MILANO – Il caffè turco è una bevanda che ha bisogno di una certa dimestichezza e conoscenza per essere preparato. Se poi l’obiettivo è quello di portarlo in gara ai campionati italiani, il discorso si complica ulteriormente: lo sa bene Emanuele Bernabei, il vincitore di questa categoria, fresco dal trionfo a Sigep.
Bernabei, come mai ha scelto proprio il cezve ibrik?
“Questa è stata la prima volta che mi sono cimentato in questa categoria. Tutto è nato un po’ come un gioco, quando con gli altri competitor con cui siamo amici, ci siamo detti, perché non partecipare tutti insieme?
Così ci siamo aiutati a vicenda e abbiamo trasformato questa idea in una gran bella sfida al Sigep, animato dalla voglia di scoprire un metodo che non conoscevo benissimo.”
Qual è stato l’ostacolo più grande da superare?
“Capire cosa si aspettasse il giudice da questa tipologia di estrazione. Non avevo mai usato l’ibrik in una competizione e per prepararci abbiamo dovuto fare tante prove, assaggi con diverse tipologie di caffè o di ricette. Abbiamo guardato e studiato le gare anche dei campionati mondiali, soltanto a quel punto ci siamo potuti fare un’idea di quello che gli altri vincitori avevano portato.”
E l’idea di Bernabei qual è stata?
“Innanzitutto ho utilizzato dei tool prodotti in Turchia per quanto riguarda i due ibrik.
Ho fatto anche delle ricerche per scegliere la tipologia del fornellino più congeniale: sarebbe stato meglio il gas, l’elettrico o la sabbia? Alla fine ho scelto di usare la fiamma, perché mi garantiva un maggiore controllo della temperatura.
Ho utilizzo un ibrik in rame, dell’azienda turca STC che ha il brevetto di un ibrik di un materiale molto spesso per una maggiore conduttività del calore e una forma che non rende necessario il mescolamento durante la cottura.”
Mentre che cosa ha portato in gara come ricette?
“Per i drink ho portato il mandarino cinese Kumquat che richiamava il territorio da cui provengo, vicino a Fiumicino, dove crescono bene gli agrumi. Ho preso ispirazione dal grande albero di mio padre, che produce un frutto piccolo rispetto all’arancia ed è anche balsamico. Sono partito da questo elemento per poi pensare ad abbinarci un caffè che si sposasse bene.
Ho usato due caffè Finca El Placer colombiana, di cui Ramirez è il produttore, importato da Makicuna – fondata da una coppia, lei italiana e lui ecuadoregno -. Per il drink ho scelto un naturale con una fermentazione molto spinta (100 ore di anaerobica e poi altre 48 al caldo, coperta dai teloni e poi essiccato) e per l’altra ricetta, un lavato con due fermentazioni, di cui la seconda fatta con il liquido derivato dalla spremitura del caffè.
Li avevo scelti ad agosto per la gara barista, poi però li ho provati in ibrik e ho scoperto che erano perfetti.
Dunque per il drink ho fatto una base con il mandarino trasformato in sciroppo con il muscovado e il caffè. Poi ho realizzato un foam di nuovo con lo sciroppo, arancia e eucalitpo in infuso a freddo e un vermouth bianco.”
Bernabei, come mai si è distinto proprio lei tra tutta la squadra che ha collaborato per la gara?
“Oltre a noi quattro, c’era Niki di Landa che ha fatto una bella gara e anche Francesco Costanzo. Quello che ha premiato rispetto agli altri probabilmente è stata una presentazione molto pulita – ho ricevuto molti feedback positivi dai giudici sull’approccio alla gara – e le tazze sono piaciute nonostante diversi problemi tecnici. Ho sbagliato tante cose, ma il risultato è piaciuto molto.
Il caffè l’ho tostato io, con due metodologie diverse: il tradizionale con una tostatrice ad aria, l’Ikawa, mentre per l’altro ho usato la classica a tamburo, una HB. Uno tostato due giorni prima, l’altro una settimana prima.
Ho scelto così, proprio perché era uno dei temi della gara: far notare ai giudici la scelta di attrezzature diverse per la cottura. Con Ikawa ho aperto molto più le note sensoriali del caffè, per dei flavour nitidi. Con quella a tamburo, volevo dare più corpo e intensità.
L’importante è estrarre una tazza che sia dolce, con un livello di amarezza basso, note marcate, acidità spiccata. Quando racconti ai giudici, deve corrispondere la descrizione. ”
E ora i mondiali
Bernabei: “Abbiamo avuto la fortuna di avere un panel di giudici di livello altissimo: ben due erano internazionali e potendo confrontarci sulle schede, mi hanno aiutato molto con i loro feedback.
Stamattina ero in torrefazione e stavo già elaborando idee per i mondiali. Vorrei cambiare caffè.
In queste gare, il ruolo fondamentale ce l’ha il verde che si sceglie. Poi certo segue la precisione, la parte tecnica, la fantasia nel creare i drink, la presentazione, ma il caffè ha un ruolo fondamentale.
Per il resto, continuerò a studiare. Ai mondiali dovrebbe essere obbligatorio per almeno dei due drink usare la sabbia come fonte di calore. Probabilmente proseguiremo con alcuni dei ragazzi che hanno gareggiato ai nazionali, nello sviluppare insieme la gara.
Devo dire che è stato molto divertente collaborare come gruppo: è un po’ come se avessimo vinto tutti. Ricordiamoci che parliamo di una gara molto complessa, perché bisogna avere una diversa strumentazione e saper anche trattare il caffè.”
I ringraziamenti finali di Bernabei:
“In primis mia moglie e il piccolo: partecipare alle gare significa sacrificare il proprio tempo. Poi chi mi ha aiutato: Emanuele e André Tomassi, Luca La Salandra, Giovanni Di Pietro che mi ha aiutato nel drink ribilanciandolo pochi giorni prima della gara, Erik Barasi
che a Natale è venuto a consigliarmi e Valerio Da Veglia per gli assaggi.
Un grazie va anche a mio padre, che non solo mi sostiene nel mio lavoro quotidiano di torrefattore, svolgendo quei lavori più sporchi fondamentali, per la gara di ibrik mi ha aiutato a costruire la station, completamente fatta e colorata a mano in legno.”