NAPOLI – Nelle giornate del 7 e 8 maggio 2024 è stato organizzato a Napoli, nella splendida struttura del Maschio Angioino, il primo evento dedicato alle giornate cittadine del caffè napoletano, manifestazione aperta al pubblico voluta dal Comune di Napoli, in particolare da Teresa Armato, dell’assessorato al turismo e alle attività produttive, e da Flavia Sorrentino, vicepresidenza Consiglio Comunale.
Andrej Godina, dottore di ricerca in scienza, tecnologia ed economia nell’industria del caffè, ha moderato il convegno “Coffee Value chain: disciplina e prospettive di una filiera complessa” con la partecipazione di Alberto Polojac di Imperator Srl, Pino Coletti di Authentico, l’esperto del caffè Mauro Illiano e Jovin Semakula che ha da poco avviato la start up la MDL Srl società benefit. Leggiamo di seguito il resoconto del convegno di Andrej Godina.
Coffee Value chain: disciplina e prospettive di una filiera complessa
di Andrej Godina
“All’interno del ricco programma della manifestazione, l’8 maggio, ho avuto il piacere di moderare il convegno dal titolo “Coffee Value chain: disciplina e prospettive di una filiera complessa” con la partecipazione di 4 illustri relatori con l’ambizioso intento di affrontare assieme a loro alcuni dei temi di attualità inerenti la filiera di produzione del caffè che, come si sa, è particolarmente lunga e complessa.
Il caffè è la bevanda più consumata al mondo e nonostante questo primato, perlomeno in Italia, è una delle filiere meno conosciute dal consumatore e che cela dietro le sue quinte una serie complessa di sfide, problematiche serie inerenti alla sostenibilità e al contempo nuove e interessanti opportunità.
La mia moderazione ha richiesto ai relatori uno sforzo notevole di sintesi per riuscire, nel poco tempo a disposizione, a tracciare le tematiche più attuali sugli argomenti della sostenibilità di prodotto nei confronti dei contadini, sulla tracciabilità e la blockchain inserita nel contesto del nuovo regolamento dell’UE sui prodotti che provengono da zone a deforestation-free, sulla nuova modalità di certificazione dello specialty coffee e sulla formazione del consumatore.
Procedendo, in ordine cronologico di intervento, la prima relatrice è stata Jovin Semakula, ugandese di origine che ha da poco avviato la start up la MDL Srl società benefit con un progetto ambizioso di importazione ed esportazione di caffè prodotto nel suo paese, caffè prodotto con standard elevati di responsabilità sociale.
Jovin ha raccontato in premessa il ruolo della coltivazione del caffè in Uganda dove ogni famiglia ha una piccola produzione che deriva dal possesso di un terreno all’interno del quale c’è uno spazio riservato per la sepoltura dei propri cari.
Questo terreno è considerato sacro e viene curato con un profondo senso di misticità, all’interno del quale ci sono diverse piante tra cui è comune ritrovare alberi di caffè. I fabbisogni alimentari delle famiglie provengono dalle colture presenti nei loro terreni che garantiscono la produzione di cereali, legumi e frutta.
In questo contesto di biodiversità le piante di caffè presenti producono un caffè di alta qualità e il ricavato della vendita rappresenta per le famiglie una componente marginale. Da questo terroir di coltivazione nasce l’origine della rinomata qualità del caffè ugandese.
Alcuni numeri sull’Uganda possono aiutare a capire il contesto di produzione: la popolazione è composta da 46 milioni di persone, secondo il censimento del 2022, l’economia del paese si basa per il 24% sul settore agricolo, che coinvolge oltre il 70% della popolazione e oltre 5 milioni di persone sono impegnate nella coltivazione di caffè.
Il caffè in Uganda rappresenta il 16% del valore delle esportazioni e si posiziona al secondo posto dopo l’oro.
L’Italia è il principale paese di destinazione delle esportazioni del caffè ugandese, con oltre 2 milioni di sacchi esportati. Il caffè viene coltivato in tutto il paese, soprattutto nelle zone circostanti i laghi, tra cui il distretto di Mbale, dove si trova anche la Sub-Regione di Bugisu, che si estende oltre i 1500 metri sul livello del mare e coltiva diverse varietà della specie Arabica.
Il caffè viene coltivato in 44 distretti (51% del territorio nazionale), di cui 28 (32%) producono esclusivamente Arabica, mentre gli altri 15 distretti (17%) coltivano sia Arabica che Canephora varietà Robusta.
La produzione attuale di caffè in Uganda si attesta a circa più di 4 milioni di sacchi, di cui l’80% è Robusta e il 20% è Arabica, con una produttività media di 0,3 kg di caffè esportabile per albero all’anno.
La Coffea Canephora è il principale tipo di caffè coltivato, che ha come suo habitat nativo la Mezzaluna del Lago Vittoria, mentre la Robusta selvatica cresce ancora in foreste intorno al bacino del Lago Vittoria e nelle riserve forestali di Kibaale e Zooka-Adjumani.
Dal canto della sostenibilità della filiera Jovin ha sottolineato che in Uganda la produzione del caffè è strettamente legata al lavoro delle donne. La società ugandese prevede che le donne arrivano al matrimonio con una dote nuziale che è rappresentata da porzioni di terreno della famiglia. Le donne si occupano della raccolta e del processamento del caffè e hanno un accesso limitato ai profitti derivanti dalle vendite. È per questo motivo che la nuova start up ha lo scopo di sostenere progetti che valorizzino le donne e le famiglie coinvolte nella produzione del caffè.
Il secondo relatore, Pino Coletti, di Authenico, si è agganciato all’argomento dei paesi di produzione del caffè con il nuovo regolamento dell’Unione Europea sulla deforestazione, chiamato EUDR, grazie al quale Importatori e, in alcuni casi, i torrefattori, a partire da fine anno, dovranno garantire che i loro prodotti siano stati coltivati in aree a deforestazione zero.
Questa normativa avrà un forte impatto per il settore, ma sarà anche l’occasione per le imprese di testimoniare il loro impegno verso la sostenibilità ambientale. In questo nuovo scenario, la certificazione della tracciabilità del caffè con la tecnologia blockchain si inserisce perfettamente per supportare le aziende a dimostrare l’origine della materia prima e a digitalizzare i certificati anti-deforestazione in modo che siano visibili lungo l’intera filiera, dall’azienda agricola nei paesi di produzione fino al consumatore finale.
Per la certificazione in blockchain sono mappati i luoghi di produzione di ogni singola piccola piantagione, sono dichiarate le varietà botaniche e i processi di lavorazione. Ognuno degli attori della filiera si collega alla piattaforma on line e inserisce i dati e i documenti per ogni lotto di raccolto. La torrefazione sarà l’ultimo anello della filiera che ultimerà l’ingresso dei dati del prodotto e in questo modo chiuderà la catena.
I documenti tracciati e i dati saranno visibili lungo tutta la filiera, anche dalla dogana che dovrà verificare che trattasi di prodotti che provengono da zone non deforestate. Il costo dell’implementazione della piattaforma blockchain dipende dalla numerosità degli attori coinvolti e dal numero di lotti prodotti annualmente, e Pino ha affermato che questo tipo di progetti applicati alla filiera del caffè possono costare dai 5.000 € ai 15.000 €, il primo anno.
La tracciabilità della filiera del caffè rappresenta l’opportunità per i torrefattori per posizionare i loro prodotti di qualità ed esaltarne le caratteristiche distintive rispetto alla concorrenza, in piena trasparenza.
Seguendo l’esempio di alcuni marchi leader, la certificazione della filiera in blockchain è una leva commerciale strategica per i prodotti di alta qualità che apre l’accesso a nuovi mercati. Pino ha quindi citato alcuni esempi di progetti portati a termine con suoi clienti come per esempio un’azienda che vende frutta secca che, grazie alla tracciabilità, è riuscita ad entrare in Esselunga. Un’azienda conserviera ha supportato, con la tracciabilità, il posizionamento dei proprio prodotti nella fascia premium (+20% sui competitor). Un pastificio, grazie alla tracciabilità, è riuscito ad assicurarsi una commessa come co-packer per ALDI.
Nel campo della GDO c’è stato recentemente il rilascio di un comunicato stampa di Carrefour in cui dichiara che tutti i suoi prodotti tracciati in blockchain vendono di più rispetto agli altri. Le prime iniziative che Pino ha seguito nel settore nel caffè hanno avuto come driver la trasparenza verso i consumatori, l’evidenza della sostenibilità, il voler rimarcare la differenza con i competitor e il posizionamento di prodotti premium mono-origine.
A testimonianza di quanto sarà richiesto dalle dogane italiane per l’importazione del caffè corrispondente al nuovo regolamento anti deforestazione, Pino ha mostrato uno dei primi certificati Deforestation-free coffee.
Il terzo intervento è stato di Alberto Polojac, di Imperator Srl, azienda che da tre generazioni importa e vende caffè verde per il mercato italiano. Alberto da qualche tempo ha avviato all’interno dell’azienda un nuovo ramo di attività che si occupa di caffe specialty e di tostatura, nonché di formazione e di certificazione dello specialty coffee.
Alberto ha innanzitutto chiarito la definizione di caffè Specialty che, oltre a essere pulito e senza difetti, è un caffè che possiede ha una carta d’identità ben precisa in cui si conosce il produttore, la geolocalizzazione della piantagione, la varietà, il metodo di lavorazione e molto altro.
Partendo da questa premessa è stato importante chiarire che questo tipo di classificazione, prevedendo caffè che sono al minimo “puliti”, senza difetti, ricomprende una quantità di caffè grandissima e che non è solamente riservata ai caffè Specialty che prendono punteggi di valutazione alti. L’azienda di famiglia è divenuta da poco un centro di certificazione dello Specialty Arabica e possiede l’autorizzazione del Coffee Quality Institute di emettere i relativi certificati di classificazione.
Questo riconoscimento proviene dal coinvolgimento di Alberto come certificatore e dal fatto che in azienda c’è un panel di tre assaggiatori certificati Q grader. A breve l’azienda sarà anche in grado di certificare i lotti di caffè secondo le linee guida del protocollo di classificazione dei “fine Robusta”. Per certificare un lotto di caffè è sufficiente inviare un campione rappresentativo che sarà tostato ed assaggiato.
All’esito delle prove di controllo qualità sarà emesso il certificato di classificazione Specialty che riporta il punteggio ottenuto dal caffè nella fase di assaggio in cupping. In questo modo il torrefattore che tosterà il caffè potrà esibire il bollino della certificazione sul packaging. Il bollino rappresenta una garanzia di certificazione del prodotto verde che il consumatore potrà riconoscere nella fase di scelta e acquisto dei prodotti.
In conclusione Alberto ha sottolineato come i caffè Specialty offrono la possibilità di poter comunicare in maniera diversa con i suoi clienti, siano essi torrefattori, baristi o clienti finali. Un caffè Specialty è un caffè che restituisce una corretta dignità al prodotto, un giusto prezzo al coltivatore, una qualità di tazza garantita e una nuova opportunità per chi lo vende e lo eroga in bevanda.
Infine, Mauro Illiano, curatore della Guida dei caffè e delle torrefazioni d’Italia, ha trattato alcuni dei temi che riguardano l’ultimo anello della filiera, quello della preparazione della bevanda, del suo consumo e della consapevolezza del consumatore su ciò che acquista.
Mauro ha rimarcato l’importanza di parlare in maniera semplice al consumatore per creare affinità, curiosità e desiderio di voler esplorare un mondo ricco di diversità di flavori. Le degustazioni sono uno strumento imprescindibile di condivisione della cultura di prodotto e aiutano il consumatore a uscire dallo schema abitudinario di consumo. Il consumatore deve avere l’opportunità di incontrare gli interpreti della filiera per rendere l’esperienza di degustazione più umana e dare un nome e un volto al caffè.
La filiera italiana del caffè deve organizzarsi in modo da offrire sempre di più corsi al consumatore che devono essere vissuti come opportunità di alfabetizzazione per gli appassionati. Il caffè è una bevanda estremamente complessa da un punto di vista chimico e aromatico, i flavori del caffè sono un elemento di distinzione della qualità della bevanda.
La Guida del Camaleonte offre ai lettori e ai consumatori neofiti la possibilità di selezionare i caffè per flavore, mentre la divisione dei caffè per sistemi di estrazione aiuta a trasmettere il concetto della vastità versioni differenti che il consumatore ha a disposizione, soprattutto se questa è intesa come rito di consumo. L’espresso permette di vivere una ritualità di preparazione e di consumo velocissima mentre per la moka è richiesto un tempo più lungo e questo si allunga ancora di più con le bevande preparate con i metodi a filtro. Ogni caffè ha un suo “disciplinare” fatto di ingredienti della miscela, di paesi di origini, di processi di lavorazione, di differenti curve di tostatura e diversi colori, ecc.
La Guida del Camaleonte si è presa carico di un ruolo importante, ovvero quello di creare cultura di prodotto e in questo contesto l’assegnazione dei premi prodotto e degli award torrefazione hanno lo scopo di innescare una sana competizione tra i produttori e di aiutare le aziende nella comunicazione al consumatore. La Guida del Camaleonte è la prima guida dei caffè in Europa e ciò conferma quanto sia importante e forte il valore del caffè in Italia.
Terminati gli interventi, a conclusione del convegno, ho sottolineato quanto i temi trattati siano importanti per un nuovo approccio che l’industria del caffè deve utilizzare verso il mercato: non è più accettabile che nei bar ci sia un’unica offerta di caffè preparato con un unico metodo di estrazione, non è più sostenibile per le attività commerciali vendere indistintamente il caffè ad un unico prezzo, i paesi di produzione di caffè devono offrire il caffè ad un prezzo che esce dalle logiche della speculazione sulle borse merci e che invece garantisce un giusto guadagno ai contadini, sugli scaffali della GDO e nei bar le etichette devono raccontare una storia di filiera e una caratterizzazione di flavore”.