MILANO – Alla scoperta del caffè buono, pulito e giusto con la Slow Food Coffee Coalition in un webinar che ha messo a confronto i creatori, i partner e i coltivatori di una rete di relazioni tessuta per far evolvere l’idea dietro la produzione di caffè. Obiettivo, migliorare i rapporti tra agricoltori e consumatori, rafforzando gli anelli deboli della filiera.
Come il network Slow Food sta trasformando il mondo del chicco? Proteggendo la biodiversità e lottando contro il cambiamento climatico.
Al webinar sono intervenuti: Emanuele Dughera, coordinatore della Slow Food Coffee Coalition, PGS initiatives coordinator Slow Food, César Marín, produttore di caffè della Comunità Slow Food Café Sustentable Villa Rica, La Chacra D’dago, Perù;
Emanuele Dughera, coordinatore della Slow Food Coffee Coalition fa partire il racconto
“Insieme a Silvia Rota siamo coordinatori della Slow Food Coffee Coalition, nata circa 2 anni fa. Il primo impegno è tutto racchiuso nel nostro slogan: insieme per un caffè più giusto.
Siamo una rete internazionale, collaborativa e aperta verso tutti gli attori della filiera, che è lunga e complessa. Con il fine di promuovere il caffè per tutti, buono, pulito e giusto.
Il motivo alla base della creazione di queste rete è affrontare la crisi climatica che sta provocando dei danni ingenti alla filiera. Esistono degli studi ancora in corso che hanno dimostrato che non agire immediatamente potrebbe significare poter contare soltanto sulla metà del terreno coltivabile per il caffè entro il 2050.
Allo stesso tempo, la domanda della bevanda è in crescita, in particolare in Paesi come la Cina, che tradizionalmente consumava tè e ora si sta appassionando al caffè.
Esiste poi una frattura tra coltivatori e consumatori di questa bevanda. Questi ultimi spesso non sanno neppure da dove viene il caffè che stanno bevendo, quasi mai hanno idea di chi si è occupato della torrefazione. Questi sono due problemi che ci stanno molto a cuore.
Il caffè è una bevanda, ma soprattutto un seme, una pianta, dei fiori e dei frutti. Quello che stiamo tentando di comunicare è che oggi il caffè, che viene considerato una commodity, è un prodotto agricolo, coltivato da tanti farmers.
Sentiremo parlare alcuni di loro proprio per questo.
La prima cosa che abbiamo fatto è stato stilare un manifesto con la nostra visione. Al suo interno sono chiari gli intenti per la protezione dell’ambiente e della biodiversità. E’ il risultato di un lavoro congiunto tra torrefattori, coltivatori ed esperti.
In che modo trasformare questi concetti in pratica? ”
Continua il racconto della filosofia Slow Food Coffee Coalition
“Preferiamo chiamarli contadini, agricoltori, perché vogliamo dialogare con coloro che possiedono della terra e coltivano caffè insieme ad altre piante.
In Italia, in Europa, contiamo su un gruppo di esperti che ci ha guidati nella nostra crescita, insieme ai nostri partner. Per questo oggi avremmo con noi i rappresentanti di De’Longhi e Lavazza.
Per il momento abbiamo lavorato con 33 comunità Slow Food in tutto il mondo, dal Messico al Perù, in india e nelle Filippine. Con alcune di queste abbiamo stabilito una certificazione PGS (sistemi di garanzia partecipata).
Abbiamo avviato anche in alcuni dei territori in cui viene prodotto il caffè che importiamo in Italia e Europa, un progetto block chain: viene coltivata la materia prima all’interno di una piantagione che è stata gestita in maniera sostenibile.
Circa il 65% della produzione del caffè deriva da una coltivazione industriale o non completamente sostenibile. Per cui bisogna fare affidamento sui coltivatori che sono i veri custodi della bioversità. Come lo sono César e Stephen.
Altro fatto importante è la tracciabilità: mostrare quali sono state le tappe principali che hanno portato il caffè sino a casa nostra. Questo è il caffè pulito, buono e giusto.”
Silvia Rota, PGS initiatives coordinator at Slow Food, si inserisce nella discussione
“All’interno della rete Slow Food Coffee Coalition abbiamo applicato i PSG (sistemi di garanzia partecipata) per ottenere un caffè che sia buono – di qualità elevata sensorialmente -, pulito – perché coltivato secondo i principi dell’agroecologia -, infine giusto – la produzione rispetta i diritti dei lavoratori ad un prezzo adeguato -.
Abbiamo deciso di investire in questo sistema dal basso: non è Slow Food con il suo logo che fa da garante, che svolge ispezioni.
Questo è un metodo di certificazione che è passato a livello locale: la Slow Food Community, che si è occupata della torrefazione, applica uno standard, visita il campo, e questi sono i principi chiave dei sistemi di garanzia partecipativa.
Tutti i partecipanti hanno una visione comune, in questo caso espressa nel nostro manifesto, e ciascuno può collaborare. La fiducia è essenziale e si basa su un processo di apprendimento e di revisione tra parti.
Questo è importante, perché vogliamo affermare di diffondere i principi dell’agroecologia, un approccio prettamente locale.
Non ci sono costi extra per i produttori contrariamente a quanto avviene per le certificazioni più diffuse. Il nostro sistema non prevede alcuna spesa. Bisogna investire del tempo, ma non del denaro.
Alla fine il logo di Slow Food garantisce che il sistema di certificazione sia stato seguito.
Una panoramica delle attività svolte nella rete
Sosteniamo le comunità locali che coltivano caffè. Aiutandole a lavorare in base ai sistemi di garanzia partecipativa, sostenendoli in ogni modo per favorire le loro iniziative. Creiamo dei legami con buyer e torrefattori.
Promuoviamo e raccontiamo le comunità di produttori e di tutti i partecipanti della rete.
Ci occupiamo anche dell’educazione dei consumatori, che possono esser tutti, dai bar e ristoratori a qualsiasi altro attore della filiera, cercando di trasmettere cosa noi intendiamo per caffè pulito, buono e giusto.
Organizziamo delle sessioni formative, con dei tool kit, degli eventi di promozione della rete.
Collaboriamo infine con aziende private e Istituzioni.”
César Marín, produttore di caffè della Comunità Slow Food Café Sustentable Villa Rica, La Chacra D’dago, Perù
La prima piantagione di caffè certificata come biodinamica e l’unica indipendente del Paese di questo genere.
César Marìn:” Sono qui per parlarvi della mia storia. Nella mia fattoria a conduzione familiare, adottiamo le pratiche della biodinamica ma facciamo anche rigenerazione.
Tutto è iniziato con mio nonno qui, nella regione del Palomar, con un approccio più votato alla produttività. Il caffè non era visto come nient’altro rispetto alla bevanda in tazza.
Poi mio padre e mio fratello hanno completamente cambiato la gestione dell’azienda, andando verso una visione più vicina al biologico.
Ora pensiamo all’agricoltura del futuro, cioè quella biodinamica che è basata su quella rigenerativa. Introduciamo specie autoctone per rigenerare i suoli.
Anno dopo anno, vediamo che questo è un beneficio per lo stesso caffè: oggi siamo l’unica azienda certificata in Perù.
Ci sono molti cambiamenti in corso, da quello climatico all’innalzamento del prezzo, per cui per quanto il biologico sia importante, c’è bisogno di fare un passo ancora in avanti.
Quando ho sentito parlare dei sistemi di garanzia partecipativa ho pensato che fosse un’occasione per educare altri produttori: siamo riusciti a coinvolgerne 10, 4 dei quali di caffè, con l’idea di insegnare loro delle alternative da applicare nei campi.
La certificazione di sistemi partecipativa è una buona alternativa a quella biologica, che ha dei costi.
Stiamo pensando alle generazioni future.
Un altro aspetto importante da cambiare è che attualmente possiamo produrre tutto con un appezzamento di terra: spesso si pensa che si possa risolvere tutto nel fornire assistenza finanziaria e certificazioni.
Ma la vera soluzione resta quella di cambiare la mentalità dei produttori e l’unico modo di farlo è attraverso il cibo.
Ricordiamoci che quando si ha in gestione un pezzo di terra, non soltanto si può rigenerare ma è possibile anche produrre e proteggere la nostra salute.
Nella nostra piantagione ad esempio, utilizziamo il compost prodotto dai nostri stessi animali e con questo rigeneriamo il terreno.
Bisogna far sì che tutti gli agricoltori sappiano come gestire e produrre questa risorsa. Nella nostra fattoria abbiamo più di 7 tipi di animali e siamo arrivati a 60 ettari.
E’ semplice insegnare questi concetti agli altri produttori. Tanti altri coltivatori hanno degli animali e potrebbero utilizzarli per curare il suolo, semplificando così il lavoro all’interno della Slow Food Coffee Coalition e cambiare insieme le cose.”
Stephan Katongole, produttore di caffè della Comunità Slow Food Kanoni, distretto di Sembabule, Uganda
Cresciuto in Germania, la sua famiglia arriva dall’Uganda e ora è alle redini dell’azienda.
“Sono nato a Baden Baden in Germania e la nostra impresa familiare in Uganda apparteneva a mio bisnonno, dagli anni ’50. Da quella nazione in seguito mio padre si è trasferito poi per lavoro in Germania, dove sono nato.
A quel punto l’azienda era in stato di abbandono, finché mio padre ha deciso di tornare in patria attorno agli anni 2000 per far rinascere l’impresa agricola.
In quella zona c’erano tante piante di caffè, ma il metodo usato era industriale, la sostenibilità e la qualità non erano la priorità.
Per circa 10 anni si è proceduto in questo modo. Successivamente, mio padre è stato pronto a passare le chiavi dell’azienda ai suoi figli.
Quando si parla di caffè, bisogna tener presente l’intera filiera: è stata una decisione difficile, abbiamo avuto bisogno di capire il mercato.
Nel 2010 mi son detto “ok, ci provo io”. Dovevo familiarizzare con l’ambiente, quando si coltivava ancora Robusta. Ho svolto ricerche in Germania, prendendo contatti con importatori e torrefattori, dove la parola Robusta sembrava quasi un insulto. E’ stato difficile creare una rete per proporre la nostra produzione.
Per questo sono andato avanti da solo, occupandomi anche della torrefazione in Uganda e a Lubeca in Germania, per trasformare il prodotto finito.
A quel punto gestivo tutti i processi della filiera: mi sono reso conto così che i produttori sul mercato non sono tracciabili. Il consumatore non sa veramente da dove arriva il prodotto che ha tra le mani.
Quindi ho tentato di dare ai miei clienti la possibilità di seguire tutte le fasi, dalla raccolta alla torrefazione: erano in grado di tracciare tutto online, sino all’arrivo del caffè a casa loro.
E’ stato complesso nei primi anni, dopo un periodo iniziale alcuni torrefattori hanno iniziato a cambiare insieme al mercato.
Qualcuno si è interessato alla Robusta.
Adesso mi occupo soprattutto della produzione e poi vendo la materia prima ai torrefattori in particolare in Europa.
Trovo molti punti di contatto con Cèsar: la nostra coltivazione è iniziata in un contesto industriale, solo nel 2004 siamo passati al biologico di fatto, con un’agricoltura sostenibile.
Abbiamo anche noi tanti animali, che sono la fonte del concime utilizzato.
Ci sono anche fattorie che condividono con noi il loro letame. Utilizziamo anche la cenere, gli scarti dei vegetali.
Il vantaggio che hanno le altre aziende che usano prodotti chimici è che loro hanno sempre una resa assicurata, ma allo stesso tempo stanno avvelenando il suolo.
In passato era difficile vedere le fattorie tutte vicine che usavano prodotti chimici: fortunatamente negli ultimi 2 anni abbiamo notato che sempre più persone stanno usando concimi naturali.
Il terreno pian piano si sta rigenerando, le piante tornano in salute. Questo perché insegniamo ai contadini come usare una fonte gratuita come il letame. Ovunque è possibile trovarne di disponibile.
Tornando a Slow Food: qualche anno fa li ho incontrati in Uganda e mi hanno chiesto se fosse possibile collaborare. A quel punto ho visitato un’azienda agricola in Italia molto interessante e ho compreso la filosofia della Slow Food Coffee Coalation.
Allora abbiamo parlato della nostra Associazione locale di produttori di caffè, instaurando una cooperazione tra di noi.
Purtroppo l’anno scorso abbiamo affrontato fenomeni metereologici estremi che hanno danneggiato la raccolta, ma comunque cercheremo di ottenere migliori risultati per il prossimo anno.”
Laura Sicolo, De’Longhi Consumer Journey Manager
“Mi piacerebbe visitare la piantagione di Cèsar, che è fonte di ispirazione. La Slow Food Coffee Coalition ha un ruolo importante nel nostro viaggio verso la sostenibilità.
Sappiamo che il caffè è un percorso composto da diverse tappe e attori, che cercano di ottenere il meglio nelle varie fasi.
Dalla piantagione e produzione, alla torrefazione e trasformazione.
E’ importante considerare quello che De’Longhi fa come azienda produttrice di macchine del caffè, come parte di questo insieme: in qualche modo, il viaggio ha qualcosa di magico che cela dietro di sé tutti gli sforzi lungo la supply chain, sino ad arrivare al risultato finale in tazza.
Vogliamo far sì che si ottenga il meglio dai chicchi: non si tratta per noi soltanto di innovazione tecnica. Si tratta di arte, di passione.
Un’azione che dev’essere portata avanti nel quotidiano con integrità: questo è il concetto base del nostro viaggio sostenibile.
Quali sono i pilastri strategici di De’Longhi: l’empowerment, il consumo responsabile del caffè, la giusta selezione dei chicchi, un impatto sull’insieme della filiera e sul pianeta.
Vogliamo rendere i consumatori più consapevoli. Ogni attore del settore può fare qualcosa e ha un ruolo per mitigare i rischi e le conseguenze del cambiamento climatico.
Per questo lavoriamo in partenariato per rendere il settore più sostenibile, operando con integrità, coordinando vari processi per diventare sempre più verdi e ridurre l’impatto sul pianeta.
I nostri partners: collaboriamo con Slow Food Coffee Coalition ed è un onore portare avanti questa alleanza, entrando a fare parte di una rete che ci permette di avere un impatto più ampio per aiutare e favorire lo sviluppo dei produttori di caffè.
Affinché abbiano un sostegno economico-finanziario e i coltivatori attraverso un equo compenso.
Lavoriamo anche con World Coffee Research sull’innovazione, la ricerca e sviluppo di progetti che riguardano la tutela della diversità delle varietà di caffè, al fine di selezionare i chicchi di caffè più resiliente dalle varietà.
Abbiamo deciso di dare visibilità alla Giornata internazionale del caffè: De’Longhi ha creato un caffè speciale per l’occasione, in partnership con Slow Food Coffee Coalition perché siamo convinti che l’economia circolare del caffè può fare la differenza nel nostro viaggio di sostenibilità.
Abbiamo voluto realizzare dei pacchetti speciali De’Longhi che lanceremo il primo ottobre in diverse opzioni, con una tostatura media e medio-chiara.
Questa varietà viene prodotta in Honduras ad un’elevata altitudine, un 100% Arabica, coltivata con il sostegno della Slow Food Coffee Coalition.
L’esperienza sensoriale di questo caffè è la concretizzazione di questa collaborazione, per la diffusione del senso dei nostri concetti.
E questo caffè sarà distribuito nei nostri negozi e nell’e-commerce.
Vogliamo sensibilizzare i consumatori e per questo i sacchetti di caffè hanno mettono l’accento su un altro modo di fare storytelling: raccontiamo i produttori e comunichiamo un concetto più ampio di bere una tazzina buona, sia sui social sia sulle piattaforme digitali per far imparare qualcosa in più del mondo del chicco.”
Il video messaggio da parte della rappresentante della Fondazione Lavazza, Veronica Rossi
“Il partenariato tra Lavazza e Slow Food si basa sulla sostenibilità per favorire il cibo buono, pulito e giusto. Vogliamo tutelare tutte le varietà dei caffè e lavoriamo da più di 20 anni insieme per promuovere le buone pratiche agricole sostenibili e garantire la qualità del caffè.
Abbiamo l’obiettivo di rafforzare questa partnership: nel 2021 è stata creata la Slow Food Coffee Coalition, rete inclusiva e aperta che comprende tutte le persone interessate al caffè buono pulito e giusto.
Sosteniamo la produzione sostenibile di caffè, favoriamo lo scambio di buone pratiche, promuoviamo la qualità e il coinvolgimento delle comunità per fare in modo che l’industria sia un settore sostenibile con un futuro migliore per i produttori e i consumatori.
La Slow Food Coffee Coalition e Fondazione Lavazza lavorano insieme per i sistemi di certificazione partecipativa.
Uno dei primi esperimenti è il PCS, per valutare gli sforzi di produzione: una certificazione che coinvolge i produttori, gli attori della filiera, nel rispetto di diverse procedure e determinati principi condivisi.
Non si tratta di imporre dei costi, ma è una valutazione interna e alla pari. Siamo convinti dell’utilità di questo metodo per la sostenibilità nel mondo.
Soprattutto nel progetto che abbiamo sviluppato a Cuba nel 2020, che è diventato una comunità Slow Food con una cinquantina di coltivatori coinvolti nella produzione sostenibile di caffè.
Si basa tutto su uno sforzo collaborativo, siamo convinti che il partenariato sia fondamentale e il progetto a Cuba trova la sua fondamenta su una rete molto forte e sviluppata.
Abbiamo collaborato con Istituzioni e rappresentanti del caffè a Cuba.
Promuoviamo la tutela delle varietà di caffè nel mondo, l’obiettivo è la responsabilità sociale, favorendo l’eccellenza del settore del caffè nel mondo.
Elementi fondamentali per l’industria ma anche per la società in generale.”