MILANO – Davide Oglietti, docente sala e bar docente presso l’Istituto Paire di Cuneo, non è un novellino quando si parla di Maestri dell’espresso junior: uno di quegli esempi virtuosi che testimoniano l’impegno degli Istituti alberghieri per stimolare i giovani professionisti del domani a mettersi in gioco da subito di fronte alle aziende.
Oglietti, quante volte ha partecipato a Maestri dell’espresso junior e quante volte è arrivato in finale?
“Ho partecipato tre volte e per tre volte siamo arrivati in finale. Come scuola siamo iscritti all’evento dal 2018 e i miei alunni sono stati coinvolti sempre da allora. Abbiamo vinto persino l’edizione pandemica con grande felicità e orgoglio e ci siamo classificati secondi in quest’ultima del 2023. Siccome il settore del beverage mi interessa molto e intriga anche gli studenti, ho deciso personalmente di portare avanti il progetto seguendo le classi del quarto anno.
Quindi il mio impegno c’è, ma voglio sottolineare il fatto che, se davanti non si ha uno studente che assorbe quello che gli stai insegnando, non c’è gara. Diamo merito quindi soprattutto ai ragazzi. I vincitori hanno la maggiorparte del merito. “
Come ha visto evolversi e come si è dovuto adattare ai cambiamenti di questo concorso?
Oglietti: “Partecipo volentieri proprio perché è uno dei pochi concorsi seri a livello nazionale: in Maestri dell’espresso junior il docente e lo studente sono coinvolti a migliorarsi sempre ogni anno. Per questo il premio si è evoluto insieme al mondo del bar: quest’anno ad esempio c’è stato l’ingresso delle bevande vegetali per adattarsi al mercato. Il punto è che non si deve mai stare fermi e loro sono molto bravi a intercettare le ultime tendenze.
Maestri dell’espresso junior mi stuzzica la mente e tira fuori idee nuove anche sulla preparazione. L’utilizzo del macinino on demand per esempio, ci ha colpiti, perché ci siamo sempre allenati con il volumetrico e nella seconda parte ci ha penalizzato leggermente: Giorgia si è trovata in difficoltà e nonostante questo ha mantenuto il sorriso. Tutto questo però ci tornerà utile: loro ci hanno portato davanti questa attrezzatura e
noi ne terremo conto per le prossime edizioni.”
A proposito di attrezzature: è difficile allenarsi non avendo a disposizione macchinari così avanzati?
“È stata un po’ difficile nella prima edizione, poi dopo aver vinto una Cimbali M26 ci siamo migliorati. Certo non è la M200, però ci proviamo. Tanto poi gli studenti che arrivano in finale sono più o meno tutti allo stesso livello.”
Stessa domanda, ma rispetto agli studenti: si sono evoluti in questi anni?
“Condivido le parole del direttore Moreno Faina: il livello delle realizzazioni quest’ultima edizione si è abbassato, ma questo perché i ragazzi arrivavano da un periodo di stop. Bisogna anche considerare il fatto che abbiamo poche ore a disposizione per lavorare sulla pratica, appena 5 a settimana, e fermarsi del tutto è stato ancora peggio. Farli lavorare fuori in locali esterni alla scuola spesso è controproducente, perché non abbiamo il controllo di ciò che imparano in quei contesti.
Chi viene coinvolto nella fase finale del concorso, si ferma con me di pomeriggio per provare insieme anche ad altri ragazzi, oltre le 5 ore legate alla didattica per tutti. Non ci sono alternative se si vuole arrivare preparati alla prova. Noi docenti spingiamo con la dirigenza per partecipare a Maestri dell’espresso junior: siamo 3 docenti di sala con 270 alunni e si deve selezionare tra le tante proposte che arrivano in Istituto.
Vincere è un traguardo che porta nuove attrezzature alla scuola che non avrebbe potuto acquistare altrimenti.”
Tra i docenti si è diffuso l’entusiasmo per lanciarsi in queste sfide o c’è ancora lavoro da fare?
“Da parte mia, sono molto contento di formarmi. Quando organizzano i corsi voglio esser sempre contattato. Ogni insegnante decide di puntare su un settore rispetto ad un altro e a me piace tutto l’ambito beverage, che è legato al caffè.”
Cosa è stato più complesso per lei come docente in questo percorso di lunghi 9 mesi?
“Riuscire a coinvolgere psicologicamente l’alunno senza stressarlo eccessivamente, un po’ come con una corda tirata che non deve esser né rotta né allentata. I ragazzi in un attimo perdono la concentrazione e si agitano. I miei studenti me lo rinfacciano spesso ma per me è un orgoglio: gli metto talmente sotto pressione che arrivano in finale ben preparati.
Sono tranquilli rispetto a qualsiasi interlocutore. Il problem solving è quello che voglio che loro sviluppino maggiormente come competenza, perché ti salva di fronte ad ogni imprevisto.”
Il concorso si evolve anche grazie all’apporto di docenti che come lei, partecipano da tanti anni: che cosa vorrebbe vedere nelle prossime edizioni?
“Innanzitutto ci tengo a sottolineare che mi fa piacere che non soltanto mi chiedano un feedback, ma che anche ascoltino attivamente. Per esempio ho proposto che in un quarto d’ora invece di preparare 6 drink, se ne servano di meno come accade negli altri concorsi. Per il resto mi è piaciuto tutto, anche la presenza di una giuria di giornalisti, non per forza tecnica.”