MILANO – It’s Caffè Napoli nasce per principio: nel 2019, dopo aver lavorato in un breve periodo, Stella si è avvicinata al mondo del caffè, che è diventato per lei una bevanda da valorizzare. Rientrata a Napoli ha continuato a studiare questa materia prima e ha creato il brand It’s Caffè con altre due amiche, Alessandra e Martina. Insieme hanno deciso di investire nella loro città, puntando sull’innovazione in un territorio che è molto legato alla tradizione della tazzulella.
It’s Caffè apre come un locale internazionale, dove si può restare tutto il giorno, con un’offerta aperta
Così come lo descrive Stella: “Siamo una nuova caffetteria tradizionale. Basta con la tostatura ultra bruciata. Usando anche la Robusta possiamo lasciare la possibilità di scelta al cliente: è al banco che si fa un lavoro di comunicazione per avvicinare il consumatore al caffè a 360 gradi. Proponiamo anche varie estrazioni, spaziando dall’espresso al filtro.”
Fin qui com’è andata?
“Inizialmente abbiamo dovuto spiegare molto la nostra idea di caffè: la tazza qui non è servita bollente, la bevanda non ha sapore di bruciato. Piano piano ci siamo create una nostra clientela e abbiamo avuto un riscontro positivo.
Crediamo in Napoli, che sta cambiando tanto e penso che sia pronta ad intraprendere questo cambio di rotta. Un po’ per l’apertura verso gli stranieri, un po’ per la curiosità, gradualmente l’informazione sta muovendo le cose. “
Sicuramente ci sono tantissimi napoletani interessati e molti ragazzi che lo hanno già provato all’estero e vogliono ritrovarlo nella loro città. Molti si sono avvicinati ai nuovi metodi di estrazione e rimangono affascinati dalla spiegazione della materia prima e della sua preparazione.
Durante il periodo invernale alcuni si sono appassionati al drip coffee, che invita alla convivialità e durante l’estate al cold brew. Chiaramente c’è più lavoro da fare con questa tipologia di estrazione, ma abbiamo voluto comunque proporla.”
I macchinari scelti per It’s Caffè
“Abbiamo scelto una XLVI come macchina espresso: ci troviamo benissimo, automatica che garantisce un’estrazione perfetta e con un design accattivante.
Abbiamo scelto di non usare la macchina a leva come ulteriore sfida: per noi non era ottimale per l’erogazione e abbiamo dovuto spiegare anche questo aspetto ai clienti. Questa è un’altra cosa che mi fa capire il perché le persone siano curiose verso il caffè: finora non hanno trovato alcun barista che potesse raccontare e rispondere ai loro quesiti.
Le miscele?
“La miscela Napless è composta da 70% Robusta provenite dal Brasile, Congo, Costa d’Avorio, metodo naturale e 30% Arabica, proveniente dall’Honduras con metodo semilavato.
La miscela Harmony 60% Arabica, Brasile, Honduras, India e 40% Robusta dall’India e Brasile con metodo naturale.
Lo specialty che abbiamo tenuto per più tempo è il Finca Rio Colorado e ci è servito per avvicinare i palati napoletani, per via delle sue note di biscottose e cioccolatose, è apprezzato dalla gente di qui. Tostiamo più chiaro per il filtro e per l’espresso applichiamo una cottura media.”
Il prezzo è un’altra cosa da spiegare?
“Arriviamo ai 2 euro al banco per lo specialty, e partiamo da un euro e dieci per la miscela base. Chiaramente quello che costa di più va motivato ai clienti, per spiegare che è differente e vale il suo prezzo. Qualcuno ancora si spaventa, ma poi tutto si ridimensiona quando viene compreso il suo valore. Non vendiamo molto per lo stesso motivo in double shot, riusciamo più al tavolo.”
Starbucks in Galleria: pro o contro?
“Penso che ci aiuterà sicuramente nel lavoro che stiamo già portando avanti, perché sarà un’altra realtà importante a promuovere una cultura differente da quella napoletana. Il fatto che stia aprendo qui vuol dire che anche Napoli è pronta a questo tipo di estrazioni e di approccio.
Sono anzi contenta, perché ci dà un taglio ancora più internazionale, come città aperta al nuovo e al moderno. La tradizione verrà portata al giorno d’oggi.
Anche perché a Napoli a fare specialty siamo in pochi, soprattutto come piccole aziende. Il Luminist è un altro locale che ci sta dando una mano a lanciare questo nuovo mondo e a portare innovazione.”
Come siete riusciti a creare un rapporto diretto con i coltivatori?
“Prendiamo direttamente dalla piantagione il caffè, principalmente dall’Honduras, e lo portiamo in Italia dove poi lo tostiamo e lo facciamo arrivare sino a noi in caffetteria. Dalle origini il lavoro è svolto con attenzione sul singolo chicco, a partire dalla selezione durante il raccolto alla tazza finale.
Lavoriamo in questo modo grazie alla collaborazione con b.farm, soprattutto attraverso il supporto di Matteo Tagliaferri, che ci ha messo in diretto contatto con i farmer.
Con loro studiamo le miscele per ottenere il risultato che ci serve.
In un mese tostiamo circa 120 kg. Poi riusciamo a vendere in caffetteria come al bancone sia come shop online che per il consumo domestico e facciamo anche le cialde compostabili (che per una questione di sostenibilità non sono capsule, ovviamente).”
L’e-shop vi garantisce di vendere maggiormente all’estero?
“In realtà riusciamo a spedire ordini in buona parte sia in Italia che in Europa, al 50%-50%. Grazie alla caffetteria accogliamo molti turisti dall’Europa e dal mondo e così sono in tanti che poi diventano nostri clienti che ordinano dall’estero, principalmente dall’Europa.”
Qual è stata la più grande difficoltà per It’s Caffè?
“Entrare in contatto con un pubblico che non era ancora completamente pronto a bere una tazza così diversa. Fare cultura e divulgazione con il napoletano, senza diventare invadenti è stata una sfida.
Anche nel presentare il caffè, lasciamo un piccolo bugiardino illustrativo con tutte le informazioni sul caffè, a partire dalla provenienza per arrivare ai suoi componenti in miscela al suo contenuto di caffeina.
Da quando abbiamo aperto, un po’ alla volta stiamo arrivando alle persone. Apriamo dalle 8 alla sera: facciamo anche orario continuato, lavoriamo come bistrot e proponiamo l’aperitivo con vino e i taglieri con prodotti locali.
Ci sono anche dei cocktail a base caffè che stanno andando bene, ma ci vuole ancora un po’ di tempo perché è ancora più inedito del caffè in tazza. Proponiamo tante soluzioni, anche su consiglio del personale in sala. Il caffè qui si può gustare sempre.
Sicuramente puntiamo sul classico Espresso Martini, ma ce ne sono altri che ha realizzato la nostra bartender, anche analcolici. Ci avviciniamo anche ai gusti e alle richieste del singolo consumatore.
Con i brunch poi riusciamo a spingere anche il filtro maggiormente, nonostante il napoletano continui a prediligere il cappuccino. Dipende molto dal cliente. Gli stranieri lo prendono anche a pranzo con la pasta.”
In totale quanti siete a lavorare da It’s Caffè?
“Siamo tre socie e in sala abbiamo un paio di persone per una decina di tavoli. Non abbiamo uno spazio grandissimo ed è sufficiente qualche persona dietro al bancone e in cucina. È stato difficile trovare il personale disposto a lavorare e molti ragazzi hanno lasciato.
A Napoli manca poi la formazione di un barista come serve a noi. Trovare qualcuno disposto ad imparare e a seguire corsi, è stato complesso. Fortunatamente oggi abbiamo due baristi molto bravi e che si stanno formando e sono molto appassionati al caffè.
Siamo riusciti dopo 7 mesi a fare gruppo.”
Cosa ci raccontate del prossimo futuro?
“Vediamo una caffetteria che diventa sempre più un punto di riferimento per il caffè, per la sua cultura a 360 gradi e per questo stiamo portando avanti delle presentazioni di libri, in modo da accompagnare la lettura alla caffetteria.
Investiremo sempre più su questo, non solo sul personale sempre più competente, ma anche in termini di offerta, il che significa più miscele e pensiamo anche di arrivare alle monorigini.
Amplieremo gli eventi di degustazione e di abbinamenti tra caffè, dolce e salato e a partire da febbraio abbiamo già un programma fitto, perché abbiamo notato che sono occasioni che funzionano molto.
Anche durante le serate musicali, le persone si avvicinano più facilmente al caffè e ai cocktail a base caffè. Con Mauro Illiano penseremo anche dei workshop sulla moka, ad esempio.”