MILANO – Anche quest’anno si sono svolti i Barawards, una premiazione organizzata dalla testata Bargiornale e che decreta attraverso la selezione di una giuria di esperti e il panel di lettori, quali siano i migliori baristi in azione lungo lo Stivale: durante l’evento di ieri, l’ambito primo posto da professionista è andato a Dario Fociani, che queste pagine hanno già raccontato come uno dei fondatori del Faro a Roma, nonché roaster di Aliena Coffee Roasters.
Freschissimo dalla vittoria, lo abbiamo raggiunto per commentare questo ultimo successo.
Dario Fociani, miglior barista dei Barawards: è contento? Se lo aspettava?
“Contentissimo, come dicevo ad Alberto Polojaz durante la serata di premiazione, sono ormai un paio d’anni che comincio ad interessarmi e specializzarmi come torrefattore, e quindi vivo questa vittoria un po’ come una chiusura del mio percorso. Non me l’aspettavo: non ho neppure pubblicizzato troppo la mia candidatura e quando mi hanno telefonato per dirmi che ero tra i primi tre, è stata già una prima sorpresa. Fa piacere ovviamente e dà un segnale a tutto il settore: si può fare specialty e lavorare bene e ripaga, non è utopia.”
Che cosa secondo lei lo ha portato alla vittoria?
“Cinque anni fa sono arrivato terzo e Faro ha vinto il primo posto come caffetteria nel 2020 e secondo me quest’ultimo traguardo è stato un po’ come un premio alla carriera, ora che non sono più un barista da un po’ e mi vedo più come roaster e imprenditore. Dietro al banco ormai sto poco, ma ancora sono riconosciuto come uno dei pionieri del Faro. Credo sia stato un riconoscimento del mio lavoro svolto dentro la nostra caffetteria.”
Per la sua attività, storica caffetteria legata al movimento specialty romano, che cosa rappresenta questo traguardo?
“E’ una constatazione del lavoro ben svolto insieme. Tutti coloro che non credevano nella possibilità di fare specialty in Italia e ritagliarsi una propria nicchia si sbagliavano. In realtà si può fare e certo, ci sono metodologie da seguire nella caffetteria, svolgere delle operazioni che sono diverse da quelle classiche della ristorazione e dal bar notturno, ma portano a delle soddisfazioni. Tutto il team ovviamente è contento:”
Quanto esser anche torrefattore di Aliena secondo lei ha influenzato il suo lavoro di barista e quindi questo riconoscimento?
“Secondo me è più vero il contrario: esser stato barista sta influenzando il mio lavoro di torrefattore, perché conosco le abitudini del cliente e cosa gli piace, dopo esser stato per 15 anni dietro la macchina per espresso. Mi manca un po’ stare nel bancone, ovviamente, ma ormai vado verso i 40 anni e mi piace l’idea di cominciare qualcosa di diverso, firmando un nostro prodotto e un nostro brand, un gusto caffeicolo che poi altre persone possono estrarre nelle loro case.”
Ci racconta cos’è questo mestiere per lei, miglior barista di quest’anno?
“Il barista è sempre stato un mio modo naturale di essere. È un cameriere 2.0, che unisce le doti di servizio di questa figura e le competenze tecniche rispetto alla materia prima più elevate. Fare il barista vuol dire unire dei piaceri per la conoscenza e l’ospitalità. Negli ultimi 20 anni la ristorazione ha perso professionalità, ma le persone ora stanno capendo che non è un passatempo per chi fa altro nella vita. Dopo il Covid la percezione di questo lavoro sta cambiando. Noi che amiamo questo mestiere ci somigliamo tutti, viviamo dietro al banco con amore, e abbiamo una certa predisposizione. L’improvvisazione non paga più.
Mi piacerebbe quindi che tornasse nell’ambiente della ristorazione una buona dose culturale. Un concetto che si è perso e che invece molto spesso è un plus valore. Deve vincere questa filosofia, questo amore dietro la professione. L’innovazione ha bisogno di un po’ di cura: un prodotto come lo specialty in un paese tradizionalista necessita una cura in più, e ora sta arrivando questo messaggio oltre le mode agli operatori e al consumatore finale.”