L’ACQUILA – Gentile come sempre, il signor Mario Maccarone, e di buon umore, mentre prepara il caffè e chiacchiera con il cliente. Da decenni il signor Mario gestisce il bar Gran Sasso, sul corso stretto dell’Aquila. Un bar storico della città, inaugurato nel lontano 1955.
Il suo bar Mario lo aveva chiuso solo a seguito del terremoto, imprigionato com’era nella zona rossa. Ma poi nel luglio del 2010 con tenacia ed orgoglio, e con tante pacche sulle spalle e complimenti da parte della classe politica tutta, il suo bar lo aveva riaperto, anche per dimostrare che il centro storico terremotato poteva tornare a vivere, e che prima di ogni cosa l’importante era resistere e rimboccarsi le maniche.
Sono passati due anni. Oggi fuori la porta è appeso un cartello vendesi.
Il 31 dicembre il bar Gran Sasso chiuderà questa volta per sempre, e quello che assaggiamo sarà uno degli suoi ultimi ottimi caffè.
Un destino che incombe su tante altre attività che hanno riaperto in centro storico. La città terremotata è esplosa nelle periferie, le nuove agorà sono i centri commerciali, il corso stretto una volta brulicante di varia umanità, è quasi sempre un deserto, un vuoto presidiato da surreali camionette dei militari.
E a questo si aggiungono le tasse sempre più soffocanti, l’aumento dei costi di gestione, le tasche sempre più vuote degli aquilani come di tutti gli italiani.
Ed anche una comprensibile voglia di gettare la spugna.