MILANO – La pianta del caffè (specialmente del genere arabica) è molto sensibile alle variazioni e alterazioni climatiche, che si sono accentuate, negli ultimi decenni, per effetto degli sconvolgimenti indotti dalle attività umane. Alcuni studi sostengono che le aree consone alla coltura del caffè potrebbero addirittura dimezzarsi di qui al 2050.
Uno degli scenari più temuti sin d’ora è quello del verificarsi di eventi climatici negativi simultanei in diverse regioni di produzione, passibili di causare uno shock sistemici nell’approvvigionamento del caffè.
Un nuovo studio australiano, pubblicato sulla rivista Plos Climate, si è proposto di valutare l’impatto dei fattori climatici, anche in funzione di possibili strategie di adattamento e riduzione del rischio.
Gli studiosi della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) Oceans & Atmosphere di Hobart, in Tasmania, guidati dal dottor Doug Richardson, hanno analizzato i 12 fattori climatici che hanno inciso maggiormente sulla produzione di caffè nei 12 principali paesi produttori mondiali. Il tutto, tra il 1980 e il 2020.
Tra i fattori più influenti, i ricercatori hanno studiato il superamento delle temperature massime giornaliere che le colture possono tollerare. E le precipitazioni medie annuali caratteristiche di una determinata area.
Lo studio ha accertato un intensificarsi della frequenza degli eventi climatici negativi simultanei e su larga scala. E il crescere del loro impatto in tutte le regioni considerate.
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