MILANO – Dal 1995 la Compagnia del Cioccolato fondata a Perugia, ha resistito alla prova del tempo continuando a rappresentare i consumatori sia esperti che appassionati del cioccolato, come Associazione che educa, informa sul prodotto di qualità. Abbiamo parlato con l’attuale presidente Gilberto Mora, per fare anche un po’ il punto del mercato e delle abitudini di consumo italiane attorno a questo mondo.
Da 25 anni alla ricerca di buon cioccolato: ma cos’è la qualità oggettiva quando si parla di questo prodotto?
“La qualità oggettiva è sostanzialmente cercare di uscire da una logica per cui il cioccolato è semplicemente buono perché piace indiscutibilmente a tutti. Una delle prime cose che abbiamo fatto come associazione è stata costruire già prima del 2000, una scheda di degustazione del cioccolato costituita da circa 25 parametri che aiutano nell’assaggio a valutare oltre il proprio gusto personale.
Abbiamo voluto trovare una qualità oggettiva e per questo ci siamo dati delle regole.
Abbiamo individuato 13 schede di degustazione per ogni tipologia di cioccolato: una più basica sul fondente, una per il latte, una per il gianduia, una per le praline, una per le spalmabili etc.
Questo perché in questo modo, quando consegniamo il nostro Premio Tavoletta d’Oro, attualmente giunto alla 22esima edizione, siamo in grado di selezionare quali sono i migliori cioccolati italiani a partire dalle nostre griglie.
Naturalmente le abbiamo impostate lavorando insieme a dei grandi esperti che già avevano strutturato schede per il vino e per l’olio. Abbiamo deciso quali fossero le macrocategorie su cui puntare: aspetti tattili, olfattivi (retro-olfattivi), gustativi (dolcezza, amarezza, acidità) e al loro interno altri 6 o 7 parametri.
Ad esempio sul cioccolato fondente, l’aspetto retro olfattivo è quello primario, perché si regge sulla forza del cacao e sugli aromi secondari determinati dalla genetica stessa del cacao.
Lo diciamo sempre: non esiste mai un cioccolato, ma solo i cioccolati.
Si usano circa nel grande mondo del cacao, 500 genetiche differenti che come un pittore con la sua tavolozza vengono usate in purezza o in diverse ricette.”
I consumatori italiani sono così consapevoli di cosa ci sia dietro il prodotto finito del cioccolato? Le cose stanno cambiando?
“Le cose stanno cambiando. Ce ne accorgiamo andando in giro durante i panel di degustazione e vedendo il numero di persone che si iscrivono. Il lavoro che dovevamo fare era quello di formare dei chocolate taster che comprendessero realmente quali fossero i cioccolati oggettivamente di qualità elevata.
Perché formando degli esperti, si iniziano a diffondere informazioni ai consumatori su quelli che sono i cioccolati migliori. Da almeno una quindicina di anni se ne parla anche sulla stampa, tra i cioccolatieri che compilano le loro etichette, come un prodotto gourmet e non soltanto come una commodity che piace a tutti.
Questo cambio si nota anche dal fatto che le persone stanno cominciando in Italia, come già accade in Francia e Inghilterra, ad apprezzare cose diverse andando verso cioccolati con aspetti aromatici più raffinati, fondenti e monorigine.
Parliamo chiaramente sempre di consumatori che fanno una scelta gourmet, non di quelli che vanno al supermercato e acquistano a caso le tavolette.”
Che cosa commenta sul mondo bean to bar? Molti artigiani hanno smesso di chiamarsi così perché ormai anche le grandi aziende si fregiano di questo titolo
“E’ un concetto che rischia di confondere il consumatore. Come Compagnia apprezziamo il mondo bean to bar: da oltre 10 anni abbiamo inventato a supporto di questo sistema un progetto in cui selezioniamo il cacao in giro per le piantagioni in Venezuela, Colombia, Ecuador, per trovare materia prima di qualità da fornire ai cioccolatieri italiani (dalle medie industrie ai piccoli produttori) che per tanto tempo non avevano la forza di andare a cercarla ed erano costretti a trattare solo semilavorati.
Ora il mondo bean to bar “originale” è abbastanza limitato per certi versi, in quanto è composto da piccoli produttori e proviene soprattutto da un’idea nata negli USA. Cercare un sacco di cacao, da 50-60 chili, lavorando con mezzi che costano il meno possibile, determina alla fine che su 50 produttori bean to bar ce ne siano soltanto 1 o 2 che riescono a consegnare dei prodotti qualitativi interessanti e di grande impatto.
Il più delle volte si rimane a livello sotto aziendale. Si era invertita una tendenza e chi voleva occuparsi di cioccolato aveva deciso che fosse fondamentale trovare le materie prime, le fave di cacao e recarsi in piantagione per poi lavorarle in laboratorio con tutti i vari passaggi sino al bar.
Ma per avere una propria linea di qualità sufficiente, almeno 100/150mila euro devono essere investiti e molti piccoli artigiani non dispongono di questa cifra.
Faccio sempre un esempio per l’Italia di chi c’è riuscito: uno dei primi produttori bean to bar è stato Marco Colzani, vicino a Monza. Ha iniziato usando delle piccole macchine (addirittura per separare il cacao una volta tostato e franto dalle bucce di cascara, impiegava una diraspatrice di vino) e ora, dopo 15 anni è diventato uno dei cioccolatieri che continua a mantenere uno stile rigoroso e vince numerosi nostri premi.
Adesso il suo laboratorio è molto grande, con mulini a biglie, ma applica ancora una lavorazione molto complessa che rispetta il cacao. Ormai anche le grandi case si sono impossessate del termine bean to bar e mi arrabbio molto per questo: quando si trova una monorigine che costa 2 euro a tavoletta, è evidente che c’è qualcosa che non torna e si capisce che è una maniera di cavalcare le realtà più artigianali e raffinate.
Non ne avrebbero neppure bisogno, perché hanno grossi fatturati e possono contare su macchinari di grande capacità: potrebbero realizzare cioccolato di altissima qualità, ma allo stesso tempo questo comporterebbe una grande ricerca di cacao premium a costi elevati. Per loro diventerebbe controproducente.”
Come racconta e vivete in Associazione questo rincaro incredibile della materia prima?
“Assolutamente è un fenomeno speculativo. Ci chiedevamo da anni quand’è che la speculazione internazionale avrebbe preso di mira il cacao ed ora è successo. Si parte da dicembre quando il cacao basico (quello soprattutto africano che costava il meno possibile, comprato dalle multinazionali) era alla borsa di New York e di Londra sui 3 dollari al chilo per poi arrivare nel giro di un mese e mezzo a 10 dollari al chilo: questo è assolutamente un aspetto che non ha ragione di esistere e che nasce soprattutto da alcuni problemi che effettivamente si sono verificati per via di fattori climatici avversi soprattutto in Africa.
Come Associazione abbiamo sempre dato i nostri cacao del Venezuela e della Colombia a 6-7 euro al chilo, e parliamo di un criollo di grande qualità. Adesso come base si vende il cacao di cattiva qualità che non viene nemmeno fermentato a partire dai 10 dollari.
Siamo di fronte quindi ad un meccanismo per cui qualcuno ha acquistato tanto cacao, l’ha tenuto fermo e decide di non vendere: ci sono tanti cioccolatieri che stanno affrontando problemi perché i loro soliti fornitori dicono che non hanno materia prima a disposizione.
Allo stesso modo è scomparso quasi del tutto il burro di cacao, con costi quasi triplicati.
Per tentare di comprendere meglio cosa stesse accadendo, abbiamo inviato il nostro agronomo alla conferenza dell’ICCO a Bruxelles dove si è potuto discutere di questi aspetti legati anche ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità.
Attualmente non abbiamo la certezza che le stagioni del cacao continuino ad essere le stesse di sempre, con una raccolta principale prevista a ottobre-gennaio e una secondaria tra luglio-agosto. Non sappiamo più quando il cacao sarà pronto perché o piove troppo o c’è eccessiva siccità.
Da quello che è emerso dal confronto con gli agronomi, probabilmente ora questo fenomeno speculativo conoscerà una breve pausa (chi doveva acquistare o riempire i magazzini l’ha già fatto) e per cui si attutirà la salita dei prezzi. È però probabile che entro la fine dell’anno ripartirà in maniera più forte. Bisogna aspettarsi di tutto.
Noi come chi vuole aiutare i consumatori, vogliamo raccontare la situazione, ma è complicato entrare nel merito di cosa significa produrre un cioccolato: se è di alta qualità però, corrisponde a circa 90 euro al chilo per i consumatori.
Bisogna anche iniziare a dire che l’incidenza della materia prima sul costo finale è del 10,
massimo 15%, mentre ora potrà aumentare al 20%. Quello che poi davvero incide sono altri aspetti di produzione, packaging, marketing, e credo che su questi si possa lavorare. I consumatori consapevoli erano disposti a pagare 5 euro per una tavoletta da 50 grammi e ne possono spendere anche 7.”
Come ci si iscrive e quanto costa alla Compagnia del Cioccolato?
“Il nostro lavoro principale è quello di fare informazione e formazione. Il primo punto: ci occupiamo di raccontare da più di 22 anni quali sono i migliori cioccolati italiani in ogni categoria. Anche questo 2024 abbiamo assaggiato sino a febbraio, quasi 1200 differenti cioccolati e abbiamo comunicato in diversi panel di degustazione i migliori.
La formazione: abbiamo il nostro corso per chocolate taster che abbiamo deciso che diventerà un corso su tre livelli. Uno di due giornate per raccontare il mondo del cacao e del cioccolato dove insegniamo naturalmente ad utilizzare le schede di degustazione che ciascun allievo potrà spedire (abbiamo uno staff che le riceve le schede compilate per i vari cioccolati) e ricevere indietro corrette.
Il corso di I livello costa pochissimo (180 euro) +50 euro per la tessera della Compagnia del Cioccolato, che dà quasi 50 euro di cioccolati di qualità per le degustazioni personali.
Con questo primo corso di ottiene un Attestato di partecipazione. Poi un corso più approfondito (tra i 180-200 euro) che prevede una visita da un cioccolatiere per studiare le
macchine, le attività, le tipologie di lavorazione. All’interno anche tutti gli aspetti degli abbinamenti del cioccolato con le varie bevande. Chi vorrà potrà sostenere un esame per ottenere il diploma di Chocolate Taster.
Poi faremo un ulteriore passaggio, organizzando una decina di giorni nelle piantagioni di cacao soprattutto in Venezuela con le città più significative. Visiteremo questi luoghi guidati da degli agronomi nei centri di raccolta in cui avviene la fermentazione, l’essicazione, direttamente alle origini. Tutto questo al costo circa di 2500 euro a persona più i voli internazionali che riusciamo a trovare solitamente a circa 1000 euro.”
Ci parla della Guida che avete formulato per l’analisi specifica dei cioccolati in Italia?
“Abbiamo creato una piccola Guida anni fa, ma in realtà ora la nostra Guida è il risultato del Premio Tavoletta d’oro dove raccontiamo i migliori cioccolati (decretato un vincitore più 7-8 finalisti, su 130 cioccolati oscar italiani). Apriremo a breve sul nostro sito www.cioccolato.it delle pagine specifiche che racconteranno nel dettaglio vincitori e finalisti Gli artigiani o industriali di alta qualità (come Amedei, Colzani, Domori, Gardini, Maglio, Sabadì, Slitti, Gobino, Venchi, Majani ed altri ancora ) ci sono: il termine
artigiano è complesso.
Se guardiamo ad esempio un grande produttore come Venchi che lavora con negozi in tutto il mondo, dal punto di vista qualitativo comunque ha almeno la metà dei suoi prodotti realizzati con modalità artigianali.
Per fare un esemplificazione la società Cacao Mar che abbiamo attivato in Venezuela fornisce a proprio a Venchi quasi 80 tonnellate di cacao all’anno selezionato appositamente per creare prodotti di altissima qualità. Non nascondiamoci quindi dietro la definizione di artigiani: tanto esistono molti piccoli produttori che lavorano con semilavorati.
E dall’altra invece ci sono professionisti come Guido Gobino che resta un grande artigiano, con 60 anni di attività alle spalle e i macchinari più industriali. Questo non significa che abbia smesso di fare prodotti di altissima qualità. E lo stesso si può dire di Slitti, Maglio, Majani, Gardini, Amedei. Tutti molto presenti tra i vincitori delle nostre Tavolette d’Oro.”