MILANO – Giovanni Jacobellis ha voluto condividere con i lettori la sua opinione rispetto all’intervento di Marco Feliziani – amministratore delegato Simonelli Group – e Michele Monzini – presidente Comitato promozione caffè – in merito al tema della qualità del caffè servita nei bar. Riportiamo la sua opinione frutto della sua esperienza pluriennale come agente di vendita di caffè e nella distribuzione nel canale bar-pasticceria, che lo rende un po’ l’anello di congiunzione tra torrefattori e baristi.
Jacobellis: Oggi bisogna fare investimenti senza attendere la legge europea che lo impone”
“Si discute di ambiente, di sostenibilità, di qualità della materia prima, ma la verità è che in sala, l’offerta del caffè rimane sempre quella da anni. Quando si parla di retrogusto, di peculiarità aromatiche, delle essenze del caffè, spesso non si considera il fatto che il consumatore italiano beve il caffè solo d’impulso, nel giro di pochi secondi. Per questo, la preparazione di chi estrae il caffè dietro ai banconi di tutta Italia, resta essenziale nella guida del cliente alla degustazione. Bisogna comportarsi come avviene nei ristoranti,
in cui c’è il sommelier che consiglia quale vino abbinare. Nel bar non c’è quella conoscenza che serve per educare il consumatore. “
“Per parlare di qualità bisogna non soltanto raccontare il chicco”
Continua Jacobellis: “I torrefattori dovrebbero spingere di più sulla formazione degli operatori. Si vedono tante aziende che sul sito propongono dei corsi, ma si limitano a fornire le conoscenze basiche. Ci si ferma in superficie. Che certamente fa parte della conoscenza della tazzina, è quasi obbligatoria, ma si dovrebbe andare oltre, ad esempio, così come ho consigliato diverse volte, preparare una carta del caffè in
abbinamento a determinati alimenti.
Ma non solo: perché non pensare ad usare le tazzine e anche dei piatti appositamente studiati per accompagnare il servizio della tazzina con del food. Presentarsi così farebbe davvero la differenza. “
“C’è bisogno di studiare e di curare l’ospitalità, il servizio.”
“Questo oggi lo fanno in pochissimi e invece, innalzare la qualità passa anche e soprattutto dal migliorare l’esperienza di consumo nel suo complesso. Questo passaggio però deve partire dalle torrefazioni che magari potrebbe cominciare fornendo un contenitore in acciaio, dei silos in cui mettere in mostra il caffè e incuriosire la clientela, dando una ricarica sigillata come accade con la birra.
La materia prima di alto livello ora non basta, perché nel mercato attuale si vendono più servizi che prodotti. Il barista non deve quindi fermarsi alla preparazione della bevanda: le macchine e i macinini sono efficienti, ma devono esser messi nelle mani di un esperto, di un profondo conoscitore anche della mise en place dell’espresso.
Jacobellis: “Il caffè migliore del mondo senza una storia e una cornice a supportarlo, perde di valore. “
“Nella scala dei valori prima dovrebbe venire il bar, poi il servizio e infine il caffè. L’azienda deve lavorare molto sulla qualità del servizio, oltre che focalizzarsi sul prodotto. L’espresso è un rito e come tale deve avere la sua giusta collocazione. Queste parole devono trasmetterle concretamente nei bar, investendo, cambiando le dinamiche che ci stanno dietro, prestando attenzione alla cura dei dettagli nella presentazione dei prodotti. Anche questa è cultura del caffè.”