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mercoledì 18 Dicembre 2024
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Francesca Bieker, da giudice e trainer Sca: “Ecco tutti i passi necessari per preparare bene e gestire la moka a casa propria”

L'esperta: "Il problema che sicuramente abbiamo affrontato tutti è che talvolta, invitati a casa di amici che ci hanno offerto la moka, ci siamo trovati davanti a un caffè che non è buono quanto quello che facciamo noi. Ma perché succede? Le variabili sono diverse ma se le conosciamo, possiamo piano piano comprendere come replicare il sapore che soggettivamente ci piace ovunque"

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MILANO – Francesca Bieker, giudice internazionale nei campionati Sca, assaggiatrice professionista certificata Q grader e trainer per la Specialty Coffee Association, durante la prima sessione del corso di Coffee Master al Training Center Kimbo di Melito di Napoli (Napoli) ha sorpreso e divertito tutti i presenti con una lectio dal titolo “Il caffè declinato per il coffee lover e il consumatore appassionato”, un viaggio tra falsi miti, curiosità e suggerimenti inediti per la preparazione del caffè a casa con la Moka.

Vi proponiamo il testo della divertente e istruttiva lezione di Francesca Bieker.

di Francesca Bieker

“Parleremo della moka, uno strumento che bene o male è presente in tutte le case, con la quale sicuramente abbiamo preparato tutti il caffè almeno una volta.

In questa mia lezione spiegherò tecnicamente come gestire correttamente questa caffettiera, ricordandovi però che non necessariamente il metodo giusto sarà quello che più vi piace. Ci scontreremo sempre tra la soggettività e l’oggettività di ciò che è buono ed io vi farò passeggiare tra questi due mondi proprio attraverso la moka.

Ma perché tecnicamente potrebbe non piacervi? Perché il risultato finale potrebbe essere diverso da quello che siete abituati a bere.

E la vera domanda è: sappiamo che cosa ci piace o riconoscere ciò che preferiamo, già visivamente a partire dal pacchettino per arrivare al profilo sensoriale con gli assaggi? Qualcuno vi ha mai insegnato a farlo?

Quello che vorrei che portaste a casa da questo intervento di oggi, è imparare a capire e riconoscere che cosa ci piace.

Il problema che sicuramente abbiamo affrontato tutti è che talvolta, invitati a casa di amici che ci hanno offerto la moka, ci siamo trovati davanti a un caffè che non è buono quanto quello che facciamo noi. Ma perché succede? Le variabili sono diverse ma se le conosciamo, possiamo piano piano comprendere come replicare il sapore che soggettivamente ci piace ovunque.

Provate a rispondere: come descrivereste il caffè che vi piace, dovendo spiegarlo a me, senza usare il nome di una marca?

Se provando a rispondere avete utilizzato descrittori come “piacevole” e “morbido” o “intenso”, questi possono essere chiari per voi, ma tecnicamente non forniscono una definizione precisa.

C’è dunque un problema di fondo, non sappiamo descrivere le sensazioni che ci piacciono in modo corretto, dobbiamo quindi imparare ad accoppiare le sensazioni soggettive a dei dati oggettivi.

Vediamo assieme alcune variabili che influenzano il sapore, che sono da iniziare a conoscere.

Primo aspetto da considerare: il caffè. Ovviamente a seconda di cosa acquisto otterrò risultati diversi. Esistono diverse specie e varietà, con sapori in tazza diversi.

Leggere e poi provare e classificare ci permetterà nel tempo di farci una idea più precisa di che sapore potrebbe avere quel caffè che vorrei acquistare. Cerchiamo le informazioni quindi che ci indicano se si tratta di una specie piuttosto che un’altra (arabica – canephora, che troverete probabilmente chiamata robusta) o se si tratta di una miscela di queste due. Si può controllare se si tratta di una monorigine, e sperimentando, provando i vari prodotti quindi, cominciare a capire che i caffè provenienti dall’Etiopia hanno magari delle caratteristiche aromatiche che si preferiscono rispetto ad alcuni dal Kenya: funziona come per il vino o come per le mele, di cui sappiamo aspettarci la differenza tra una rossa o una verde.

Si può leggere anche la descrizione della tazza e così il nostro morbido-piacevole a quel punto corrisponderebbe a dei descrittori specifici. Pian piano in sostanza dobbiamo costruire delle associazioni.

Non ultimo verifichiamo la tostatura, cioè la cottura del chicco. Immaginate di dover cuocere una bistecca, quale risultato vogliamo ottenere? Ben cotta, al sangue, lessa? Lo stesso si può fare al caffè per avere diversi risultati. A noi cosa piace? e come la definisce l’azienda quella tostatura? magari tostatura intensa, oppure medio-chiara? Verifichiamo.

E giusto sapere che riguardo la tostatura esiste anche un elemento più tecnico: non tutte le tostature sono adatte per tutti i metodi d’estrazione.

Ad esempio, l’espresso o la moka, per venire valorizzate hanno bisogno di una tostatura un po’ più spinta. Invece con il metodo filtro, per renderlo al meglio, è necessaria una tostatura più chiara: basta aprire il pacchetto per guardare il colore del caffè per comprendere che tostatura è stata scelta.

Una volta che si è imparato ciò che soggettivamente ci piace e a dargli un corrispettivo più oggettivo, ci si deve sempre ricordare che esiste una differenza tra le due sfere. Il consumatore di solito non sa cosa è tecnicamente buono, ad oggi ha solo un’interpretazione soggettiva del caffè che beve, spesso dettata dall’abitudine: sappiate però che esiste la versione oggettiva. E questo è un po’ il nostro obiettivo come formatori, di comunicare cosa sia tecnicamente buono o cosa no, riscontrando i difetti del caffè.”

Ed ecco la moka: Un sistema di estrazione che differisce completamente dall’espresso e per questo non si possono comparare i due metodi. Quasi tutti preparate la moka a casa: ma come la fate?

Prendiamo l’esempio della moka come la farebbe (probabilmente) la nonna:

Acqua a metà valvola, caffè macinato nel filtro, probabilmente facendo la montagnetta o premendo un po’ il macinato per compattarlo. Tutte queste cose purtroppo sono tecnicamente errate.

La moka, quindi, va sul fuoco e qui devo dare la smentita numero due: il gorgoglio della moka, sinonimo spesso di risveglio mattutino, non ci dovrebbe essere.

Ora che l’abbiamo preparata, se guardiamo il risultato, si presenterà come un liquido nero senza crema.

Proviamo ad annusarla e cerchiamo di memorizzare questo odore. Non sentiremo tantissimo, ma andiamo all’assaggio. E a questo punto dovete registrare nella vostra soggettività, il sapore. In questo caso è un po’ ruvido e dovendo trovare un descrittore probabilmente sarà qualcosa che riguarda l’amaro.”

Si procede con il secondo giro di moka:

“Nel frattempo, vi mostro tecnicamente come si prepara la moka. Partiamo da un presupposto più scientifico per comprendere il motivo per cui la faremo in un certo modo: cos’è l’estrazione. Si tratta di un processo, che darà come risultato una bevanda che è l’insieme di acqua e caffè.

Questi due ingredienti sono importanti: l’acqua è l’elemento che passa attraverso il caffè e trasporta le sostanze contenute nel macinato rendendole liquide.  Per semplificare al massimo, a seconda di come e per quanto tempo ci sarà contatto tra i due ingredienti avremo un risultato diverso.

Abbiamo due fondamentali aspetti da tenere in mente infatti: il tempo e la quantità.

Proviamo a trovare la giusta ricetta per preparare la moka, con l’obiettivo non soltanto di estrarre al meglio il caffè, ma renderlo ripetibile. Applicare un metodo, appoggiandosi a una ricetta, ci permette di replicare la stessa tazzina che ci è piaciuta infatti.

Vista, olfatto, gusti e sapori: il colore appare differente e una moka fatta bene ha anche la crema, da non paragonare comunque a quella dell’espresso – all’odore e al gusto anche le cose cambiano confrontandola con la tazza precedente, la differenza risulterà ancora più evidente.

Francesca Bieker, l’esperta della moka (immagine concessa)

A parità di caffè, quindi, capito il procedimento e rendendolo standard, possiamo divertirci a modificare la ricetta o uno standard alla volta della preparazione e ottenere il caffè che preferiamo.

Possiamo quindi sempre dire che è il caffè che è buono o non vale niente o semplicemente non ho saputo estrarlo nel modo giusto?

Ora che abbiamo sperimentato, quale estrazione mi piace maggiormente? Bene: so che per riaverlo, dovrò prepararlo in quel modo.

Se volete sperimentare la ricetta che ho usato, ecco come procedere: per ogni grammo di caffè, si usano 10ml di acqua. Serve quindi una bilancia per pesare.

La valvola ci interessa sino a un certo punto: la sua esistenza ci importa perché ha una funzione di sovrapressione, quindi di sicurezza. Se per qualche motivo la pressione aumentasse, la valvola interviene permettendo al contenuto di sfiatare e abbassare la pressione interna. Controllate bene per questo che sia in buone condizioni e non si blocchi, per capire basta premere la valvola e verificare che si muova. Questo è il motivo per cui dovremmo evitare che l’acqua arrivi all’altezza della valvola, in caso di sovrapressione, dal foro uscirà acqua estremamente calda con il rischio che ci schizzi addosso. Inoltre, c’è bisogno di lasciare una camera, ovvero uno spazio sufficiente per il vapore che possa spingere l’acqua attraverso il filtro.

Poi ci si occupa del caffè: quanto caffè ci va? La risposta è dipende.

Partiamo sempre dalla nostra ricetta, quindi pesando arriviamo più o meno a raso del nostro filtro, senza pressarlo e senza montagnetta. Le nostre variabili abbiamo visto sono il tempo e la dose e sappiamo che l’acqua deve attraversare il macinato, cosa che risulta difficile se trova una forte resistenza, bloccandosi eccessivamente, bruciando il caffè, perdendo l’acidità e la dolcezza ma lasciando soltanto l’amaro bruciato.

Se si desidera un sapore più intenso, si può usare una dose leggermente maggiore. Ma solo sapendo quanto era la dose la prima volta sapremo “quanto aumentare”.

Vediamo ora l’acqua: ne esistono di diversi tipi, con un residuo fisso più o meno alto. A seconda di quale acqua io utilizzo, estrarrò cose diverse. In una tazzina di espresso, la percentuale di caffè all’incirca è del 9-10% mentre l’acqua è il 90%; nella moka la percentuale di caffè si riduce drasticamente all’1,5% più o meno.Quindi possiamo renderci conto di quanto importante sia l’acqua nel sapore finale.

Dobbiamo quindi imparare anche a scegliere l’acqua giusta al supermercato. I dati essenziali che ci servono: ph neutro, no cloro, incolore e insapore, residuo fisso a 180 gradi tra 50 e 175 milligrammi per litro.

Chiusa la moka, la si mette sul fuoco. Essenziale è che non bisogna aspetta il gorgoglio: a quel punto si è arrivati già a bruciare il caffè. Quello che dobbiamo fare è tenere il coperchio aperto durante tutta l’estrazione. Il caffè non deve schizzare, se ciò avviene significa che la guarnizione è da cambiare.

Quando l’estrazione arriva alla metà della parte superiore, spegnete la fiamma: la pressione continuerà a spingere l’acqua che attraverserà il caffè e risalirà comunque. Otterremo quindi lo stesso quantitativo senza però continuare a sovraestrarre e bruciare il caffè.

Ancora non si è pronti per l’assaggio: tenete a mente che il caffè tende a stratificarsi. Per rendere le tazze omogenee quindi prima di versarlo, prendete un cucchiaino e mescolate.

Ora torniamo ad assaggiare l’ultima tazzina  estratta e poi la prima, ad una temperatura più fredda: ci sono differenze?

Sì, ancora tante. Due mondi completamente diversi, tutto solo per la mano dell’uomo, noi a casa, o il barista nel locale, che trasforma un solido in un liquido.

Manca però ancora una cosa fondamentale: la pulizia.

Avete cucinato prima una bistecca e ora avete la padella piena di grasso: la lavate o la mettete via sporca? Penso che tutti noi ci preoccupiamo di lavarla bene. Anche il caffè ha la sua parte oleosa che va tolta: metterla sotto l’acqua è come non aver fatto nulla, perché gli oli non vengono intaccati dall’acqua, esattamente come non sciacquate e basta la padella.

Come la laviamo allora? Facciamo attenzione al materiale della moka: acciaio e alluminio hanno caratteristiche differenti. L’alluminio assorbe, quindi non può essere lavato con il sapone per i piatti o saponi aggressivi. Si devono usare dei detergenti specifici neutri e risciacquare bene per far si che non restino residui di sapone che influirebbero sulla bevanda.

L’acciaio invece non ha questo problema, l’importante è comunque non usare spugnette che graffiano, ma un panno morbido.

Ma cosa devo pulire? Se smontiamo la moka, vediamo che è composta da tre parti: la caldaia in cui non c’è parte grassa da rimuovere ma c’è il calcare, il filtro in cui la polvere di caffè rilascia degli olii, la parte superiore che è quella più sporca e con maggior parte oleosa in assoluto.

Non è finita qui: ci sono altre tre parti da pulire, ossia la guarnizione – che ogni tanto va tolta e oltre che pulita, cambiata – un filtro con i buchi che rischiano di otturarsi se non vengono mai puliti e il camino dove passa il caffè.

Ogni volta che prepariamo il caffè, la moka va lavata, perché quel “gusto in più” che la moka sporca può darvi non è altro che amaro bruciato“.

                                                                                                       di Francesca Bieker

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