L’amaro è una delle caratteristiche principali e più amate del caffè. La sensazione di amarezza provocata dal sapore è di certo apprezzata entro una determinata soglia, ma diviene sgradevole se l’intensità è elevata. Un caffè di alta qualità dovrebbe essere caratterizzato da un equilibrato rapporto acidità e amaro, oltre ad una piena fragranza aromatica. Per saperne di più, leggiamo di seguito l’approfondimento pubblicato sul portale Special Coffee.
L’amaro del caffè
Fra le sensazioni gustative fondamentali, l’amaro è il gusto predominante nei chicchi di caffè tostati. È la caratteristica sensoriale peculiare del caffè, il suo gusto tipico, la sua firma. Ma come nasce l’amaro del caffè? E perché ci piace così tanto, nel caffè, un gusto che dovrebbe risultare spiacevole?
Partiamo dalla fine, cioè dalla tazzina, cercando di capire quello che succede nella nostra bocca quando beviamo il caffè e percepiamo il gusto amaro.
Prima di tutto sfatiamo un luogo comune che riguarda la percezione del gusto: la cosiddetta “mappa della lingua”.
La consuetudine di raffigurare la lingua divisa in quattro aree precise, dove la sensibilità dei quattro gusti fondamentali è più marcata (il sapore dolce sulla punta della lingua, l’acido e il salato nelle zone laterali e l’amaro nella parte terminale) è ormai superata.
In realtà nelle papille gustative non esiste una sensibilità indirizzata ad un unico sapore, ma siamo capaci di percepire i gusti fondamentali su tutta la superficie della lingua perché le fibre che compongono le singole papille sono reattive verso stimoli molto differenziati e in maniera poliedrica.
La cosa che cambia è la sensibilità nelle varie zone ai diversi gusti.
Cos’è l’amaro?
L’amaro è il più complesso tra i gusti, stimolato da una vasta classe di composti chimici. Nell’influenza reciproca con gli altri sapori, è mascherato dal gusto dolce e rinforzato dal salato e dall’acido.
La sensibilità all’amaro è maggiormente percepibile rispetto agli altri sapori primari ed è oltretutto contraddistinta da una persistenza pronunciata.
È spesso avvertita come spiacevole, presumibilmente perché molte sostanze naturali tossiche hanno un gusto amaro e quindi, a livello evolutivo, è il gusto che ci allerta in caso di ingestione di sostanze potenzialmente pericolose per il nostro organismo.
Come mai allora l’amaro del caffè è irresistibile? Come potremmo immaginare un caffè senza l’amaro?
È un dato di fatto che la percezione dei gusti si evolve con la crescita e che un particolare sapore è via via più apprezzabile man mano che entriamo in contatto con esso.
I meccanismi alla base di questi cambiamenti però non sono affatto semplici. Nel caso del caffè vi sono delle ragioni fisiologiche legate principalmente alla caffeina.
Proprio la caffeina è alla base del meccanismo chiamato “flavor-consequence learning”. Questo meccanismo ci spiega perché gli effetti derivanti dal consumo di un alimento (nel caso del caffè l’energia data dalla caffeina) vengono associati al suo sapore che, anche se non gradevole, finisce per essere apprezzato.
Abbiamo quindi sviluppato delle modalità per farci piacere i cibi che, in qualche maniera, ci danno dei benefici. Abbiamo imparato ad associare la caffeina ad effetti positivi di stimolazione e benessere, e queste risposte dell’organismo ci rendono ancora più recettivi al suo caratteristico aroma.
Perché il caffè è amaro?
Anche se la maggior parte dei sentori aromatici del caffè si sviluppano durante la tostatura, anche la tipologia di caffè utilizzato, le origini e la miscela influiscono sull’amarezza.
Il caffè verde contiene per sua natura dei composti chimici che hanno un gusto amaro pronunciato, come la caffeina e gli acidi clorogenici, ed altri che lo sviluppano in seguito alla tostatura.
Basta pensare che il contenuto medio di caffeina è nell’Arabica dell’1,2% e nella Canephora del 2,4%. E che, se l’appellativo Robusta indica la sua capacità di adattamento e resistenza ai climi secchi e agli attacchi di malattie e parassiti, tale capacità è dovuta proprio alla sua alta percentuale di caffeina che funge da antiparassitario naturale.
Se però proviamo un infuso di caffè verde, scopriamo che il gusto c’entra poco con quello che siamo soliti associare ad una tazza di caffè.
La tostatura
La tostatura è il processo di trasferimento di calore al chicco che innesca centinaia di reazioni chimiche tra cui quelle più importanti sono le reazioni di Maillard e di caramelizzazione.
Durante il processo di tostatura, la composizione chimica del chicco si trasforma completamente soprattutto con la creazione di migliaia di nuovi composti aromatici volatili.
La percentuale di caffeina rimane invece inalterata, mentre gli acidi clorogenici si modificano producendo numerosi sottoprodotti che rimangono di gusto amaro.
Con la reazione di Maillard, attraverso la reazione chimica tra proteine e zuccheri, si generano le melanoidine, un’altra classe di composti chimici responsabili del gusto amaro del caffè.
Infine gli stessi zuccheri, in seguito alla caramellizzazione, tendono a diventare amari se la tostatura è troppo spinta.
L’intensità dell’amaro percepibile in un caffè è quindi il risultato di diversi fattori, ciascuno dei quali ha un peso variabile in funzione della tostatura.
Come regola generale del processo di cottura del chicco, l’aumento del grado di tostatura porta a diminuire l’acidità e aumentare l’amaro.
Il colore del chicco può essere allora il primo indicatore che possiamo interpretare: più scuro è, maggiore sarà il grado di tostatura e più intenso sarà il gusto amaro nella bevanda.
Sebbene la tostatura rappresenti l’elemento chiave nella determinazione dell’amarezza nel caffè, anche preparazione ed estrazione fanno la loro parte.
Se la macinatura è troppo stretta, la superficie di contatto acqua/caffè aumenta e di conseguenza aumenta la capacità estrattiva dei composti amari contenuti nel caffè tostato.
Lo stesso risultato si ha quando la temperatura dell’acqua è troppo alta.
Infine c’è da considerare il tempo di estrazione: quando la percolazione è troppo lunga (sovra estrazione) si evidenzia un tenore di amaro intenso e sgradevole poiché l’acqua inizia ad estrarre composti chimici che diminuiscono l’equilibrio gustativo della bevanda e rendono il caffè sbilanciato sull’amaro.
E lo zucchero?
Non possiamo non fare cenno al fatto che molti di noi preferiscono il caffè amaro, mentre altri sentono la necessità di mitigare questo gusto aggiungendo lo zucchero.
Spiegare queste differenze con “è una questione di gusti” è riduttivo: è noto da tempo infatti che esistono delle differenze individuali nella sensibilità gustativa, e queste differenze sono particolarmente evidenti nella popolazione per l’amaro e il dolce, meno per il salato e l’acido.
La genetica del gusto spiega in parte queste differenze. A determinare la predilezione per la bevanda amara non sarebbe quindi il palato quanto piuttosto una variante genetica correlata alla capacità di metabolizzare la caffeina, che si ritrova anche nelle persone che scelgono il cioccolato fondente rispetto a quello al latte e il tè liscio rispetto a quello zuccherato.
In conclusione
La sensazione di amarezza provocata dal sapore amaro è apprezzata entro una determinata soglia, ma diviene sgradevole se l’intensità è elevata.
Un caffè di alta qualità è caratterizzato da un equilibrato rapporto acidità e amaro, oltre ad una piena fragranza aromatica.
E solo l’esperienza del torrefattore sa sviluppare profili di tostatura che esaltano la dolcezza naturale dei caffè ed evidenziano una nota acida, evitando un eccessivo sviluppo dei composti amari. Con l’obiettivo dichiarato di ottenere la tazza perfetta.