MILANO – Specialty coffee: spesso vanno di pari passo con il concetto di monorigine, su cui fino a oggi si è basata questo settore, in parte per garantire l’espressione completa delle caratteristiche che rendono unico un caffè rispetto a un altro, in parte per rendere più semplice ed efficace la tracciabilità lunga la filiera.
Un sistema che fin qui ha funzionato ma che ora, sembra risentire delle regole più stringenti del mercato.
Si parte innanzitutto con la messa in discussione della definizione stessa di single origin, perché spesso sotto questo cappello ricade un intero Paese, regione, proprietà.
Inoltre, accade spesso che i processi di raccolta e di lavorazione del chicco possano variare di Paese in Paese.
Non è insolito per esempio, che l’Etiopia e la Colombia combinino piccoli raccolti provenienti da numerosi coltivatori locali, qualificandosi tecnicamente come caffè monorigine.
Tuttavia, rispetto al caffè coltivato e lavorato in una “singola farm“, questa definizione può generare confusione.
In reazione a questa potenziale ambiguità, molti torrefattori hanno cominciato a specificare, parlando di micro lotti.
Ma questo pone comunque un problema in termini di approvvigionamento.
Ebbene sì: lo specialty è difficilmente replicabile costantemente e questo, non fa bene agli affari
Coltivarlo costa molto ai contadini e di conseguenza appartiene alla fascia premium del mercato, e questo comporta un investimento ingente anche per i piccoli torrefattori.
Insomma, parliamo di prodotti che sono particolarmente dispendiosi economicamente e non solo, sia per chi li produce che per chi li acquista, li trasforma e, soprattutto, deve poi trovare dei consumatori disposti a comprarli a loro volta.
Avere a disposizione scorte ben limitate per garantire una certa costanza del prodotto, per i micro torrefattori è complesso.
La soluzione? Nel mondo si sta diffondendo la tendenza di creare miscele specialty
Un’opzione piuttosto rodata in Italia, che ora si sta facendo strada anche tra i roasters internazionali, alla ricerca di caffè che possano funzionare meglio su un mercato più ampio.
Una proposta che potrebbe giovare anche ai coltivatori, che riceveranno ordini per volumi maggiori e con più costanza.
Abbiamo chiesto a Dario Fociani, fondatori di Aliena Coffee Roasters, che cosa pensa di questa novità
“Purtroppo il business vince molto spesso. Lo specialty è una nicchia sempre più grande all’estero che in alcuni casi, a mio avviso, sta abbandonando il concetto che c’era dietro originalmente per abbracciare il mercato di grande consumo. Ci sta.
Fare miscele può essere più facile per mantenere un prodotto standardizzato e nel business questo aiuta.
Personalmente non amo la cosa, però se poi il contadino e l’agricoltura tornano nascoste nelle informazioni al cliente.
In Italia il mercato è diverso: avendo una presunzione di superiorità percettiva globale, lo specialty tanto trova difficoltà in alcune aree, tanto diviene elemento di studio e accolto calorosamente lì dove le persone hanno una mentalità più aperta e amano l’approfondimento (dato che in Italia per il settore cibo è particolarmente sentito).
Io credo che nel nostro Paese, piano piano si stia formando una minuscola scena ma molto genuina, per cui questa questione ci toccherà meno, anche perché chi ama un mercato di massa già può trovare parecchie risorse e non ha bisogno di miscele specialty.
Alla fine si vedrà che per le caratteristiche caratteriali dell’italiano che ama il cibo e conosce l’agricoltura, l’Italia diventerà un’eccellenza anche nel settore specialty, quando le altre nazioni finiranno l’Hype e appunto, torneranno a soluzioni di buon mercato.
Credo che ci siano comunque singole aziende agricole che hanno dei profili in tostatura che non necessitano miscela.
Il nostro Brasile o tanti altri caffè che abbiamo provato, semplicemente tostati un po’ più scuri, rispettano poi le esigenze di un pubblico che non tanto nella miscela ma nel grado di tostatura ha difficoltà nella bevuta.
Il mercato italiano ha tanti margini di crescita, credo che il legame con l’agricoltura sia comunque la chiave che dà alle persone comprensione delle differenze, io personalmente non me ne priverei”.