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martedì 03 Dicembre 2024
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Ecopod, arriva il single serve sostenibile e italiano: “E’ una filosofia: vogliamo cercare di imballare con meno materiale”

Uno dei soci fondatori: "Con Ecopod riusciamo a ottenere 7-8 grammi di prodotto per ben 20 pezzi e un flowpack che pesa appena 0,01 grammo. E così è evidente che anche lo scarto sarà minore. Ed ecco un’altra buona notizia: Ecopod costa meno degli imballaggi minori, perché si usa meno materiale e 300% in meno di energia sulla macchina."

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ANZOLA D’EMILIA (Bologna) – Ecopod Compopack è la creatura nata nel 2020 dagli sforzi congiunti di Steve Lowe e del suo socio Marco Verri, che hanno realizzato la macchina per una produzione sostenibile di imballaggi per cialde e capsule che abbia il minor impatto ambientale possibile.

Presentata nel 2022 all’Ecomondo, fiera riminese, si è sviluppata in questi anni e ora è una tecnologia esportata per lo più all’estero e interessante per tutte le torrefazioni che vogliono abbattere la quantità usata di materiali impiegati per il confezionamento del monoporzionato.

Ecopod: di che si tratta, qual è la tecnologia dietro

“Per il momento abbiamo depositato ben 7 brevetti sulla tecnologia, due dei quali sono registrati con la conferma del Ministero delle imprese e del made in Italy. Il brevetto è multisettoriale, ovvero prevede diverse applicazioni nel mondo del caffè.

Ecopod innanzitutto deriva da due brevetti meccanici. Uno è quello della movimentazione del contenitore delle capsule e delle cialde, che se normalmente girano su delle cinghie, con Ecopod si spostano una contro l’altra, grazie all’uso del campo elettromagnetico che comporta il minimo utilizzo di motori.

Il vantaggio principale è che facilita moltissimo il passaggio da un formato all’altro e inoltre consuma nettamente di meno a parità di velocità degli altri impianti.

Oltre a questo, c’è il brevetto che interessa lo step della chiusura. Con Ecopod abbiamo deciso di sfruttare i sonotrodi – degli apparecchi elettromeccanici che lavorano in alta frequenza e muovono le molecole in punti contenuti con un generatore alle spalle – più 4 schede elettroniche dietro: parliamo di una tecnologia già esistente, ma per la prima volta da noi applicata all’imballaggio.

Steve Lowe a sinistra con il suo socio Marco Verri (foto concessa)

Fino a poco tempo per sigillare l’imballaggio venivano utilizzate le barre calde, che scaldavano ed entravano in contatto con il materiale che doveva essere saldato e tramite pressione chiudevano l’imballaggio. Questo procedimento è certamente interessante per via dei costi (è più economico del sonotrodo) ma ha due grossi contro: prima di tutto il consumo energetico è esagerato – la quantità dispersa per induzione è enorme.

In un ambiente freddo va perso l’80% del calore – e poi di fatto il sistema può danneggiare il materiale stesso del packaging, in particolare quando questo è organico come è il caso della carta, che resta bruciata.

Per cui è un sistema che non si presta molto per tutte quelle aziende che stanno provando a spostarsi verso l’uso di materiale compostabile.”

Ma quindi quali sono le capsule realmente eco sostenibili?

“Il materiale che tutt’ora è maggiormente utilizzato è l’alluminio, seguito dalla plastica e dalle cialde di carta filtro che comunque contengono una parte di alluminio: materiali che un domani si spera verranno usati sempre meno.

Di fatto però l’alluminio è più costoso della plastica oltre al fatto che la gran maggioranza degli scarti non vengono riciclati. Non c’è molta gente che separa il materiale dal caffè esausto dal contenitore in alluminio. Ad oggi non esiste in Italia una filiera vera e propria di riciclo e dunque l’alluminio finisce nella maggior parte dei casi nell’indifferenziato e così accade con la plastica.

L’effetto green dell’alluminio quindi non è effettivo, anzi, a seconda di come viene ricomposto ci mette più tempo della plastica. Inoltre, il costo necessario per riciclare questo materiale è piuttosto elevato specialmente dal lato energetico. Le aziende quindi fanno prima a comprarlo vergine perché spendono di meno che nel riciclarlo.”

Ecopod può gestire plastica, alluminio e compostabile home

“E questo significa che senza separare i materiali dal caffè, può essere gettato direttamente nell’organico di casa. Ci sono diverse bioplastiche che ora tante aziende stanno studiando, il leader è Corapack a Como, oppure c’è quella in carta realizzata da Pascucci e da Nestlé.

Ecopod è innanzitutto il sistema per l’imballaggio dei prodotti monodose, ma volendo potrebbe anche disegnare le stesse capsule: per esempio, se si ha a disposizione un materiale compatibile tutte le macchine per l’erogazione home e professional, noi siamo in grado di suggerire delle soluzioni adatte a quel caso specifico.

Ecopod è una filosofia: vogliamo cercare di imballare con meno materiale possibile, riducendone la quantità utilizzata. Siamo partiti dal caffè e ora guardiamo ad altri settori. “

Cosa rende una capsula 100% compostabile

“Una capsula 100% compostabile è quella che chiamiamo capsula nuda. Il problema delle capsule classiche, come abbiamo già detto, è che quando si getta il contenitore esausto, aprendolo, il consumatore trova il caffè ormai compresso.

Bene, attraverso gli ultrasuoni, è possibile applicare la stessa pressione e ricavare la capsula nuda che non sarebbe altro che una forma di caffè che di fatto però è privo di imballo.

Con Ecopod ci si sposta dall’imballaggio primario a quello secondario: anziché quindi imballare ogni singola porzione di una scatola da 50 pezzi che poi sono altrettanti 50 che vanno nell’indifferenziato, con Ecopod se ne confezionano 50 come cialda nuda in un unico contenitore riutilizzabile con la barriera d’aria.

Questo è un grande cambiamento: pensiamo che ogni capsula contiene 5 grammi di materiale e 1 di film e che quindi è composto più dal packaging che dal caffè al suo interno. Non ha nessun senso logico.

Con Ecopod riusciamo a ottenere 7-8 grammi di prodotto per ben 20 pezzi e un flowpack che pesa appena 0,01 grammo. E così è evidente che anche lo scarto sarà minore. Ed ecco un’altra buona notizia: Ecopod costa meno degli imballaggi minori, perché si usa meno materiale e 300% in meno di energia sulla macchina.”

Ma invece parliamo della qualità del caffè in questo nuovo sistema di imballaggio: come riuscite a preservare la materia prima?

La cialda nuda (foto concessa)

La capsula nuda non è adatta all’Italia. Il torrefattore ha bisogno di avere un imballo a tenuta d’aria che non faccia ossidare il chicco e il macinato, per questo usano l’azoto con chiusura ermetica. Ecco che il caffè con Ecopod non funziona per l’espresso classico italiano: non esiste ancora il materiale che dia una garanzia di qualità sul lungo periodo, quando non c’è la barriera.

Una volta che viene aperto l’imballaggio secondario, il caffè non dura più di 5-6 giorni e l’ultimo comunque si sarà in parte rovinato. Ci sono tanti mercati però adatti a questo prodotto: vendiamo molto all’estero. In Inghilterra, in Francia o in Germania o USA, il caffè è solo una piccola parte: la maggioranza è fatta da ricette lunghe a base latte e con tanto zucchero.

Quindi per realizzare una bevanda di questo genere la cialda nuda è molto adatta, va bene per chi consuma molto spesso caffè non di altissima qualità.

Per ora ci stiamo concentrando nel democratizzare una tecnologia che di solito è soltanto per grandi aziende.

E parallelamente stiamo lavorando per potenziare la tecnologia così da poter applicare Ecopod anche al caffè di qualità. Per il momento i risultati migliori in termini di tenuta li abbiamo riscontrati nella latta, che è a tenuta stagna. Ancora meglio del primary packaging esistente. Ma chiaramente presenta problemi di altro tipo che non si sposano con la filosofia Ecopod.

Penso che tra due/tre anni ci avvicineremo ad un imballaggio che possa rispondere anche alle esigenze in termini qualitativi e di shelf life.

Adesso se l’obiettivo è la vendita attraverso la GDO, si deve garantire una shelf life molto lunga, che supera quella attuale di Nespresso compostabile al 100% . Ma se invece si vende direttamente al pubblico, allora è già fattibile.”

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  • Brambati

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