MILANO – Alessandro Giammatteo, professionista del caffè a tutto tondo: da barista ad ambassador, da trainer a consulente e ora… podcaster. Dopo una vita dietro al bancone e un po’ dietro le quinte, è arrivato il momento di metterci la faccia (o ancora meglio la voce), sempre però nello spirito della condivisione attorno al rito del caffè. L’idea è semplice quanto efficace: Coffeetales nasce per dare spazio a tutti coloro che compongono la famosa community di settore, guardandoli però trasversalmente.
Così, quelli che spesso risultano personaggi quasi inarrivabili e conosciuti principalmente per le loro competenze, saranno messi sotto una luce diversa, a partire dal loro vissuto.
La prima puntata, lunedì 13 maggio, su questo canale YouTube.
Coffeetales: esseri umani dietro il CV
“Non volevo fare un podcast che parlasse tecnicamente di caffè o di altro o che fosse strettamente legato a questo prodotto, ma che si concentrasse sulle persone che formano la community, come amici, professionisti che attraversano momenti difficili, affrontano scelte di vita, sostengono l’imprenditoria, sono in continuo spostamento, hanno vissuto esperienze in realtà importanti.
Chi ascolta Coffeetales capirà che c’è qualcosa di importante che va oltre la figura del barista e del trainer.”
Ma lei si è concentrato sull’aspetto personale, perché?
“Ho avvertito come necessaria la comunicazione di questo aspetto: c’è bisogno di raccontarsi, perché condividere in un lavoro che spesso è da solisti, fa bene a tutti. Ci sono altre persone che magari hanno passato cose simili e sono arrivate attraverso le avversità a raggiungere i propri obiettivi.”
Allora per capire come funziona Coffeetales, partiamo proprio da lei Giammatteo: qual è la sua storia?
“Immaginando di iniziare una mia intervista, partirei da una mia foto a 9 anni a Genzano di Roma, quando ho estratto il primo caffè espresso nella caffetteria di famiglia. Mia nonna mi ha trasmesso la passione per l’hospitality e poi nell’adolescenza ho iniziato a fare corsi da barman e caffetteria e ad interessarmi a fare formazione.
Poi un giorno, dopo aver letto un libro autobiografico di Enzo Paolinelli,Roma in uno Shaker, che era andato a vivere in Inghilterra trovando successo ho raccolto la mia prima sfida personale e sono andato a vivere a Londra: qui lavoro all’interno di alcune catene di caffetterie di nuova concezione e imparo un lavoro più tecnico e professionale. “
Da assistente barista a shift leader arriva il sogno di lavorare nei grande hotel a 5 stelle, l’Hilton di Trafalgar Square e Park Lane.
La sua carriera nell’hospitality decolla dove incontra poi la sua attuale moglie. Voglia di tornare a casa in Italia nel 2014 aprendo un bistrot, venduto per trasferirsi a Milano nel 2019.
“Gli specialty cominciavano a diffondersi nella zona di Roma. Ai tempi quando ho comprato la Faema E71 nel 2016 ho pubblicato la notizia su Facebook: la Faema vedendo il post mi ha invitato a svolgere un corso in azienda, nel 2017 mi ha chiamato poi per lavorare come collaboratore esterno e ambassador.
Dal 2019 al 2023 sono rimasto stabile in Cimbali Group. Poi ho lasciato tutto per concentrarmi sul fornire consulenza in autonomia a chi vuole avviare una propria attività oppure a supporto delle aziende nella rete commerciale o per sviluppo di nuovi prodotti.”
Barista-formatore-consulente freelance: come metterebbe a confronto queste tre vite?
“In Inghilterra per me c’è stato il picco sul piano professionale. La battuta d’arresto è avvenuta fisiologicamente una volta rientrato in Italia, anche se è stata breve, dato che ho avviato subito la mia attività.
Muoversi poi all’interno di un’azienda fa capire altri tipi di processi e si impara ad essere più schematici. Il blend di questi due mondi mi ha fatto decidere di lavorare da autonomo, perché mi sono sentito in grado di saper fare da ponte tra l’imprenditore – che guarda a lungo termine e vive il mercato come fosse la sua vita – e l’azienda – che invece tende a fare bene il proprio lavoro, a sviluppare il prodotto e fare formazione -.
Organizzando dei meeting sia con imprenditori che con manager d’azienda, provo a farli comunicare insieme nella stessa lingua. L’imprenditore vuole conoscere più la parte umana, mentre magari il manager si concentra puramente sul business da sviluppare.”
E così ho pensato al format di Coffeetales
“Essendo io stesso una sorta di imprenditore mi piace esplorare il lato umano e mi sono chiesto cosa nascondessero gli altri professionisti dietro il proprio ruolo. Un esempio è Emanuele Bernabei di Picapau a Roma, che prima faceva l’informatico in Brasile. Da lui sono partito con il racconto. Ho registrato già le prime tre puntate e il 13 uscirà la prima Coffeetales.”
Ma ancora non ci ha detto come mai ha scelto la modalità del podcast, che adesso sono un po’ inflazionati
“Negli anni, forse anche per il fatto che viaggio spesso in auto, il podcast è diventata la mia passione. Ne seguo tanti e quindi ho pensato che fosse la maniera più naturale per sviluppare il format.
Coffeetales sono puntate da 25-30 minuti, di cui gli ultimi 10 dedicati a farsi un caffè insieme. Invito l’ospite a scegliere il caffè che si vuole preparare. C’è chi ha portato l’ibrik, chi il caffè filtro, la moka, un cocktail al caffè. Il tutto si svolge all’interno di una torrefazione in provincia Roma, di mio zio. Ad Ariccia.
Collaboro con dei ragazzi che gestiscono i social, Webby agency, con cui abbiamo avuto l’idea del podcast.”
Secondo lei qual è il costo (se c’è) a livello umano, di lavorare in questo settore?
“Sicuramente se guardiamo al food&beverage chi possiede una pasticceria, oppure fa bartending, e la ristorazione, sta sotto le luci dei riflettori. Sono quasi il volto più cool del settore. Mentre la parte della caffetteria, seppure ultimamente stia crescendo, deve avere ancora più spazio per essere valorizzata.
E a quel punto anche i professionisti protagonisti di questo campo, saranno più conosciuti. Per il momento però, la sensazione è che si faccia tanto per arrivare alla vetta con molta più fatica di tutti gli altri.
Il successo, qualsiasi sia l’idea dietro, sarà comunque più in salita. Si è all’interno di un settore dove c’è tutto, senza però avere la stessa visibilità di cui godono altri campi.
Il sacrificio consiste nell’essere un nomade buono, perché la missione è quella di andare in giro per portare agli altri qualcosa di fatto bene. In questo modo si può arrivare ad un’indipendenza dal viaggio: l’obiettivo potrebbe essere quello di lavorare un po’ più da remoto, ma gli spostamenti sono sempre necessari.
Molte di queste persone che si vedono tenere corsi, partecipare a fiere, parlare di caffè di qualità, spesso dedicano la loro vita a questo mestiere. Ed è un aspetto che non sempre viene sottolineato.”
Coffeetales ha già un piano a lungo termine?
“Sicuramente voglio fare un’edizione a Milano. Poi il format potrebbe evolversi in un round table o aprirsi a tematiche legare al business caffè. Cercherò di pubblicare un episodio almeno ogni 2 settimane. Bisogna considerare il tempo da dedicare per confezionare una puntata e di arrivare sino a Roma, una decina di giorni tra la registrazione e l’editing con il supporto dell’agenzia Webby.”
Ha scoperto qualcosa che non si aspettava intervistando?
“Mi sono confermato un compagno d’ascolto nel mondo del caffè e ho capito che più o meno tutti all’inizio si sentono intimoriti, ma poi si lasciano andare nel racconto al punto che devo cercare di farli rientrare nei tempi tecnici. Questo significa che le persone vogliono aprirsi. “