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domenica 24 Novembre 2024
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Sua Maestà Scimone accoglie i professionisti del food nella sua His Majesty: la microroastery di specialty non è soltanto di nicchia

Ad accogliere il gruppo ancora a digiuno di molto di ciò che sta dietro una tazzina di espresso, Paolo Scimone, che subito fa gli onori di casa per l’evento Meet the CoffeeQueen

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VILLASANTA (Monza-Brianza) – Nel reame di His Majesty, due foodblogger, un finalista di masterchef, un pasticcere si sono riuniti grazie allo zampino di Coffeeandlucas, che ormai è abituato a far incontrare mondi lontani ancora dal caffè, con la dimensione specialty. Ad accogliere il gruppo a digiuno di molto di ciò che sta dietro una tazzina di espresso, Paolo Scimone, che subito fa gli onori di casa per l’evento Meet the CoffeeQueen.

Che si trovano per l’appunto già all’ingresso: la tostatrice Giesen da 15 chili, Queen Elisabeth e la più piccola da 600 grammi, Queen Tedolinda, sono soltanto un primo assaggio di quello che attende Carmen Rose, Lorenzo Pozzi, Tirmagno e Antonio Colasanto (finalista Masterchef Italia 10).

La Queen Teodolinda
Scimone vicino alla sua Queen Elisabeth @coffeeandlucas @myMediaStudio

Gli scatti fotografici di Coffeeandlucas immortalano le espressioni di questo pubblico estraneo alla community, intanto che Scimone li introduce al concetto di specialty coffee.

Si inizia la lezione sugli specialty @coffeeandlucas @myMediaStudio

Caffè dal punteggio Sca che va dagli 80 punti in su, tracciabili, senza difetti: a scendere, i prodotti più commerciali che si trovano nei supermercati e infine i low grade, che spesso possono esser acquistati nei discount.

Si procede a parlare di verde, anzi, ad osservarlo direttamente all’interno di quel delicatissimo micro ecosistema che si conserva all’interno della stanza dedicata allo stoccaggio: il parametro da governare resta l’umidità, che deve essere mantenuta tra i 55 e i 70, intorno ai 14 gradi, per garantire una maggiore costanza e freschezza del prodotto.

Dentro la camera di stoccaggio @coffeeandlucas @myMediaStudio

“I chicchi verdi arrivano in sacchi di juta oppure all’interno del grain pro, un sacco in plastica particolare riposto dentro lo juta, in grado di proteggere ulteriormente dall’influenza di elementi esterni il chicco stesso”.

Nel classico sacco di juta, il grano invecchia in 3-4 mesi, mentre in quello di plastica, può durare sino ad un anno circa.

“Eccezion fatta per i caffè per veri coffee nerd, da gara, che stanno conservati per anni dentro il freezer” racconta Paolo Scimone con gli occhi illuminati mentre mostra da un cassetto, il sottovuoto di un Geisha da 400 euro al chilo.

Si addentrano i visitatori.

Di fronte ai loro occhi ecco la sfilata cromatica e aromatica delle diverse origini: uno specialty brasiliano dal Cerrado, un Kenya più fruttato, e poi alcuni caffè che Scimone chiama “funky”: un colombiano soggetto a fermentazioni particolari e uno che sprigiona sentori di frutta tropicale. Per chiudere, un etiope lavato.

“Infilate proprio tutta la faccia” si sente dire da Paolo Scimone e tutti a riconoscere alcuni sentori, quello di pomodoro sopra tutti.

Ovviamente esporre all’aria il verde troppo spesso, ne determina il degradamento: “Per questo noi quando dobbiamo tostare, cerchiamo di mantenere immutato il più possibile il microclima interno ai sacchi e sproporzioniamo il caffè in box da 10 che utilizzeremo per la cottura ogni volta”. La sala del tostato è un luogo più semplice, dove il caffè è già stato sottoposto alla trasformazione “E resterà qua dentro al massimo 24 ore”.

Nella stanza del tostato @coffeeandlucas @myMediaStudio

Una pausa caffè vera e propria con l’espresso His Majesty

Antonio assaggia l’espresso @coffeeandlucas @myMediaStudio

Servita da Scimone la miscela specialty Modoetia – ispirata alla sua città natale Monza – e pronte all’uso una Faema E71, una superautomatica Cimbali E630 – Scimone si sbilancia definendola come il futuro delle macchine per espresso – e i macinini Faema Elective, un Niche single dose e un Mahlkönig Ek30. Messi alla prova i visitatori, in tazza trovano dei caffè estratti correttamente e altri preparati senza aver effettuato la corretta pulitura del filtro. La maggiorparte riconosce la differenza.

Carmen Rose in azione @coffeeandlucas @myMediaStudio

Dopo questo antipasto, il passo successivo è il cupping: per gli ospiti una vera e propria novità che però affrontano accompagnati passo dopo passo da Scimone.

Il rituale: annusare da sinistra a destra il macinato, acqua attorno ai 93 gradi per una ratio di 55grammi di caffè per litro, 5 tazze di caffè con i naturali in fondo. Dopo 4 minuti si rompe la crosta (tre movimenti in avanti armati di cucchiaio per poter percepire meglio gli aromi) e conclusi i 10 minuti totali, si passa all’assaggio: un Brasile, un Kenya, un Colombia fermentato, un Etiopia e infine un altro Colombiano.

Tutti in gioco come torrefattori da His Majesty

Sì, perché dopo aver preso confidenza con la bevanda ci si immedesima totalmente nei panni del padrone di casa e del suo assistente Domenico: qua si tosta un Guatemala Geisha, per poi impacchettarlo e portarselo a casa.

Ognuno dei partecipanti ricopre un ruolo: chi riversa i chicchi in cima, chi li fa scaricare nel tamburo, chi tiene d’occhio le variabili nel software Artisan, e infine c’è anche chi ascolta i chicchi scoppiettare nel primo crack.

Elementi da monitorare: altezza della fiamma, l’aria aspirata dal camino, quantità di giri al minuto del forno.

Il controllo del crack @coffeeandlucas @myMediaStudio

Si parte con il gas al 50% che presto sale di 20 in 20 durante la prima fase di asciugatura del chicco, fin quando non si innesca la reazione di Maillard: sul tavolo vengono disposti i chicchi durante il processo di cottura, da verde sino a scuro (ma mai bruciato).

Varie fasi di tostatura

La Giesen fa il suo dovere, macchina manuale assistita soltanto da un software che si limita ad obbedire agli ordini e non comanda la curva di tostatura autonomamente. Queen Elisabeth restituisce il caffè nel letto di raffreddamento, da dove l’aria viene aspirata da sotto attraverso il camino: raggiunti i 196 gradi ora i chicchi si assesteranno sui 30 gradi per poi scivolare in un bidone ed essere messi nel sacchetto.

Lorenzo avvia la fase di raffreddamento @coffeeandlucas @myMediaStudio

Domenico si occupa di istruire i visitatori per insegnare l’arte del packaging (le mani fuori dalla bustina, 250 grammi e anche qualcosina in più sulla bilancia, chiusura del nastro e via a sigillare il tutto con una pressa a pedale).

La cura del torrefattore scatta anche in questo caso: Scimone si premura di restituire all’uso domestico il suo caffè, adattandosi alle esigenze dei suoi clienti. Macinato per moka, per French Press, addirittura sbucano fuori delle capsule – sono in tanti ad avere una macchinetta Nespresso a casa – e anche, ovviamente, i grani.

Un’operazione che Scimone fa due volte alla settimana, tostando il lunedì e il mercoledì

His Majesty Paolo Scimone con Coffeeandlucas

Scimone commenta questo evento: “E’ stato molto bello coinvolgere persone che parlano alla gente comune, i cosiddetti final consumers. E’ utile continuare a promuovere questo tipo di attività, relazionandosi con chi non si rivolge soltanto al nostro mondo ristretto. Sicuramente un’esperienza che andrebbe replicata e che ripeteremo ancora. Abbiamo scelto stavolta di far entrare nel mondo della micro roastery quello del food, che oggi è sempre più attraente rispetto al cliente finale e per questo crea un importante seguito.”

Coffeeandlucas aggiunge: “È dal 2016 che lavoro nel caffè cercando di portarlo a contatto con altri mondi. Personalmente non mi interessa rimanere solo nella nicchia e “suonare e cantarmela da solo”. Il mio obiettivo (e ciò che mi stimola) è sempre stato un altro. I caffè di Paolo parlano per lui. Inoltre la sua visione e il suo modo di intendere il lavoro nel caffè sono molto affini al mio.

Per questo motivo appena gli ho proposto questo evento “Meet the CoffeeQueen” mi ha subito detto di sì. Anche le attività che abbiamo fatto svolgere ai partecipanti sono state pensate per farli divertire e coinvolgere allo stesso tempo: in tal senso non essere legato solo al caffè mi ha aiutato a capire quali potessero essere le chiavi più divertenti per stimolarli!”.

E così, con il caffè tostato a proprio nome nella dimensione reale di His Majesty, si conclude l’esplorazione di un mondo che cammina parallelo a quello del food, senza incontrarsi quasi mai: ebbene, questo momento di scambio e contaminazione, si è svolto con successo. Lo si vede dai volti soddisfatti – e catturati subito dalle camere sui social – di chi si è voluto mettere in gioco per una mattina che profuma di specialty.

La versione per i social @coffeeandlucas @myMediaStudio

La sintesi di tutto questo, nel post Instagram:

 

 

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