MILANO – Nella capitale il caffè specialty si fa strada nella ristorazione: così è successo da FASE, creatura di Federico Salvucci e operativo da qualche mese. Dopo una lunga esperienza di 12 anni come cuoco si è deciso a cambiare traiettoria rispetto alla classica cucina romana. Prendendo contatti con Faro avviene l’incontro con lo specialty. Ed ecco che da FASE fa il suo ingresso il Senhor Niquino, Brasile.
Al FASE, il fine pasto si chiude con una tazzina eccellente a non troppo spinta
Racconta Salvucci: “Tra le note percepite emergono la fava di tonka, la nocciola e la liquirizia. Gusti abbastanza semplici da comprendere rispetto ad altri specialty. Prodotto che si lega bene con la mia idea più ampia di ristorazione. Per il nome ho scelto innanzitutto una parola breve (che poi corrisponde alle mie iniziali) che potesse essere facilmente ricordata e che mi permettesse di giocare con il menù: antipasto (fase 1), primo (fase 2) e secondo (fase 3).
Abbiamo pensato cinque piatti diversi per offrire la possibilità di soddisfare tutti i gusti. In ogni Fase c’è vegetale, selvaggina, carne rossa, pesce e proposte celiache. La nostra è quindi una filosofia inclusiva, perché di base dovrebbe essere così la ristorazione.”
E come mai ha deciso di inserire da subito lo specialty da FASE?
“Ho puntato molto sullo specialty. La maggior parte dei ristoranti non lo hanno in carta e così spesso si arriva delusi a fine pasto. Il caffè in Italia è così popolare, ma in realtà non ne sappiamo niente. Io invece ho voluto investire molto su questo prodotto. Tutte le scelte che abbiamo fatto per FASE, dal menù alla panificazione, sino al caffè, devono essere di un certo livello.
Per ora serviamo soltanto l’espresso, attendendo però di ampliare l’offerta nell’aperitivo con un filtro o un doppio. La tazzina costa 2.20 al tavolo. Ci salviamo rispetto alla solita polemica del prezzo perché nel tipo di ristorante che abbiamo impostato questa cifra risulta coerente.
Ovviamente, ci impegniamo a spiegare il caffè, lo raccontiamo, costruiamo un’esperienza attorno alla bevanda e fin qui il 99% della gente ha apprezzato. Per ora siamo aperti sia a pranzo che a cena, ma prossimamente penseremo ad aprire per l’aperitivo.”
Spesso i ristoranti non sviluppano il discorso attorno al caffè perché pensano ai volumi poco importanti: voi quanti ne fate?
“Il margine di guadagno sul caffè commerciale non è poi così alto come si può pensare. Credo che si debba fare piuttosto un discorso a lungo termine.
Un caffè che non è qualitativamente all’altezza, rovina il resto dell’offerta. Nella zona il caffè buono si beve soltanto qui e questo è un plus che attira più persone. Per ora facciamo un centinaio di espresso al mese, ma questa cifra non è un problema perché stiamo guardando in prospettiva.”
Quali attrezzature avete scelto per FASE?
“Sul parco macchine ci è stato suggerito dallo stesso Faro di appoggiarci per il momento ad una macchina De Longhi Dinamica con macinino integrato – che forse è l’unica sua pecca, volendo più avanti introdurre più tipologie di specialty per dare un’alternativa, più o meno acida o con più o meno corpo – che ci permette comunque di estrarre il caffè rispettandone abbastanza la qualità.
Per un ristorante come il nostro che conta 28 coperti senza colazioni e aperitivi, è la soluzione giusta ed è anche più facile da utilizzare dal personale, considerando anche parametri come la temperatura, la macinatura e la pulizia.
Abbiamo trovato un giusto compromesso tra le nostre esigenze e la volontà di garantire una proposta di un certo livello. Quindi dico agli altri ristoratori che in realtà basta poco per organizzarsi e vendere qualcosa di buono.
In futuro mi piacerebbe approfondire il discorso di pairing tra cibo e caffè. Non subito, per dare tempo alle persone di conoscerci meglio e comprendere intanto la qualità di uno specialty in espresso.
Attualmente il caffè viene usato comunque come ingrediente: un esempio è quello dei plin piemontesi con la barbabietola nell’impasto, il blu di bufala con burro e salvia e di accompagnamento nel piatto dei cerchietti di barbabietola cruda, nocciole e polvere di caffè sottilissima, quasi fosse una spezia impalpabile.
A volte mi è stato detto di poterne aggiungere. Porta una nota leggermente più acidula nel piatto. Oppure ne frulliamo una parte grossolanamente per renderla infusa nella panna al caffè. Oppure lo usiamo nelle creme per la piccola pasticceria. Realizziamo una ganache al caffè che ricorda esteticamente la coppa del nonno.”
Quindi lei che messaggio invierebbe a chi come lei fa ristorazione?
“Molto semplice: puntate sul caffè. Basta spacciarsi per i fenomeni del caffè senza saperne niente: è fondamentale informarsi un minimo senza dover fare investimenti impossibili. Si può proporre una tazzina di altissima qualità che fa ritornare la gente, dando un ultimo saluto che coccola il palato. Anche su questi dettagli ci si costruisce un nome.”