Massimo Renda, fondatore e presidente di Caffè Borbone, è intervenuto come ambasciatore dell’espresso all’anteprima dell’evento organizzato da Bazzara Trieste Coffee Expert per incentivare la collaborazione tra il nord e il sud Italia. Il cavaliere del lavoro Massimo Renda si è esposto in particolare sull’importanza del riciclo e della sostenibilità nell’industria dell’imballaggio alimentare e di quanto sia importante sensibilizzare i consumatori sul perseguimento di un comportamento sempre più all’insegna del rispetto per l’ambiente. Leggiamo di seguito la sua opinione.
Riciclo e sostenibilità
di Massimo Renda
TRIESTE – “Vengo portando un argomento che a mio avviso è un po’ trascurato, ma che dovrebbe essere più sentito, e anche, per quanto possibile, come ambasciatore di una torrefazione napoletana. Sappiamo che ci sono stati ragionamenti abbastanza serrati nel confronto tra il caffè italiano e quello napoletano: ma l’espresso fatto in Italia è sempre buono.
Quindi, da ambasciatore, e per quanto possibile stemperatore, anche se credo che oramai il momento caldo sia nel passato, è bene che in un contesto così importante rivolto agli operatori del settore caffè ci fosse anche un rappresentante dell’industria del caffè del sud, che geograficamente è abbastanza lontana da Trieste. Stavolta è capitato a me e magari qualche altra volta capiterà a qualcun altro.
Dovremmo trovare tutti quanti insieme un modo per “fare sistema”, per andare all’estero nella maniera migliore e più costruttiva per tutti.
Parliamo di un tema che per tutti noi è molto caldo: è la questione della riciclabilità dell’imballaggio. Solo Caffè Borbone ogni anno sul mercato italiano immette quasi 3 miliardi di monodose, tutti quanti confezionati singolarmente.
Tutte queste confezioni dovranno andare a riciclo oppure a rifiuto: dobbiamo cercare se non altro di riciclarlo nel miglior modo possibile. La pressione è sempre maggiore: ogni giorno sentiamo di uragani, tempeste, siccità. Una sera guardavo in televisione un canale Rai e si parlava di una zona di Italia che si sta desertificando, e tutto questo è attribuito al cambiamento climatico.
Abbiamo il dovere tutti quanti, ognuno nel suo piccolo o nel suo grande, in ogni tipo di lavoro e attività che facciamo, di aumentare la nostra sensibilità per salvaguardare il mondo soprattutto per chi verrà dopo di noi. Considerate che un quinto delle emissioni dei gas in atmosfera derivano dalla filiera di produzione dei prodotti alimentari. Un quinto a livello mondiale: vi renderete conto che è una cifra enorme? Nelle coltivazioni, negli allevamenti, per l’industria fino all’atto di consumo, la sommatoria di tutto questo porta a un quinto dell’emissione dei gas serra e per colui che mi ha dato il dato, forse addirittura di più. Noi che cosa possiamo fare?
Innanzitutto sollecitare, ad esempio nell’industria dell’imballaggio alimentare, la competizione. Fare in modo tale che gli imballaggi siano sempre più predisposti a poter essere riciclati, fermo restando che poi devono rimanere entro un margine di costo utilizzabile, e con la possibilità di essere macchinati in maniera favorevole.
Ci deve essere questa virtuosa spinta evolutiva dell’industria di imballaggio, che non deve essere rivolta solamente al miglior rapporto qualità prezzo.
E l’industria alimentare, che produce utilizzando questi imballaggi, deve essere consapevole che non arriverà mai il produttore di imballaggi a dire “guarda ho la soluzione di tutti quanti i tuoi problemi, e delle tue esigenze commerciali”: sarà sempre un percorso di interlocuzione, di costruzione comune, di confronto e quindi sarà un lavoro fatto sottobraccio per migliorare questo tipo di aspetto.
E poi c’è il consumatore che è la chiave di volta. Riuscire a sensibilizzare il consumatore, di fatto, è come stimolare la competizione positiva tra tutti quanti gli attori. Perché è chiaro, se io torrefattore so che se il mio imballaggio in qualche maniera è più riciclabile, oppure se la mia capsula o la mia cialda è meno impattante nei confronti degli effetti serra, dell’inquinamento, e questo è apprezzato dal consumatore, probabilmente venderò di più, sarò più stimolato e stimolerò ancora di più i miei fornitori.
Tutto questo potrebbe essere un percorso molto virtuoso, però c’è un problema: forse siamo un po’ agli albori di questo tipo di questioni e bisognerebbe fare un attimino più sistema, perché parlo da consumatore (e magari ne capisco pure qualcosa di più), e perché oltre ad essere un consumatore, sono anche un produttore.
A volte ti trovi confezioni con dei simboli incomprensibili, leggi regolamenti che cambiano di Comune in Comune, quindi magari questo oggetto potrebbe essere riciclato nella plastica a Canicattì e non essere riciclabile a Milano o viceversa; sto facendo degli esempi”.
La confusione nel riciclo secondo Renda
“C’è confusione e questo cosa comporta? Porta a peggiorare la qualità del riciclato, il quale è più difficile da immettere sul mercato e quindi tutto questo tende a indebolire il virtuosismo e a fare sì che, alla fine, ci si muova in questo mare magnum di poca chiarezza, che potrebbe essere con pochissimi sforzi migliorata.
Giusto una chiave di pensiero, che non è assolutamente una proposta, non sono assolutamente all’altezza di portare proposte in un mondo così articolato; perché mettere il triangolino per dire PE, PL, alluminio, soprattutto per quei materiali che sono composti da diverse tipologie, diverse nature, materiali diversi?
Ad esempio, tutti quanti conosciamo il triplice poliestere, allumino, polipropilene, e che è normalmente utilizzato per il confezionamento del caffè: lì ci sono due tipi di plastica e l’alluminio.
Purtroppo i Comuni non possono avere tutte quante le stesse chiavi tecnologiche nel riciclo, perché ci sono impianti più o meno tecnologicamente avanzati, magari c’è un Comune che è più forte a riciclare l’alluminio o un Comune che è più specializzato nel riciclare la carta.
In genere gli elementi da riciclare sono 6. Basterebbe creare una griglia dove si evince il livello tecnologico di riciclo di ognuno dei 6 elementi, per ogni comune”.
Migliore è la tecnologia di riciclo del comune, più alto sarà il numero per quel determinato elemento.
Questo livello tecnologico dovrebbe essere pubblico, e riportato sui cassonetti del riciclo.
I produttori alimentari a loro volta, indicheranno sulle loro confezioni il tipo di elemento, e il livello tecnologico minimo necessario.
Se il livello indicato sull’imballaggio è di un numero superiore al livello indicato dal Comune, quell’imballaggio dovrà essere gettato nell’indifferenziata.
E così facilmente comprensibile che i Comuni più virtuosi saranno stimolati a migliorare le loro tecnologie di riciclo, per aumentare i loro indici di livello tecnologico, di dominio pubblico, e facilmente confrontabili tra un Comune e l’altro.
I produttori saranno, dal canto loro, stimolati a rendere più riciclabili i loro imballaggi, per dichiarare un indice di livello tecnologico necessario più basso, in una sana competizione tra un produttore ed un altro.
Questo meccanismo stimolerebbe la competizione tra i comuni e tra i produttori. Investimenti semplici porterebbero ad un grande vantaggio dal punto di vista economico per tutti quanti. Considerate che ogni anno in Italia vengono utilizzati 13 milioni di tonnellate di materiali da imballaggio: non è una montagna, è di più.
C’è un buon livello di riciclo per i prodotti. Gli elementi da riciclare sono sei: carta, vetro, plastica, legno, alluminio, acciaio.
La plastica è quella che ha il tasso di riciclo più basso per un semplice motivo: è quella che normalmente si presta di più a composizioni articolate e allora le persone sono nel dubbio, quelle informate buttano nell’indifferenziato, quelle non informate la plastica, anche se magari si tratta di una plastica particolarmente inquinata da elementi esterni”.
Una maggiore chiarezza nei confronti dell’industria e del consumatore
“E che cosa succede? Che il riciclo viene vanificato perché è contaminato il risultato, quindi l’industria che dovrà acquistare quel prodotto riciclato rimarrà più riluttante, e quindi il materiale in questione è veramente di scarso interesse.
Oppure, alla fine, se il riciclatore non riesce a ricollocare sul mercato quel materiale, è costretto a mandarlo all’inceneritore e a termoconvertirlo, il che è molto dannoso.
Se si riuscisse a dare chiarezza dei regolamenti per noi dell’industria, per la chiave di utilizzo del consumatore, tutto questo potrebbe portare un virtuosismo pazzesco in termini economici e di competizione, di miglioramento tecnologico per tutti gli addetti al settore”.