A Milano si è avviata una caccia senza sosta a cuochi e camerieri per tamponare l’emorragia. Gabriele Cartasegna, direttore del Capac, il politecnico di Confcommercio, afferma: “Capita che un giovane appena formato non accetti un contratto da 63 mila euro lordi”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Giampiero Rossi per Il Corriere della Sera.
La ricerca di personale nei bar e ristoranti di Milano
MILANO – Da una parte la caccia a tutto campo a cuochi e camerieri, dall’altra la grande fuga dai tavoli e dalle cucine. In mezzo un reclutamento a ciclo continuo, per tamponare un’emorragia altrettanto infinita. Il mercato del lavoro della ristorazione milanese funziona così, come una tela di Penelope, che si compone e si disfa da sola. A disegnare questo scenario da mal di mare sono i numeri, i rilevamenti certosini dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della Città metropolitana.
Il contesto è quello della ripresa dopo lo choc della pandemia: complessivamente, sul territorio della Grande Milano gli avviamenti (cioè i nuovi rapporti di lavoro con qualsiasi tipo di contratto e di durata) sono aumentati del 23,8 per cento, passando da 753.755 del 2021 ai 932.885 dello scorso anno.
Ma scorporando da questo conteggio il solo comparto della ristorazione nello stesso arco temporale, si registra un balzo enorme: un aumento degli avviamenti del 60,7 per cento, da 58.325 a 93.742.
Un’impennata ben visibile anche rileggendo la serie storica degli ultimi anni. “Confrontando i dati del passato si coglie una maggiore instabilità — commenta Livio Lo Verso, responsabile dell’Osservatorio sul mercato del lavoro della Città metropolitana —, ma nel tempo anche le strutture sono cambiate, da conduzioni familiari ad aziende”. Resta il fatto che “nemmeno il periodo di Expo 2015 aveva visto una tale pressione sul mercato del lavoro, perché era stato possibile pianificare, mentre la situazione attuale è frutto di una serie di imprevisti che hanno portato all’uscita di personale qualificato“.