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domenica 24 Novembre 2024
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Moreno Faina, parla il direttore, Università del caffè illy: “Il barista non deve dare nulla per scontato”

Faina: “Quando analizziamo il fatturato e il movimento di un’attività osserviamo i ricavi a valore e a volume: sicuramente in termini di quantità di traffico, il caffè gioca un ruolo importante. Suggeriamo ai clienti di riuscire, per ogni persona che ordina un espresso, a proporre una preparazione più elaborata che parte dal caffè ma che prevede l’aggiunta di altri ingredienti: il costo non è tanto più alto per il gestore, ma diventa più elevato quello di vendita e questo permette di alzare la marginalità."

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MILANO – Gestire una caffetteria che possa essere economicamente sostenibile per il titolare e i suoi dipendenti non è un’impresa semplice. Parliamo di un ecosistema che si regge su dinamiche delicate che però possono trovare il giusto equilibrio se supportate dalle competenze e conoscenze necessarie ad un’impresa.

Abbiamo parlato con diversi gestori (qui) e formatori (qui) per fare luce su punti di forza e di debolezza che devono esser considerati dai gestori. Riportiamo di seguito l’intervista al direttore dell’Università del caffè illy, Moreno Faina, che da sempre si occupa di affiancare costruttivamente i baristi nell’essere efficienti e operativi.

Faina, qual è la prima regola che insegnate e che deve sapere chi apre un’attività come un bar?

“Secondo i dati Fipe, se un’impresa arriva a 4 anni di attività è già un buon segno e se addirittura supera i 7 è una garanzia di esser stata impostata correttamente. Innanzitutto quindi bisogna strutturare un piano di sviluppo basato su 4 anni, calcolando prima il budget rispetto alle spese necessarie per avviare l’attività e poi ai costi/ricavi, facendo una previsione del conto economico considerando un incremento progressivo.

In questo settore alimentare solitamente si ha un picco iniziale, seguito da una curva di
stabilizzazione e sono necessari almeno due anni per comprendere se l’attività sta andando bene o meno.

Un articolo che ho letto iniziava così: “il barista non deve dare niente per scontato”; non basta aprire un’attività, ci vogliono tante competenze: creatività e relazioni pubbliche non corrispondono alla capacità di fare bene i conti e far quadrare i calcoli. Il barista deve avere un parametro di riferimento sulla marginalità, sotto il quale non deve mai andare.

Molti imprenditori, quelli piccoli soprattutto, per farsi conoscere, abbassano il prezzo ma così limitano anche il margine operativo e alla lunga questo ha degli effetti negativi sul proprio business. Bisogna aumentare invece il valore del prodotto, “raccontandolo” al cliente, altrimenti il rischio è quello di attirare soltanto un certo tipo di clientela che bada esclusivamente al prezzo.

Se si alzasse il costo medio della consumazione, si potrebbe dialogare con il consumatore e
spingerlo verso la qualità. Il mio consiglio è quello di investire nella comunicazione del valore del prodotto: sarà necessario trovare le parole giuste per farsi capire.”

In questa fase strategia di pianificazione tra spese e costi, la scelta della location quanto incide? Perché se è vero che sceglierla in punti strategici delle città porta clienti, dall’altra alza gli affitti. Come ci si regola?

Faina: “Posso spiegare la location con l’algoritmo a 9 punti, che usiamo per valutare proprio questo aspetto che è un fattore variabile insieme ad altri: location, ambiente, prodotto, servizio, prezzo, staff, clientela, concorrenza e backoffice. Sono questi quindi i 9 aspetti da considerare: con una location particolarmente bella e posizionata in un luogo strategico, si ha più visibilità e l’occasione di avere una maggiore percentuale di clienti, ma avrà un costo maggiore.

L’ambiente è invece è il layout, l’estetica del bar: il più bello tra due locali vicini, attirerà il cliente. Generalmente (nel 90%) le caffetterie rinnovate hanno un incremento del 30% del fatturato, che poi si dovrebbe cercare di mantenere costante.

Prodotto/servizio: a volte nelle location di grande “traffico”, si bada meno alla qualità, perché si recupera sulla quantità. Viceversa i bar più periferici devono puntare sulla qualità del prodotto e del servizio per giustificare il viaggio del cliente sin lì. E qui ci colleghiamo al target di consumatori: è necessario adeguare la propria attività, la propria offerta, alla clientela della zona di riferimento, proponendo anche qualcosa che c’è già sul mercato, facendola meglio.

Lo staff: incide in Italia attorno al 30%, quindi un terzo degli introiti (possono esserci delle variazioni ovviamente). L’imprenditore italiano ha sempre avuto un rapporto un po’ conflittuale con questa voce: oggi c’è un problema tra domanda e offerta e dato che con la stessa paga si hanno minori responsabilità in altri settori, le persone scelgono di fare altro.

Quindi il capitale umano è una voce di costo che non è sempre percepita come un potenziale profitto. Invece è proprio ciò che genera capitale e per questo lavoriamo tanto sulla valorizzazione di questo elemento. Gli imprenditori pensano che l’unica leva che hanno per conquistare i dipendenti sia quella dello stipendio, ma se si mettono a disposizione dei dipendenti dei benefit, allora si ridurranno i conflitti e i problemi nel reperimento e mantenimento delle stesse risorse.

Con il numero giusto di operatori si riesce anche a “turnare”, a fare un lavoro di squadra. E bisogna anche fare una distinzione precisa tra professionisti e operai, offrire il turno fisso, le domeniche distribuite equamente, venendo incontro alle esigenze del lavoratore, riconoscendo il valore che il professionista porta all’azienda.

La concorrenza è un fattore che deve essere considerato uno stimolo e non una minaccia.

La capacità di fare backoffice: i bar che lavorano molto non sempre sono quelli che guadagnano. Non è detto che la mole di lavoro corrisponda al puro profitto: molte volte ciò che si incassa non si traduce in un vero introito, perché manca la capacità di gestire i soldi e di fare investimenti. C’è bisogno di affidarsi ad un commercialista esperto del settore.”

Quant’è la marginalità (cioè il guadagno) che deriva dalla vendita del caffè, al netto dei costi a carico del gestore? Possiamo ancora dire oggi, che il caffè è un prodotto centrale per una caffetteria?

“Quando analizziamo il fatturato e il movimento di un’attività osserviamo i ricavi a valore e a volume: sicuramente in termini di quantità di traffico, il caffè gioca un ruolo importante.

Suggeriamo ai clienti di riuscire, per ogni persona che ordina un espresso, a proporre una preparazione più elaborata che parte dal caffè ma che prevede l’aggiunta di altri ingredienti: il costo non è tanto più alto per il gestore, ma diventa più elevato quello di vendita e questo permette di alzare la marginalità.

Bisogna considerare anche che il mercato è cambiato: i consumatori rimangono più tempo nel bar, scelgono la location strategicamente dal punto di vista logistico e il pubblico ormai è abituato ad armarsi di smartphone per consultare il menù, studiandolo ancora prima di entrare nella caffetteria.

Il menù a disposizione nel telefono è una svolta, incrementa le vendite ed è sempre disponibile anche nei momenti fuori dalla caffetteria. Il costo per il gestore è davvero piccolo, consulenza sulla dimensione digitale.

Per rispondere alle nuove criticità posti dai rincari, abbiamo creato un vademecum per il
contenimento energetico così da aiutare i gestori dei pubblici esercizi a trovare delle soluzioni di vario tipo e abbiamo ragionato su un efficientamento energetico, con dei consigli pratici: non riempire troppo il frigo, se si hanno due lavapiatti tenerne una chiusa, fino a tot ore tenere accesa o spenta la macchina del caffè per consumare di meno e fare attenzione agli sprechi, al riciclo e alla sostenibilità. I consumatori sono interessati a conoscere che sono stati applicati questi accorgimenti e questo aumenta il valore percepito di un’attività rispetto ad un’altra.”

Quindi quali sarebbero le quantità ideali al giorno necessarie per fare margine dal caffè, partendo da un ipotetico prezzo di 1.20?

“E’ un conto complesso: considerando soltanto il caffè è molto difficile fare sufficiente margine per sostenere il business ma con le vendite aggiuntive, il volume di affari aumenta di parecchio.

Il caffè resta il principale attrattore. Bisognerebbe calcolare la percentuale includendo il cappuccino e le nuove bevande vegetali. Il segreto è la diversificazione e il fatto di coprire tutte le necessità anche nell’allestimento: dai tavolini ai divanetti fino alla zona all’esterno del locale.

Il consumatore vuole poter ordinare e fruire come vuole, anche con il take away e con il servizio di delivery. L’importante è tenere sotto controllo i numeri e darsi degli obiettivi misurabili e specifici. Non possiamo proporre una formula standard valida per tutti.”

Dal confronto con molti gestori, la fase della giornata in cui si ottengono più entrate è l’aperitivo e non la colazione: è così?

“Non sempre alcol e caffè vanno a braccetto: possono esserci dei locali in cui il caffè è protagonista e l’alcol è marginale, ma in ogni caso appartengono generalmente a due momenti diversi.

Una colazione alternativa funziona ancora. Ci sono dei clienti che hanno “perso” la pausa pranzo, ma hanno inserito proposte salate sin dalla mattina, appena aperti, per cui il cliente acquista già in anticipo ciò che consumerà più tardi. Non ho riscontrato quindi un calo nella colazione, anzi, ho notato degli incrementi: grazie alla capacità di alcuni operatori di implementare l’offerta intercettando nuovi bisogni, migliorando nella crescita di volumi.

D’altra parte sì, l’alcolico di qualità e ben definito ha conosciuto un aumento: il centro si è svuotato a favore della periferia che diventa più district coffee shop, un locale che copre tutto, e diventa punto di riferimento. Un bar che funziona è molto segmentato identificandosi nello specifico magari nell’alcolico (con maggiori volumi). Tutti i segmenti però hanno buone possibilità, c’è spazio per la creatività.

La colazione è assolutamente una fase con molto potenziale, dove sta la costanza nel servizio e nella qualità del prodotto: il lavoro non manca. Nel bar ora però devi trovare tutto: se ci si trova bene in un posto, si va per la colazione o per l’aperitivo. La fidelizzazione però necessita di molta professionalità.”

Faina, la forma del comodato d’uso è molto diffusa in tutta Italia: quali sono i reali vantaggi (se ancora ce ne sono) che spingono ancora oggi molti gestori ad affidarsi quasi completamente ai torrefattori, per attrezzature e materia prima venduta (al prezzo maggiorato per loro)

“Sicuramente il comodato d’uso è una formula per aiutare gli operatori non soltanto a sostenere dei costi finanziari importanti, ma anche attraverso la consulenza. Per illy è fondamentale: un conto è esser un puro fornitore, un altro è essere considerato partner. Avere le macchine di proprietà certo garantisce un maggior grado di libertà, ma anche una serie di responsabilità per far quadrare i conti. Molti gestori si mettono in proprio pensando che il salto sia semplice ma pochi riescono davvero ad avere successo.

Oggi ci sono anche opzioni differenti, come noleggiare le attrezzature e il dehors, pagando un importo fisso senza esser dipendenti da un’azienda specifica. Le possibilità esistono, ma bisogna cercarle.

Il concetto base è che non basta pensare al comodato come valore in sé. Se a fronte di questo non si perseguirà un margine su base quadriennale, finito il contratto di comodato (che non è gratuito) ci si ritroverà di nuovo daccapo. Il comodato aiuta per sei mesi, un anno, ma senza un concreto piano di sviluppo non si potrà crescere. E in questo senso, tagliare soltanto i costi alla lunga non porterà a reali benefici. Il consiglio è quindi quello di incrementare i ricavi e migliorare la marginalità tenendo conto delle spese fisse.”

Quanto è importante la gestione del magazzino per tenere d’occhio le vendite?

Faina: “La gestione del magazzino è complessa: c’è il principio di Pareto 20/80, una legge statistica che mette in rapporto i numeri dei risultati. Il 20% degli articoli a menù fanno l’80% del fatturato. Il 20% degli articoli del magazzino ruotano più degli altri. Ci sono articoli best seller che si possono stoccare in maggiori quantità e degli altri che ruotano meno e devono esser acquistati in minor misura. Il magazzino è capitale fermo e se è tenuto bene, gestito correttamente nelle scorte, rappresenta un profitto.”

Quali sono quindi i punti da monitorare? E quali quelli su cui investire di più?

“Un esempio sono le bevande vegetali, che vengono vendute con un costo maggiore al pubblico (20/30 centesimi in più) e possono rappresentare un prodotto per cui il cliente sceglie di venire nel tuo locale. Abbiamo studiato molte preparazioni con degli ingredienti aggiunti che fanno alzare il valore dello scontrino, da servire come carta di degustazione o ricetta del mese. Correttamente presentati con uno storytelling digitale, si può puntare sul free (lattosio, glutine, zucchero) attirano di più.”

Faina, il bar di oggi, ma soprattutto del futuro, come deve evolversi per poter continuare a rappresentare una fonte economica interessante? Gli specialty, per esempio, sono o non sono, una possibilità per guadagnare di più sul caffè?

“Il mercato ora è cambiato, c’è stata una pulizia delle imprese improvvisate che “inquinavano” il mercato. Si devono gestire gli spazi in maniera precisa, cogliendo la sensibilità delle persone che vogliono una normalità diversa da prima: il buffet ad esempio fa impressione, la soluzione potrebbe essere la monodose. La qualità delle relazioni, sentirsi riconosciuti e chiamati per nome, fidelizza il cliente.

Ampliare anche le proposte e stimolare la curiosità è importante, così come lo sviluppo dell’interazione digitale da non affidare a terzi che magari neppure lavorano dietro al bancone: una web agency, può aiutare con un minimo investimento a impostare una strategia efficace.

Anche la possibilità di contare sugli spazi fuori, dei dehors, è una conquista da cui non si può tornare indietro, anche se verrà ridotta. Avremo sempre più un avanzamento anche dal punto di vista tecnologico, anche per quanto riguarda i pagamenti, sempre meno svolti fisicamente in cassa.”

E il bar del futuro dovrà sempre essere aperto, o è più sensato, conveniente restare chiusi nelle fasce orarie in cui non entrano clienti?

“Potenzialmente il pubblico esercizio deve restare a disposizione in un’ampia fascia oraria: se si chiude alle 20.00, bisogna esser aperti sino alle 19.59. Piuttosto che restare chiusi in certi momenti della giornata, bisognerebbe cercare di comprendere perché quelle fasi registrano un calo del flusso.

Sarei più propenso alla ripresa della chiusura settimanale che dà una vera svolta. Restando tutti i giorni aperti si ha bisogno di almeno 8 persone in più, con un “turnaggio” continuo. Fermarsi una giornata permette di posizionare alla macchina una persona diversa, rappresenta una riduzione di costi, il cliente andrà altrove quel giorno ma non si deve aver paura: si è forti della propria offerta a tal punto che non verrà persa la clientela, con uno staff che verrà gestito meglio. “

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