Zidarich: “Così abbiamo creato un modello unico per il riutilizzo del silver skin come sottoprodotto”
Il presidente: "Abbiamo voluto creare delle linee guida che fossero valide tutti i torrefattori. Ci siamo appoggiati ad una consulente che aveva già affrontato e gestito gli scarti di lavorazione per conto di una grossa azienda del settore alimentare, così gli scarti erano diventati una risorsa anche economica."
TRIESTE – Un significativo passo avanti verso la sostenibilità compiuto dal Gruppo italiano torrefattori caffè, rappresentato dal presidente Omar Zidarich, che ha condiviso con i lettori i progressi fatti sul silver skin, considerato sin qui come uno scarto produttivo e non un sottoprodotto, e che ora potrà trovare il suo ruolo nell’economia circolare.
Zidarich racconta la genesi di questa iniziativa
“Inizialmente, lavorando insieme all’Area di ricerche Science Park di Trieste, un organo nazionale e controllato dallo Stato senza scopo di lucro, avevamo organizzato il convegno in cui il silver skin veniva presentato come un sottoprodotto e non più come uno scarto della torrefazione. In seguito, abbiamo approfondito il discorso considerando che la legislatura dei rifiuti è nazionale, ma l’organo di controllo è regionale e fa rispettare le normative nazionali.
Il sottoprodotto è regolamentato differentemente rispetto ad un rifiuto. Quindi noi abbiamo voluto creare delle linee guida che fossero valide tutti i torrefattori. Ci siamo appoggiati ad una consulente che aveva già affrontato e gestito gli scarti di lavorazione per conto di una grossa azienda del settore alimentare, così gli scarti erano diventati una risorsa anche economica.
Così siamo partiti. Ho visitato personalmente diverse aziende per assistere al ciclo produttivo che fortunatamente nelle torrefazioni è unificato: tutti, indipendentemente delle dimensioni, svolgono un processo che nelle sue fasi è uguale. Abbiamo visto quali sono i rifiuti ed i sottoprodotti che produce questo tipo di impresa, durante il ciclo produttivo. Abbiamo tracciato queste linee guida per prevedere, per quanto riguarda il silver skin, l’utilizzo in più processi produttivi.
Il silver skin, essendo un prodotto voluminoso, ha per esempio un’incidenza importante per il trasporto che abbiamo dovuto considerare. Resta il fatto però che il silver skin può avere più funzioni: oltre a quella del fertilizzante, può esser conferito nella cartiera per creare della carta impura, messa internamente al digestato di una ricetta di bio gas e anche impiegato nella farmaceutica-cosmetica.
Di fronte alle potenziali variabili, abbiamo creato un modulo unico per il trattamento dei sottoprodotti che poi il torrefattore potrà consultare per scegliere quello che potrà essergli più conveniente e all’individuale disposizione del silver skin. Abbiamo cercato di dare diversi consigli per poter trovare una soluzione di economia circolare più interessanti e convenienti. “
Quanto tempo avete dovuto dedicare per la realizzazione del progetto?
“La ricerca ha impiegato circa 4 mesi e ha avuto un riscontro positivo da parte del controllore. L’ultimo incontro è avvenuto con il comandante del NOA (La forestale di Udine) il dottor Claudio Freddi, che si è seduto al tavolo con noi, dandoci delle consulenze e indicazioni. Nei vari conferimenti citiamo la legge che regolamenta un determinata funzione del sottoprodotto. Siamo stati precisi nell’autocertificazione, avvalendoci del parere scientifico di Science Park e della stessa biologa insieme, nella fase finale, alla convalida del consulente esterno.
Presenteremo il modello a metà di luglio durante un’assemblea con il Gruppo, sia online che in presenza.”
L’obiettivo ovviamente è quello di divulgarlo
Continua Zidarich: “È necessario avere a disposizione questo documento perché in questo modo i torrefattori potranno contare su un modello unico che potrà esser visionato senza fare confusione nell’autocertificazione per il controllore.
È stato possibile soltanto oggi concludere questo passaggio nella definizione del silver skin come sottoprodotto, caratterizzato da diverse qualità. Ci siamo potuti muovere per
via legale, stabilendo un regolamento unico. L’idea è di offrirlo gratuitamente a tutti i soci e insieme ad una consulenza a pagamento per chi è al di fuori dal Gruppo. “
Zidarich, quali sono le quantità di silver skin prodotte dai torrefattori? Quanto incidono su queste aziende?
“La quantità di silver skin è l’1,5% del caffè verde che viene trattato. Se si considerano 100mila chili di verde in un anno si conteranno circa 1500 chili di silver skin, che sia esso bricchettato oppure sfuso come segatura. “
Questa è il primo step: state pensando già a come sviluppare il progetto ulteriormente?
“La seconda fase vorrebbe comprendere i fondi del caffè e quindi la creazione di una regolazione per il loro ritiro. Il futuro, secondo me, sarà nell’unificare lo scarto del sottoprodotto silver skin in punti di raccolta unici per ciascuna regione e fare forza insieme. Un cluster sarebbe importante per poter ecologicamente esser più coesi.”
Un ultimo appello da Zidarich:
“Nell’ambito della ricerca, noi torrefattori dobbiamo cercare di condividere più risposte ed esser più esaustivi. Abbiamo bisogno di raccogliere più dati, solamente statistici, per dare un valore al comparto. “
La chimica Laura Magris racconta l’evoluzione del silver skin
“Sono stata contattata a seguito di un incontro avvenuto durante una conferenza in cui ho portato la mia esperienza come esperta ambientale nella valorizzazione dei sottoprodotti nell’industria alimentare. I torrefattori mi hanno chiesto se il silver skin potesse esser trattato come sottoprodotto e non come rifiuto.
Si trattava di analizzare se il processo produttivo del silver skin rispondesse ai requisiti della normativa vigente, D.lGs 152/2006 e DM 264/2016 per rientrare nella categoria del sottoprodotto e non del rifiuto. Fatta un’analisi sulla fattibilità, è stata redatta una linea guida unica per i torrefattori per poter gestire conformemente alla normativa il silver skin come sottoprodotto. Sono state individuate le documentazioni da redigere, le modalità di gestione del sottoprodotto all’interno dell’azienda di fornitura a chi lo acquista.
Il grosso valore è stato quello di mettere questo documento a disposizione di un gruppo industriale, come garanzia per non commettere illeciti, grazie anche al coinvolgimento dei forestali e dall’ente controllore. È stata una bella esperienza di lavoro e un esempio di utilità. Differenziare il silver skin, può portare a dei risparmi notevoli: non si ha più uno scarto, ma un sottoprodotto usato per la produzione di biogas o di fertilizzanti nell’agricoltura.
L’importante è che tutta la gestione si distingua correttamente da quella del rifiuto fino al suo conferimento e che si rispettino gli accordi contrattuali con chi acquista questo prodotto con le giuste modalità e tempistiche di stoccaggio. “
Perché soltanto oggi questa rivoluzione sul silver skin?
“Perché oggi c’è una grossa spinta verso i progetti di sostenibilità. Dove è possibile soddisfare i requisiti normativi, si investe nel riutilizzare alcuni residui delle lavorazioni come sottoprodotti. Ci sono criteri molto specifici da rispettare nel processo produttivo e nel valore economico e per questo, una forte paura è quella di commettere illeciti, affidandosi all’iniziativa dei singoli imprenditori.
Esiste un elenco di sottoprodotti: ci si iscrive alla camera di commercio e si garantisce la trasparenza. Queste analisi del sottoprodotto così come tenere rigorosamente la tracciabilità, consente di dimostrare che il silver skin non è un rifiuto. Per produrre energia o per usarlo come fertilizzante, esistono diverse normative da studiare e si potrebbe estendere anche ai fondi di caffè.
Per parlare degli aspetti economici:
Il silver skin rappresenta l’1,5% del peso del caffè che viene tostato. Su 100 chili, 1,5 sono di silverskin che ora può esser venduto invece che dover pagare per il suo smaltimento e il trasporto. Una grossa torrefazione ha quindi benefici economici di un certo rilievo dal suo riutilizzo. E facendo un bilancio dal punto di vista ambientale, questo processo inserisce l’impresa in una strategia di economia circolare.
Ricordo però che anche l’impatto sull’organizzazione è altrettanto importante: si deve fare formazione e sensibilizzazione sul corretto smaltimento del rifiuto e della gestione del sottoprodotto.”
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