penso ad una sorta di ritiri spirituali in tutta Italia che abbiano un taglio più turistico dove si possa, oltre a vedere le piante, sperimentare degli eventi sensoriali che facciano recepire un prodotto in maniera più complessa, non come semplice bevanda.
Al di là di Trieste, ci sono delle città che ormai sono istituzioni: Napoli che ora sta emergendo, Firenze che rappresenta un Rinascimento del caffè, Milano e Roma che sono i centri più importanti per lo specialty.”
Polojac, cosa pensa dei collaboratori che faranno parte di questo chapter con lei alla guida?
“E’ una squadra eterogenea che unisce generi differenti e generazioni distanti: io e Andrea Lattuada rappresentiamo un po’ la vecchia guardia, e con noi ci sono i più contemporanei che fanno bene al settore. Essere i pionieri ti fa vedere le cose in un certo modo mentre confrontarsi con i più giovani apre a nuove connessioni e visioni, per far sì che lo specialty sia meno lontano dalle persone.
È un mix anche di diverse figure professionali, ma siamo tutti trainer che è un aspetto fondamentale. Vorrei anche includere tutte quelle aziende che ancora sono convinte che lo specialty sia in contrapposizione all’espresso.
Lo specialty è al contrario inclusivo, comprende anche la tazzina e ci aggiunge soltanto altri metodi di estrazione che non possono essere sottovalutati, perché dobbiamo pensare di vendere il caffè a livello globale.
Avrò anche modo di coinvolgere più istituti alberghieri, intercettando quelli più ricettivi. Infine, dal punto di vista della comunicazione vorrei raggiungere i giornalisti che si occupano di food&beverage in generale, per allargare la nicchia di interlocutori magari proponendo dei momenti di incontro e ampliando il bacino di riferimento di SCA Italy.”
Un messaggio alla community che conta molto sul lavoro di associazione?
“Per raggiungere un pubblico più ampio ho bisogno del supporto di tutti, al di là di quello di chi mi ha eletto. Per me la priorità è trovarci coesi nella nostra eterogeneità, trovando i punti in comune per diffondere la cultura del caffè buono, che è qualcosa che si può apprezzare anche dal punto di vista organolettico.”