MILANO – Hubert Peri trainer e creatore del curriculum educativo in collaborazione con l’azienda Digital Coffee Future, ha alle spalle una solida esperienza a contatto con le origini del chicco: partito nel 2007 in Messico, ha lavorato per dieci anni per il fondo de investimento sociale Root Capital portando avanti progetti di formazione, assistenza e supporto alle cooperative nel commercio equo solidale e biologico.
In seguito, e consulente per C.O.S.A, CLAC/FLO, ILO e UNDP e ha toccato con mano diverse materie prime, dal caffè al cacao, sempre interagendo con piccoli produttori, in particolare di specialty. Si è specializzato nella digitalizzazione dei dati relativi alle farm, infocandosi a paesaggi sostenibili
Fondatore della startup TheFarmerbox, ha potuto sostenere cooperative e imprese proprio sul tema di ottimizzare i sistemi digitali dalla casa dei produttori, cooperative e finalmente alleati pubblico-privati della catena di valore, realizzando portali multi-attore integrati trasformare dati in decisioni collettive e impatto condiviso.
Il suo operato è stato riconosciuto nel 2022 guadagnandosi il titolo di ambasciatore della digitalizzazione in agricoltura in Messico da parte del IICA.
Peri, cosa ha trovato in origine a contatto con i farmer?
“Innanzitutto, ho trovato e capito gli sforzi che ci sono dietro alle cose basiche che ci accompagnano ogni giorno, e l’importanza di queste per milioni di famiglie. Parlando di organizzazioni, di solito si parla più dell’aspetto commerciale, dell’accesso ai finanziamenti e dell’aiuto necessario per portare avanti la produzione.
Eppure, la difficoltà che si presenta più frequentemente tra i piccoli coltivatori con a disposizione risorse limitate e poco capitalizzate, è la limitata quantità di persone che ogni giorno mandano avanti il negozio e le loro famiglie, l’alto cambio del personale, e la molteplicità di sfide che ogni giorno si presentano.
Le soluzioni a molte delle loro problematiche esistono, ma molte non sono conosciute: i produttori spesso sono molto isolati, c’è poco dialogo e scambio di esperienze tra diversi professionisti. La crescita e sviluppo il più delle volte non sono lineari: per esempio, può accadere che all’interno di un’organizzazione per cui abbiamo adottato determinati sistemi, il manager se ne vada improvvisamente e quindi si debba ripartire da zero. O che arrivi una nuova piaga agricola, o che il prezzo del caffe di colpo cade o vada alle stelle.
In tutti i casi la formazione è la vera chiave di svolta
Possiamo condividere con i produttori le tecnologie, i finanziamenti, dei sistemi avanzati, ma se manca il know-how necessario per progredire, è tutto inutile. I coltivatori hanno bisogno di esser guidati con un percorso studiato e cucito ad hoc sulle necessità che ciascuno di loro presenta. E questo spesso è proprio l’aspetto più difficile da rispettare.
Hanno bisogno di una diagnosi e di un’analisi specifica per comprendere innanzitutto dove intervenire efficacemente e a cosa dare la priorità per poi strutturare una strategia che sia alla portata delle loro risorse.
Peri: Offro dei sistemi che aiutano ad ottimizzare il loro operato anche dal punto di vista produttivo
In Perù ho realizzato una piattaforma che permette di raccogliere i risultati di tutte le analisi svolte sul terreno che poi vengono inviati direttamente ai laboratori, che a loro volta restituiscono le informazioni registrate, tuttavia ancora difficili da interpretare. Proprio a tal proposito questo sistema nasce per agire online automaticamente e spiegare di cosa ha bisogno il cliente: l’agronomo in questo modo può basarsi su questa lettura per impostare il piano di lavoro. Posso dire di aver creato una sorta di calcolatrice simile ad altre applicazioni usate per il controllo di qualità del cacao in Perù, in attivo già ormai da tre anni.”
È facile avvicinare i farmer a queste nuove tecnologie?
Peri: “Su questo aspetto, le cooperative di produttori giocano un ruolo fondamentale. Nel mercato sono disponibili molte tecnologie, che però non è detto che funzionino in America Latina, in quanto sono spesso dei contesti diversi rispetto ad altre zone – ad esempio l’Africa – in cui invece hanno una loro efficienza. In America Latina attualmente la tecnologia non è ancora in mano del produttore finale, ma ad esempio dei tecnici della cooperativa, attraverso cui si digitalizzano i dati e si attua un piano di miglioramento da proporre al produttore.
C’è sempre un processo che valida la qualità dell’informazione che poi aiuta a definire strategie e azioni che i contadini possono in seguito adottare. E devono essere semplici.
In Messico, il Ministero di Bienestar e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) hanno creato una piattaforma per osservare come i coltivatori potessero accedere alle informazioni. Per questo progetto ho sviluppato uno spazio connesso tramite whatsApp: ci ha sorpreso perché ha raccolto molti users e il contadino non ha bisogno di intermediari. Funziona un po’ come il classico passaparola, messaggiando direttamente con altri produttori.
Resta comunque il fatto che il mercato, pur offrendo ai produttori queste tecnologie, avrebbe bisogno di un altro passaggio chiave per un’evoluzione completa, ovvero la validazione di questi dati. Personalmente mi occupo di effettuare controlli sul campo per garantire le certificazioni e in questo modo possiamo verificare che i tecnici vadano effettivamente nelle farm, se per esempio il telefono è georeferenziato. Così c’è anche la possibilità di digitalizzare immagini e di condurre l’analisi e la validazione per i raccoglitori di dati che si recano nelle piantagioni per un’ispezione esterna. Così si suppone che i dati raccolti siano corretti e attendibili.
Credo dunque che i coltivatori siano aperti alla digitalizzazione, ma che in questa transizione entrino in gioco anche degli aspetti culturali importanti da considerare. Se parliamo di tecnologia in termini di Fintech e tramite telefono, possiamo doverci confrontare con Paesi in cui i produttori sono fiduciosi e altri in cui sono diffidenti.
Dipende da molti fattori: in alcuni paesi per esempio dell’Africa, le lunghe distanze da coprire possono rappresentare il rischio di esser derubati, oppure al contrario in Kenya ci sono più operatori telefonici e la gente già usa questi sistemi e così le applicazioni finanziarie non creano problemi. Diversamente un altro esempio è il Messico o centro america, dove il produttore preferisce vedere i soldi cartacei.
In linea di massima posso affermare che comunque stiamo assistendo a una sempre maggiore apertura e curiosità verso queste innovazioni.
Torno a citare l’uso di whatsApp: molti produttori hanno parenti emigrati negli Stati Uniti e che hanno fatto loro conoscere questo strumento. Dopo il Covid poi si è tutti più connessi e questo è diventato reale anche nelle zone rurali, dove si è creata un’infrastruttura che sta facilitando tutto il processo di digitalizzazione.
Altro fattore da monitorare: l’età anagrafica, che fa la differenza. La maggioranza dei farmer si trova in un’età avanzata e i giovani stanno abbandonando sempre più i campi. Una delle grandi sfide quindi è trovare il modo di attrarre le nuove generazioni nei Paesi di origine, anche perché sono proprio loro ad esser più predisposti all’uso di nuove tecnologie e bisogna considerare anche la loro aspettativa verso queste innovazioni. Parliamo di luoghi in cui magari si trova un solo telefono a disposizione di tutta la casa.”
Peri, ha quindi delle idee per attrarre queste nuove generazioni?
“Un tema su cui lavorare innanzitutto è anche la legislazione di ciascun Paese in cui si agisce. Molte volte ciò che limita i giovani a restare è proprio questo aspetto. Per esempio in certi paesi, il lavoro minorile è considerato fino ai 18 anni, pertanto prima di questa età non è possibile venire impiegati nei campi. Tuttavia, una volta maggiorenni, i ragazzi vogliono andare a sperimentare altro.
L’altro discorso è legato all’entità del guadagno per i produttori. Si dovrebbe rivedere il prospetto economico e di impatto dietro queste aziende. È ancora molto diffuso cadere per necessita nel modello della monocoltura o mononegozio, che però li rende molto più vulnerabili e dipendenti al mercato e ai cambi climatici.
Si dovrebbe rivedere quindi il sistema dell’agricoltura come un’attività familiare, considerando anche il costo in sé del lavoro svolto e gestendo un’impresa diversificata, magari offrendo altri servizi. Proprio su questi aspetti attualmente sto offrendo la mia consulenza al Banco d’Intesa Italo americano, per ridurre il fenomeno delle emigrazioni e della deforestazione. Ci siamo posti l’obiettivo di creare nuovi posti di lavoro e nuove figure professionali. Ad esempio, per svolgere il monitoraggio del campo, è necessario non solo il profilo dell’agronomo, ma anche quello del censore, e di persone che controllino le condizioni di vita e di lavoro dei farmer. Questa può essere un’opportunità per attrarre i giovani.”
La digitalizzazione aiuta a migliorare le condizioni economiche dei coltivatori, e la questione del prezzo?
“Li aiuta indirettamente. Da un lato se si riesce ad ottenere una certificazione, il farmer può applicare un sovrapprezzo sul suo prodotto. La tecnologia aiuta ad esser più efficienti e ad investire meno tempo ed energia per ottenere un buon risultato. Si gestiscono meglio le risorse: quando si conosce lo stato del campo, si può pianificare in maniera diretta e specializzata, per efficientare l’uso di fertilizzanti.
Così aumenta il potere di negoziazione che una cooperativa ha verso i suoi acquirenti, vendendo il suo prodotto attraverso il racconto della storia dietro la materia prima. I dati supportano tutto questo processo. Queste cooperative non vendono cacao e caffè, ma migliori condizioni di vita. Attraverso la commercializzazione dei loro prodotti. La finalità ultima è che la gente possa vivere del proprio lavoro.
Con Elisa Criscione e Digital Coffee Future, abbiamo cercato di creare la simmetria dello scambio di informazioni tra un esportatore e un importatore: non tutti abbiamo accesso agli stessi dati. La democratizzazione delle conoscenze è una cosa che aiuta i coltivatori: se queste informazioni vengono raccolte dai coltivatori, poi deve tornare a loro.
Le domande che ci pongono, ce le siamo fatte noi per primi: perché dovrebbero scegliere di digitalizzarsi? Chi sono i proprietari di questi dati? Come garantiamo che una volta condivisi, il farmer può avere indietro degli incentivi? Una possibile prima risposta è che la digitalizzazione diventa oggi un requisito fondamentale: se sei un produttore biologico o di specialty, la cooperativa ti sta offrendo un servizio per guadagnare un po’ di più.
È vantaggioso esser un produttore privato che può fornire diverse informazioni chiare e tracciabili ad ogni compratore per giustificare concretamente il sovrapprezzo del prodotto finale venduto online, potenzialmente senza dover pagare una certificazione.”
Il corso con Elisa Criscione e Digital Coffee Future
Pero: “E’ un’iniziativa che mi è piaciuta particolarmente: è stato un progetto pilota nato da cui abbiamo imparato che anche se conosciamo tante soluzioni, in realtà molte volte le stesse sono sconosciute ai farmer. Con il corso abbiamo diagnosticato lo stato o il punto in cui ciascuna cooperativa si trova. È importante perché la digitalizzazione è per tutti ed è necessaria. Ciascuno ha il suo proprio percorso da seguire.
Abbiamo scoperto noi stessi delle cose nuove, apprendendole dalle imprese locali che funzionano. Il corso si è articolato su sei settimane online, con una call ogni sette giorni di tre ore, insieme a due gruppi di 10 cooperative, del Guatemala e dell’Honduras. Ci siamo avvicinati attraverso dei partner la Fondazione Hanns R. Neumann Stiftung (HRNS), la Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit (GIZ) e la Initiative für nachhaltige Agrarlieferketten (INA-Trace).
Terzo aspetto interessante che è emerso da questa esperienza: la necessità di poter comparare un sistema con un altro. Abbiamo aiutato le cooperative a definire un piano di digitalizzazione, e a metterlo per iscritto in un documento da condividere con gli altri attori della cooperativa e con i finanziatori e acquirenti. Tante volte è proprio quello che manca, una visione in prospettiva che vada al di là dell’iniziativa individuale.
Stiamo migliorando questo primo tentativo e stiamo già organizzando il corso per l’anno prossimo, replicandolo con revisioni e inserendo altri moduli e corsi anche più pratici. “
Conclude Hubert Peri: “Credo insomma che adesso il tema della digitalizzazione stia diventando dominante e trasversale per qualsiasi aspetto della filiera. Sarà uno dei punti su cui investire per diventare competitivi sul mercato. Attraverso l’Ica stiamo vedendo che a livello pubblico molti ministeri la stanno inserendo nella loro agenda politica. È un must have.”