MILANO – Sofia Girelli è la creatrice della pagina La Sobreria, community nata per rispondere alle esigenze di chi non può bere o vuole ridurre il consumo di alcolici, senza però rinunciare alla compagnia, alla socialità e avere un’offerta diversa dalle solite sode. Girelli si è chiesta: “Possibile che non ci sia niente per sostituire queste bevande?” e dopo una prima ricerca che l’aveva portata ad un vicolo cieco, la scoperta del kombucha: “Mi
si è aperto un mondo che era rimasto nascosto sino a quel momento”.
La Sobreria nasce così: dal racconto di Girelli attraverso le sue competenze di designer e comunicatrice
“Mi son detta: se La Sobreria prende piede, la gente potrà consumare i non alcolici anche nei bar. Ho così iniziato a contattare i produttori per creare contenuti social insieme, così da valorizzare le loro attività. Ho conosciuto il primo e-commerce di birra analcolica LensBeer e Legend Kombucha, entrambe imprese di Verona e con loro ho avviato delle box natalizie di degustazione.
Poi sono stata contattata da Riccardo Astolfi co-proprietario del locale Zoo Bakery a Bologna, per organizzare una piccola fiera sugli analcolici e così, insieme anche a Nicolò Pagnanelli, esperto di fermentazione, abbiamo coinvolto tutti i produttori: in meno di un mese siamo riusciti a strutturarla, riscontrando un grande successo con più di 300 presenze fra ristoratori e lavoratori del settore per un evento di tre ore all’interno di uno spazio ridotto.
Dal survey finale ai visitatori è emerso che prima di partecipare non conoscevano questo tipo di offerta ed erano però contenti di averla scoperta. Attualmente stiamo cercando un partner per supportarci nel proporre la seconda edizione con una maggiore struttura e in un locale più grande.”
Il mercato del no-low alcol che numeri conta in Italia e all’estero?
“Ci sono parecchi trend all’interno di questo mercato e l’AWR, azienda specializzata nei report ha segnalato una crescita del +7% nel prossimo anno e del +20% entro il 2027 in riferimento ai dieci mercati principali occidentali.
Questo trend negli USA è già un dato di fatto, dove si trovano dei locali specializzati e il kombucha si fa alla spina. L’America è il mercato più assodato e ora questo prodotto sta raggiungendo soprattutto i paesi nordici europei, come la Danimarca: qui c’è tanta offerta tra produttori e distributori, dovuta ad una domanda molto forte.
Si va dal vino dealcolato alle birre analcoliche, dal kombucha ai proxy fermentati. In Inghilterra il focus è nelle grandi città. In Francia hanno grandi produttori di distillati analcolici.
In Italia, dove c’è una cultura forte del vino, si fa ancora fatica, ma le cose stanno cambiando e a dimostrazione di questo processo, già durante la nostra fiera sono arrivati dei distributori interessati a questi prodotti.
Città come Milano fanno da apripista, ed è normale trovare kombucha in alcuni locali come da Otto: qui hanno un catalogo di mocktail molto interessante.”
Girelli, parliamo di caffè e di tè: sono due bevande tanto bistrattate, ma che hanno un ruolo in questa nuova tendenza. Che cosa ci può dire a riguardo?
“Confermo che sono dei prodotti molto versatili e adatti a questa tendenza. Ho già avuto dei contatti con Café 124, che mi hanno fatto assaggiare il loro cold brew e faranno presto una soda al sapore di caffè insieme a del kombucha aromatizzato al caffè. Ho assaggiato anche il cold brew di Chicco Pezzini, che è davvero molto buono. In generale poi, tutti i mocktail possono essere preparati con il caffè. “
Qual è il target de La Sobreria?
Girelli: “Esiste una nuova categoria chiamata dei sostitutori, che sono quei consumatori che scelgono a seconda dell’occasione se bere alcolici o meno. Per loro è corretto proporre alternative analcoliche e promuovere una scelta consapevole: oggi c’è sempre di più la percezione che l’alcol faccia male.
Le persone sono più attente al proprio corpo e vogliono poter consumare qualcosa di buono non alcolico.
La tendenza quindi va verso questa tipologia di cliente. C’è un forte interesse tra i giovanissimi, lo dicono i report ma lo conferma anche la mia esperienza personale: il 70% di alcune analisi riportano che i giovanissimi bevono poco e osservando anche il mio seguito su Instagram, il pubblico dai 25 ai 35 anni sta cambiando le proprie abitudini.
È un target che è prevalentemente femminile, più attenta al fisico, alla salute. E poi le diagnosi di malattie intestinali sono aumentate negli ultimi tempi: ci si cura di più, si fa più ricerca di prodotti non nocivi.”
I gestori reagiscono bene?
“Dipende dalla cultura delle grandi città o dalle zone che ruotano attorno a dei poli gastronomici: qui si sta recependo bene il messaggio, soprattutto nei locali gestiti da giovani che sono ricettivi e mi chiedono informazioni.
C’è tanto interesse nella ristorazione, perché vede delle possibilità di proporre nei pairing. In provincia si fa più fatica perché c’è ancora l’idea che l’alcolico abbia una dignità maggiore.”
E il prezzo è un problema?
“Parliamo solitamente di produttori piccoli e artigianali, realtà che devono prestare una cura maniacale alla pulizia e ai controlli sanitari. Per cui il risultato finale ha un costo adeguato: certo non è la lattina di coca-cola che si paga due euro e 50, ma dobbiamo capire che quel prezzo non è legato a strategie di marketing, ma ci sono delle spese effettive maggiori da sostenere dai produttori.”
Ovviamente poi esistono diverse categorie di analcolici: le birre analcoliche, i distillati che replicano gli alcolici – che a loro volta si suddividono in quelli che creano nuovi sapori, e quelli che tendono ad imitare il sapore degli alcolici già esistenti -.
Cito Ish, azienda danese che ha formulato il finto rum, il finto daikiri.
In America soprattutto e poi in parte anche in Europa, stanno cercando di realizzare e commercializzare dei drink funzionali, cioè quelli che promettono un effetto sull’organismo, uno sballo senza l’alcol.
Per raggiungere l’obiettivo, spesso vengono aggiunte sostanze naturali o chimiche: Kin ne è un esempio. Un altro brand è l’inglese Three Spirits , che appunto produce drink funzionali. In Italia invece c’è Feral, che ha prodotto un succo di barbabietola fermentato che sostituisce il vino, fatto sulle Dolomiti e spesso servito in molti ristoranti stellati.”