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mercoledì 18 Dicembre 2024
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Gianluigi Goi parla della produzione del caffè in Sicilia all’orto botanico di Palermo

Goi: "Il ricorso alle tecniche biotecnologiche avanzate, l’utilizzo di sensori e di applicazioni tecnologiche avanzate (la cosiddetta agricoltura punto 4 o 5) per irrigazione mirata e utilizzo di tessuti agrotessili e/o strutture ad hoc per la crescita,  sono alcune delle diverse opportunità più aggiornate  che fanno ritenere possibile in tempi relativamente brevi il superamento della sfida che dovrebbe portare alla coltivazione del caffè siciliano in quantitativi certo limitati ma non irrisori facendo ricorso a quella che il professor Inglese definisce la , “la sola capace di portare a risultati replicabili nel tempo e nello spazio”"

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Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista specialista di agricoltura affezionato a queste pagine che con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi esprime le sue considerazioni sulla produzione di caffè 100% siciliano all’orto botanico di Palermo a seguito dell’articolo di Giulia Bartalozzi, pubblicato da Georgofili Info (ne abbiamo parlato qui). Leggiamo di seguito le considerazioni di Gianluigi Goi.

La produzione di caffè in Sicilia

di Gianluigi Goi

PALERMO – “Caffè made in Sicily: l’esperimento all’orto botanico di Palermo” a firma di Giulia Bartalozzi, pubblicato da Georgofili Info del 29 maggio 2024, secondo noi, in nuce costituisce la data di nascita del primo caffè 100% siciliano, e conseguentemente italiano e, potenzialmente, europeo.

Per evitare elucubrazioni pindariche che sarebbero fuori luogo e meglio precisare la nostra affermazione si sottolinea che il professor Paolo Inglese (ordinario di Scienze agrarie all’Università di Palermo con specializzazione post-laurea in Agricoltura tropicale e subtropicale e georgofilo: chi è cultore degli studi agrari però con occhi molto attenti anche agli aspetti umanistici insiti nell’attività primaria sin dai primi tempi dei Sapiens) nell’intervista riportata ha evidenziato che “di fatto esistono in orto (Botanico di Palermo  e più in generale in Sicilia n.d.r.), in diversi vivai e parchi privati, piante di caffè che prosperano e si riproducono da decenni, se non di più. Noi stiamo cercando solo di metterle a sistema colturale in modo ordinato”.

Si tratta di semenzali (nel lessico agronomico piantine germinate da seme da poco tempo) “capaci di produrre frutti e semi fertili”.

In un altro passaggio viene sottolineato che si torna a coltivare caffè “a più di un secolo di distanza dal primo esperimento di coltivazione nell’Isola”. Infatti nel 1905, in quella che oggi è l’ombreggiata particella storica del caffè alieno accudita nell’Orto botanico palermitano –  di suo una istituzione scientifica di rilievo in un ambiente che trasuda, per piante e fiori, passione e saperi antichi e moderni fusi armonicamente insieme – furono piantate 25 piante.

I precursori della coltivazione di prova di quelle che furono definite specie tropicali e, in un’epoca buia per l’Italia, persino ‘coloniali’, furono i professori Savastano, Casella e Calabrese, antichi Maestri di una scuola agronomica siciliana di prestigio oggi al proscenio della frutticoltura europea per la coltivazione performante e competitiva del mango e dell’avocado.

“Facciamo piccoli passi – dichiara il professor Inglese, coordinatore del progetto, che vede coinvolto tutto il Dipartimento di Scienze agrarie dell’Università di Palermo e in particolare il professor Vittorio Farina – sappiamo bene che la vocazionalità ambientale è quella che è, limitata e da testare nel tempo e nello spazio”.

Però la strada, ancorché non facile da perseguire, indica con chiarezza la meta della coltivazione in ambiente protetto.

Il ricorso alle tecniche biotecnologiche avanzate, l’utilizzo di sensori e di applicazioni tecnologiche avanzate (la cosiddetta agricoltura punto 4 o 5) per irrigazione mirata e utilizzo di tessuti agrotessili e/o strutture ad hoc per la crescita,  sono alcune delle diverse opportunità più aggiornate  che fanno ritenere possibile in tempi relativamente brevi il superamento della sfida che dovrebbe portare alla coltivazione del caffè “siciliano” in quantitativi certo limitati ma non irrisori facendo ricorso a quella che il professor Inglese definisce la <prudenza agronomica>, “la sola capace di portare a risultati replicabili nel tempo e nello spazio”.

Del resto già ora le pur modeste quantità di chicchi prodotti su base amatoriale e/o sperimentale fanno dire che “la qualità è buona ed è stata analizzata da assaggiatori esperti” e, aggiunge Paolo Inglese, non immaginiamo grandi quantità ma produzioni di nicchia che valorizzino il brand”.

In pratica, più prima che poi, si potrà affermare che in Sicilia sarà prodotto “il primo caffè 100% europeo dal seme al macinato”. Un ritorno d’immagine importantissimo.

Un traguardo sì difficile ma alla portata di una vera e propria “filiera caffeicola” che è in fieri e già abbozzata in maniera abbastanza chiara.

Con la ricerca universitaria, base di partenza ineludibile, ne fanno già parte produttori, vivaisti (aspetto molto importante, anche se dice poco ai non addetti ai lavori) ed è pure presente anche l’ultimo anello della catena, la torrefazione.

L’ultimo passaggio, quello del servizio finale al cliente/consumatore nell’Isola, patria di cantastorie storici, con tanto di “narrazione del gusto” come va di moda oggi, è l’ultimo dei problemi.

Quello vero, almeno a parere di chi scrive, è mantenere e consolidare lo spirito di squadra che si è venuto finora formando ma il difficile viene adesso che si cominciano ad intravvedere i primi luccichii del successo, con quel che ne consegue anche in termini economici. E quella siciliana è terra di individualisti spinti.

Prima di concludere, chi scrive – convinto assertore dell’utilità di un progetto affascinante qual è questo del caffè made in Sicily – si permette di rivolgere agli esperti il seguente quesito: è possibile alla luce delle più recenti acquisizioni della genetica e della microbiologia della rizosfera (all’ingrosso il suolo che circonda le radici) o di altre tipologie di analisi, arrivare ad una plausibile tipizzazione del futuro caffè siciliano?”

                                                                                                    Gianluigi Goi

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