Il ministro Mahinda Samarasinghe: “Abbiamo posto una pietra miliare” Tra gli obiettivi della nuova entità, la promozione della domanda, la stabilizzazione del mercato e il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini Ma l’iniziativa è sin dall’inizio orfana della Cina, che ha partecipato ai lavori ma non ha aderito al Forum.
MILANO – Rivoluzione nel commercio mondiale del tè. Dopo due giornate di intensi colloqui ha visto la luce, mercoledì scorso, a Colombo. La capitale dello Sri Lanka, il Forum internazionale dei produttori di tè (Itpf).
Aderiscono al cartello Sri Lanka, India, Kenya, Indonesia, Malawi e Ruanda
Complessivamente questo gruppo di paesi costituisce circa la metà della produzione globale. Manca però la Cina. Ovvero il massimo produttore mondiale di tè verde, che ha comunque partecipato ai lavori in qualità di osservatore. Al pari dell’Iran (un importante paese consumatore), della Birmania e dei rappresentanti dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao).
L’Itpf sarà inizialmente un organismo indipendente, ma potrebbe chiedere in futuro l’affiliazione alla Fao
Promotore e regista dell’operazione, oltre che padrone di casa, il ministro dell’agricoltura dello Sri Lanka Mahinda Samarasinghe. Il presidente di turno del Gruppo Intergovernativo sul Tè della Fao (Igg). Che ha espresso tutta la sua soddisfazione, al termine della due giorni negoziale ospitata dal suo paese.
“Abbiamo posto una pietra miliare”
Così ha dichiarato il ministro ricordando come questo traguardo sia il coronamento di decenni di tentativi compiuti da parte dei paesi esportatori. Sin dal 1994, Colombo propose la costituzione di un cartello dei produttori di tè. Ma il tentativo fallì per la scarsa unità di intenti dei suoi interlocutori.
E proprio la capacità dei produttori di fare fronte comune sarà essenziale. – secondo Samarasinghe. – ai fini del successo dell’iniziativa e del raggiungimento dei suoi obiettivi.
Quali le finalità dell’Itpf?
Inizialmente, lo scopo del Forum sarà quello di contribuire allo scambio di statistiche e informazioni. (finalità, questa, già assolta dall’International Tea Committee). Nonché di favorire l’espansione della domanda. (attualmente in crescita al ritmo annuo dell’1% circa). Il miglioramento degli standard qualitativi e una maggiore stabilità dei prezzi. Ancora a vantaggio dei redditi e delle condizioni di vita dei produttori, in modo particolare di quelli più piccoli.
Samarasinghe ha lasciato intendere in modo sibillino che potrebbero essere presi in considerazione in futuro metodi più sofisticati (e discutibili) volti a regolare l’offerta
Pur escludendo naturalmente l’introduzione di quote.
Va ricordato che il commercio mondiale del tè fu retto da un sistema di quote. A partire dai primi anni trenta e che tale sistema decadde già alla metà degli anni cinquanta.
Quale il possibile impatto di questa iniziativa sul mercato mondiale del caffè?
A detta di alcuni esperti, essa riflette l’insoddisfazione di alcuni paesi nei confronti delle politiche attuate dalla Fao a sostegno del settore del tè. Al quale non verrebbe data la stessa attenzione riservata ad altre soft commodity, quali, ad esempio, il caffè.
La stessa scelta della capitale dello Sri Lanka sarebbe stata motivata dall’incapacità dell’Organizzazione di ospitare l’evento a Roma. (dove la Fao ha la sua sede). Garantendo standard adeguati a livello organizzativo e di sicurezza.
Dobbiamo dire che l’Itpf ci ricorda – sotto certi aspetti – la defunta Associazione dei paesi produttori di caffè (Acpc). Lo storico cartello dei paesi produttori costituito nel 1993 con l’intento di risollevare i prezzi. Dopo il crollo causato dalla fine degli accordi internazionali Ico a clausole economiche (avvenuto nel 1989).
La sua nascita ebbe come principale effetto immediato quello di complicare i negoziati per il nuovo accordo internazionale
Gli Usa denunciarono l’Acpc come un cartello simile all’Opec, contrario agli accordi basati sulla cooperazione, e abbandonarono l’Ico, per rientravi appena 12 anni più tardi, nel 2005.
Pur rappresentando, nei primi anni novanta, circa l’80% della produzione mondiale, i paesi aderenti all’Acpc non riuscirono a esercitare sul mercato l’influenza auspicata. Così l’associazione mancò sostanzialmente la sua mission.
Successivamente al fallimento di un velleitario piano di ritenzione, l’Acpc si autodissolse mestamente all’inizio del 2002. Mentre la crisi mondiale da sovrapproduzione entrava nella sua fase più acuta.