MILANO – Il mondo della ristorazione di alta gastronomia è ancora da esplorare, soprattutto per quanto riguarda il livello mantenuto costante in tutta l’offerta: dall’antipasto, sino al caffè. Sì, perché la tazzina a chiusura del pasto, trova il suo valore in locali ricercati come lo è Alessandro Mecca al Castello di Grinzane Cavour, in provincia
di Cuneo.
Tutte le materie prime usate nel ristorante gastronomico Al Castello di Grinzane Cavour vengono scelte perché rispecchiano alti standard: freschezza del prodotto, provenienza, metodi di produzione e confezionamento a basso impatto ambientale.
Il caffè, non fa eccezione, anzi, è parte integrante di questo processo selettivo.
Alessandro Mecca, come si beve il caffè dentro un ristorante del vostro livello? La gente cosa si aspetta?
“Le persone chiedono sempre in automatico l’espresso e per questo motivo, lo prepariamo spesso. La proposta di uno specialty viene apprezzata molto dal cliente più appassionato, che è contento di trovarlo in carta e di approfondirne la conoscenza. Allo stesso modo, noi siamo felici di raccontarglielo.
Abbiamo due opzioni per il caffè: l’iTierra! di Lavazza e uno specialty di Giovannacci Caffè, che però prepariamo con la moka che si presta di più a enfatizzare il monorigine.”
Ma lei da chef, come è arrivato al mondo degli specialty?
“Anni fa avevo seguito delle lezioni presso Caffè Vergnano ed è stata l’occasione per assaggiare una serie di caffè diversi. Da lì mi sono appassionato al mondo dietro la bevanda.
Penso che un ristorante gastronomico cerca e dovrebbe curare ogni aspetto del pasto, quindi anche il caffè e persino a cena, momento in cui l’85% della clientela lo ordina.”
Perché e quando avete deciso che anche il caffè doveva esser valorizzato alla pari del resto della vostra offerta?
“Abbiamo inserito da subito lo specialty ed è stato sostenibile perché contiamo soltanto 8 tavoli e abbiamo un taglio gastronomico frutto di una grossa ricerca sulla materia prima.
Collaboriamo con piccoli produttori della zona e quindi abbiamo sempre pensato che fosse giusto, coerente, che allo stesso modo in cui acquistiamo l’olio di un certo tipo, scegliessimo un caffè di un certo tipo.
Il cliente è contento di chiudere l’esperienza con una tazza di livello. Bere uno specialty dopo 8 portate, conclude il pasto in maniera diversa.”
Ci racconta la carta dedicata al caffè e come la presentate al cliente?
“Abbiamo selezionato due tipi di caffè, un Etiopia e un Brasile, il primo per una tazza più aromatica e pungente, il secondo per palati più rotondi. Abbiamo un cartoncino dalla grafica accattivante e il servizio avviene al tavolo, con un processo che abbiamo imparato da Giovannacci Caffè: l’acqua a 80 gradi, con il cestello aperto facciamo cuocere l’acqua per 3 minuti circa e quando si estrae il succo, spegnamo il fornetto e si porta ai commensali.
Questa preparazione regala molto un’atmosfera casalinga e i clienti sono contenti di poterlo condividere.”
È più semplice parlare di varietà, terroir e origini per il caffè, in un posto come il vostro immerso nelle Langhe, dove il collegamento con il vino viene quasi naturale?
“In generale, c’è poca cultura di caffè in Italia: siamo grandissimi bevitori di espresso, ma se si parla di specialty ed estrazioni alternative, si brancola nel buio.
I clienti appassionati sono contenti di assorbire e conoscere cose nuove, ma chi non ha voglia di passare troppo tempo a studiare non è interessato a sperimentare. Da parte nostra però, c’è la volontà di fare divulgazione su questa bevanda.”
Avete scelto di utilizzare la moka: qual è il motivo dietro questa scelta invece di orientarsi sul classico espresso e come hanno reagito i vostri clienti?
“La moka è stata dettata innanzitutto da un’esigenza di gestione degli spazi: dentro il castello sono piuttosto risicati. E poi ci piaceva la condivisione del caffè accompagnata dai biscotti, dalla pasticceria e di poter raccontare la bevanda insieme ai clienti. La moka, poi, è anche il simbolo dell’ospitalità italiana.”
Però avete deciso di non rinunciare all’espresso: che macchine usate?
“Per l’espresso usiamo un modello Wega Coffee Machine e un macinino Fiorenzato on demand. Il barista o il personale di sala sono formati adeguatamente e i volumi di caffè ci consentono di sostenere l’investimento: tra caffetteria e ristorante, totalizziamo circa nove chili a settimana.”
Com’è nata la collaborazione con la torrefazione Giovannacci?
“Ho assaggiato i loro prodotti in un ristorante che frequentavo, mi è piaciuto e l’ho contattato a metà di gennaio a Finale. Da lì è iniziata la nostra collaborazione. Abbiamo degustato e scelto insieme le proposte da portare in Alessandro Mecca.”
Il prezzo è un problema?
“Moka ed espresso hanno lo stesso prezzo al ristorante, di 3 euro. Le persone si trovano all’interno di un contesto in cui sanno che i prezzi saranno leggermente più elevati, e per questo non si mettono il problema.
Tre euro, aggiungerei, non è un costo elevato, anche perché poi il caffè viene servito insieme alla pasticceria, quindi sembra più giustificato dall’esperienza.”
In futuro vorreste spingervi verso altre estrazioni alternative?
“Sì. Mi piacerebbe molto introdurre il chemex e il syphon. Ma bisogna avere il tempo necessario e una figura dedicata con esperienza.
Attualmente, siamo un totale di 11 persone. Siamo stati fortunati ad avere uno staff abbastanza integro da tempo. Abbiamo avuto difficoltà in sala nei mesi di giugno-luglio, ma ora abbiamo aggiunto nuove risorse valide che abbiamo assunto. Diciamo che in questo momento siamo in una bolla di vetro.
Cerchiamo di avere degli orari umani. È una scelta difficile e comporta spesso un maggiore impegno da parte nostra che vogliamo investire e offrire una buona vita ai nostri collaboratori.”